Anche in virtù della qualità di rappresentante sindacale ricoperta da un lavoratore licenziato per aver comunicato con ritardo la prognosi ed il numero di protocollo della malattia, correttamente i giudici di merito hanno confermato la sanzione disciplinare decisa dal datore di lavoro.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 18118/18, depositata il 10 luglio. La vicenda. Un S.p.a. intimava ad un proprio dipendente il licenziamento disciplinare per aver comunicato con ritardo la prognosi ed il numero di protocollo della malattia protrattasi per una settimana. Il Tribunale e la Corte d’Appello di Bologna respingevano la l’impugnazione proposta dal lavoratore licenziato, confermando la legittimità del provvedimento disciplinare. La pronuncia di seconde cure viene dunque impugnata dal soccombente in Cassazione. Valutazione in concreto. Il Collegio condivide l’argomentazione dei giudici di merito che hanno individuato nel comportamento del ricorrente il requisito della gravità della condotta alla quale risulta dunque proporzionata la reazione del datore di lavoro. L’affermazione si fonda non solo sulle previsioni del CCNL di categoria, ma anche sulla sistematicità e sulla frequenza delle infrazioni nonché sulla qualità di rappresentante sindacale del lavoratore, «qualità che lo poneva nelle condizioni di non ignorare le disposizioni contrattuali collettive in materia e gli adempimenti da porre in essere in caso di assenza». La valutazione circa il comportamento ha dunque correttamente preso in considerazione le peculiarità del caso concreto, anche sotto il profilo del dolo o della colpa nella condotta. In conclusione, la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 18 aprile – 10 luglio 2018, numero 18118 Presidente Doronzo – Relatore Esposito Rilevato che la Corte d’appello di Bologna respingeva il reclamo ex l. numero 92 del 2012 avverso la sentenza del giudice di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da K.M. volta alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento disciplinare per giusta causa intimato al predetto da Xpo Supply Chain Italy s.p.a. che l’addebito consisteva nell’avere comunicato con ritardo la prognosi e il numero di protocollo della malattia relativa all’assenza dal 23/2/2015 al 27/2/2015 e non avere giustificato l’assenza per la giornata del 23/2/2015, con la recidiva per la tardiva comunicazione delle assenze del 20/4/2014 del 26/5/2014 e del 16/7/2014, sanzionate con la multa di un’ora di retribuzione ciascuna che la Corte territoriale riteneva che nel caso in esame fosse dimostrata la sussistenza di tre mancanze inerenti alla irregolare e/o omessa comunicazione dell’assenza, seguite dall’assenza ingiustificata per la giornata del 23/2/2015, con conseguente sussistenza della giusta causa di recesso alla luce della disciplina contrattuale collettiva e dell’articolo 2106 cod. civ. che avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione K.M. sulla base di unico motivo che la società ha resistito con controricorso. Considerato Che con l’unico motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 2119 cod. civ. dell’articolo 7 l. 300 del 1970, dell’articolo 18 commi IV e V legge 20 maggio 1979 numero 300, come modificati dalla legge numero 92/2012 e dell’articolo 32 lettera c comma 1 del CCNL, rilevando che la Corte d’appello si era limitata a constatare che la condotta del lavoratore integrava violazione dell’articolo 32 del CCNL e che, dovendosi aggiungere anche l’assenza ingiustificata del 23 febbraio 2015, l’addebito fosse da ritenere anche più grave rispetto all’illecito tipizzato dalla contrattazione collettiva. In tal modo, però, aveva omesso ogni indagine in ordine alla gravità del fatto contestato ed al comportamento in concreto tenuto dal lavoratore, anche sotto il profilo soggettivo della colpa e del dolo, nonché ogni valutazione circa il giudizio di proporzionalità ed adeguatezza della sanzione che il motivo è privo di fondamento poiché la Corte territoriale ha sinteticamente ma sufficientemente espresso un giudizio sia sulla gravità del fatto contestato, sia sulla proporzionalità della sanzione, e ciò non solo mettendo a confronto con la previsione del contratto collettivo la violazione in concreto commessa, ma anche evidenziando gli elementi della sistematicità e frequenza delle infrazioni, nonché il che rileva, evidentemente, anche sotto il profilo soggettivo la qualità di rappresentante sindacale del lavoratore, qualità che lo poneva nelle condizioni di non ignorare le disposizioni contrattuali collettive in materia e gli adempimenti da porre in essere in caso di assenza, il tutto sulla base di un accertamento in concreto, in conformità al principio di seguito enunciato “La valutazione in ordine alla legittimità del licenziamento disciplinare di un lavoratore per una condotta contemplata, a titolo esemplificativo, da una norma del contratto collettivo fra le ipotesi di licenziamento per giusta causa deve essere, in ogni caso, effettuata attraverso un accertamento in concreto, da parte del giudice di merito, della reale entità e gravità del comportamento addebitato al dipendente, nonché del rapporto di proporzionalità tra sanzione ed infrazione, anche quando si riscontri l’astratta corrispondenza di quel comportamento alla fattispecie tipizzata contrattualmente, occorrendo sempre che la condotta sanzionata sia riconducibile alla nozione legale di giusta causa, tenendo conto della gravità del comportamento in concreto del lavoratore, anche sotto il profilo soggettivo della colpa o del dolo, con valutazione in senso accentuativo rispetto alla regola della non scarsa importanza dettata dall’articolo 1455 c.c. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, attraverso un’ampia ricostruzione dei fatti, effettuata sulla base dell’istruttoria giudiziale, aveva evidenziato la sussistenza, nella diretta e personale condotta del lavoratore, di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi idonei a legittimare il licenziamento per giusta causa senza preavviso ” Cass. numero 8826 del 05/04/2017 che alla luce delle svolte argomentazioni, avendo la Corte territoriale fondato il suo giudizio sulla valutazione della gravità, sotto i profili oggettivo e soggettivo, dei fatti addebitati al lavoratore, anche in ragione delle circostanze nell’ambito delle quali sono stati commessi, alla reiterazione dei medesimi e all’elemento soggettivo inerente al ruolo rivestito dal ricorrente, le residue critiche svolte con i motivi di ricorso risultano attenere non già alla verifica in ordine ai criteri ermeneutici di applicazione della clausola generale di cui all’articolo 1455 cod. civ., ma, piuttosto, all’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi ritenuti dai giudici del merito idonei a integrare il giustificato motivo di licenziamento, accertamento che si pone sul diverso piano del giudizio di fatto demandato al giudice del merito cfr., tra le altre, Cass. numero 6498 del 26/04/2012, Cass. numero 18715 del 23/09/2016 che per tali motivi, condividendo il Collegio la proposta del relatore, il ricorso, manifestamente infondato, va rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’articolo 375, comma 1, numero 5, cod. proc. civ. La regolamentazione delle spese processuali, liquidate come da dispositivo, segue la soccombenza sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’articolo 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 numero , dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.