Prestito monstre, destinatario è un consigliere regionale: è finanziamento illecito

Confermata la pena. Quadro probatorio chiarissimo a carico dell’uomo, consigliere regionale all’epoca dei fatti. Respinta la tesi difensiva del prestito destinato a ‘coprire’ debiti di gioco, e quindi da valutare come consegnato al privato cittadino, e non al politico.

Sovvenzionamento monstre, e potenzialmente sospetto, per un consigliere regionale in ‘dono’ ben 667mila euro! Soldi destinati a ‘coprire’ debiti di gioco personali, secondo il politico, e non certo confluiti nel ‘salvadanio’ del partito. Ma la tesi non regge si può parlare, a ragion veduta, di violazione della normativa in materia di finanziamento dei partiti politici Cassazione, sent. n. 39439/2013, Terza Sezione Penale, depositata oggi . Pecunia. Patteggiamento come prima opzione di conseguenza, pena – sospesa – di 8 mesi di reclusione e 2.500 euro di multa per un consigliere regionale della Sicilia, coinvolto in un procedimento penale per finanziamento illecito ai partiti . Decisivo un sostanzioso obolo – ben 667mila euro – gentilmente ‘concesso’ dall’amministratore di fatto di una società. Ma ad avviso dell’esponente politico vi è stato un ‘ qui pro quo’ egli, sostiene, aveva ricevuto le somme di danaro non già come rappresentante politico, ma come privato cittadino, bisognoso di un prestito . Non a caso, aggiunge, quelle somme sono state impiegate per saldare un debito di gioco, e non per essere destinate alle casse del partito . Questa visione, però, secondo i giudici della Cassazione, non poggia su basi solide, anzi Non esiste alcuno spiraglio per un ipotetico proscioglimento , per la semplice ragione che il quadro probatorio è chiarissimo come evidenziato da accertamenti bancari eseguiti dalla Guardia di Finanza , il membro dell’assemblea regionale siciliana ha ricevuto , dall’amministratore di fatto di una società, la somma di 667mila euro, a mezzo di bonifici, in assenza di delibere societarie e di iscrizioni in bilancio .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 giugno – 24 settembre 2013, n. 39439 Presidente Teresi – Relatore Orilia Rilevato in fatto M.F. censura la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti emessa in data 7.6.2012 dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Roma in un procedimento penale per finanziamento illecito ai partiti politici art. 7 legge n. 195/1974 . Il giudice di merito, ritenendo corretta la qualificazione giuridica del fatti contestati, l’applicazione delle circostanze prospettate dalle parti e la pena così come determinata, ha recepito l’accordo applicando all’imputato, la pena - sospesa - di mesi otto di reclusione e €. 2.500 di multa. Il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 7 comma 2 legge n. 195/1974 e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione dolendosi del mancato proscioglimento con formula piena ai sensi dell’art. 129 cpp osservando che come risultava dagli atti - egli aveva ricevuto le somme di danaro non già come rappresentante politico consigliere dell’Assemblea Regionale Siciliana ma come privato cittadino bisognoso di un prestito di danaro, tant’è che sono state impiegate per saldare un debito di gioco e non per essere destinate alla cesse del partito. Procede quindi alla ricostruzione della vicenda fattuale, precisando di avere anche provveduto a restituire le somme e richiama il contenuto di intercettazioni telefoniche. Il Procuratore Generale rassegnato requisitoria scritta concludendo per l’inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto va dichiarato inammissibile. Da tempo questa Corte, anche a sezioni unite, ha precisato come, nell’ipotesi di impugnazione di una decisione assunta in conformità alla richiesta formulata dalla parte secondo lo schema procedimentale previsto dall’art. 444 c.p.p., l’esigenza di specificità delle censure deve ritenersi addirittura rafforzata” rispetto ad ipotesi di diversa conclusione del giudizio, dato che la critica al provvedimento che abbia accolto la domanda dell’imputato deve impegnarsi a demolire, prima di tutto, proprio quanto dalla stessa parte richiesto Cass. Sez. U, Sentenza n. 35738 del 27/05/2010 Cc. dep. 05/10/2010 Rv. 247839 Sez. un., 24.6.1998, Verga, rv 211468 . Sempre secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, cfr. da ultimo cass. 17.4.2011 n. 6455 , in caso di patteggiamento ai sensi dell’art. 444 c.p.p., l’accordo intervenuto esonera l’accusa dall’onere della prova e comporta che la sentenza che lo recepisce sia da considerare sufficientemente motivata con una succinta descrizione del fatto deducibile dal capo d’imputazione , con l’affermazione della correttezza della qualificazione giuridica di esso, con il richiamo all’art. 129 c.p.p. per escludere la ricorrenza di alcuna delle ipotesi ivi previste, con la verifica della congruità della pena patteggiata ai fini e nei limiti di cui all’art. 27 Cost. Cass. 27 settembre 1994, n. 3980 più di recente, Cass. 13 luglio 2006, n. 34494 . Con particolare riferimento all’onere di verifica dell’insussistenza delle cause di proscioglimento immediato, questa Corte ha altresì precisato che la sentenza del giudice di merito che applichi la pena su richiesta delle parti, escludendo che ricorra una delle ipotesi proscioglimento previste dall’art. 129 c.p.p., può essere oggetto di controllo di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, soltanto se dal testo della sentenza impugnata appaia invece evidente la sussistenza di una causa di non punibilità Cass. 10 gennaio 2007, n. 4688 . In sostanza, l’esigenza minima di motivazione della sentenza a seguito di patteggiamento” della pena può ritenersi adempiuta, in relazione all’assenza di cause di proscioglimento di cui all’art. 129 c.p.p., dal semplice testuale rinvio al medesimo articolo, il cui contenuto entra in tal modo a far parte per relationem del ragionamento decisorio ed esprime l’avvenuta verifica, da parte del giudice, dell’inesistenza di motivi di non punibilità, senza che occorra una ulteriore e più analitica disanima, purché dal testo della sentenza medesima non emergano in modo positivo elementi di segno contrario. Nel caso in esame, la sentenza del giudice di merito, previa una succinta descrizione dei fatti deducibile dal capo d’imputazione e dalla motivazione , e previa l’affermazione della correttezza della qualificazione giuridica di essi nonchè la verifica della congruità della pena patteggiata, ha recepito integralmente le statuizioni concordate applicando la pena stabilita e rilevando che non vi è spazio per un possibile proscioglimento dell’imputato alla luce degli accertamenti bancari eseguiti dalla Guardia di Finanza confluite nell’informativa di reato del 12.8.2011 da cui è emerso che M., membro dell’Assemblea Regionale Siciliana aveva ricevuto da C.F., amministratore di fatto della ASCOM Finance giudicato separatamente , la somma di €. 667.700,00 a mezzo bonifici in assenza di delibere societarie e di iscrizioni in bilancio, ha altresì osservato che la tesi della pattuizione della restituzione sostenuta dall’imputato era stata smentita dal correo. Come si vede, alla luce dei principi di diritto sopra richiamati, il giudice di merito con motivazione del tutto esauriente ha dato conto in maniera più che sufficiente della insussistenza delle cause di non punibilità ex art. 129 cpp e quindi la sentenza impugnata si sottrae certamente alla censura mossa, non emergendo da essa in modo positivo alcun elemento di segno contrario, ma anzi seri elementi di responsabilità, come peraltro ha rilevato lo stessa giudice. In definitiva, il ricorso tende solo a rimettere in discussione i termini dell’accordo finalizzato all’applicazione della pena oggetto del patteggiamento. Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186 , alla condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 616 cpp nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.