La Commissione Ue non valutò il vincolo d’impiego: annullata la condanna dell’Italia

Annullata la decisione 2009/178/CE con cui la Commissione ha condannato l’Italia per gli aiuti di stato relativi alla remunerazione delle somme provenienti dai conti correnti postali e depositate nella Tesoreria dello Stato presso il MEF. La Commissione non ha valutato correttamente tutti i dovuti parametri e, soprattutto, non ha tenuto conto del vincolo di impiego atto ad escluderli.

È questa l’estrema sintesi della sentenza emessa dal Tribunale UE, nella causa T-525/08. Il caso. Il procedimento d’infrazione del diritto UE sul divieto di concedere aiuti di stato incompatibili e volti a falsare il mercato comunitario è scaturito da una lettera/denuncia dell’ABI, del 2005, sull’attività bancaria svolta dalle Poste PI . In essa si sosteneva che l’Italia riconoscerebbe a PI, a fronte delle somme raccolte tramite i conti correnti postali e trasferite su un conto corrente acceso presso la Tesoreria dello Stato, un tasso del 4 % circa, laddove i conti correnti postali offrono un rendimento medio dell’1%. Il margine positivo di PI risultante dal differenziale tra il tasso di interesse attivo e il tasso d’interesse passivo sarebbe superiore al margine di interesse di mercato , rappresentando pertanto un aiuto di Stato . Da ciò era scaturita la Decisione 2009/178/CE, con cui l’Italia è stata condannata anche al recupero di tali importi, annullata dalla presente sentenza per una pluralità di vizi. È molto tecnica e complessa, perciò si darà atto sinteticamente delle motivazioni, rinviando in toto al testo per ogni approfondimento e per maggiori dettagli sulle stesse. Quadro normativo. Le PI svolgono anche attività bancaria con apertura di conti correnti e vendono prodotti finanziari, d’investimento ed assicurativi tramite le divisioni Banco Poste e Poste Vita spa, sua controllata che si occupa di polizze assicurative. Il servizio dei conti correnti postali era essenzialmente disciplinato da una legge del 1917 GURI numero 219, del 6 settembre 1917 , modificata con decreto legislativo luogotenenziale del 22 novembre 1945, numero 822 GURI numero 12, del 15 gennaio 1946 . Tale decreto prevedeva l’obbligo di versare su un conto corrente fruttifero, aperto presso la Cassa Depositi e Prestiti, le somme raccolte tramite i conti correnti postali in prosieguo il vincolo d’impiego . Dal 2005 è subentrato il MEF decreto del 5/12/05 . La L.266/05, retroattiva al 1/1/05 e attuata dalla Finanziaria 2006, prevedeva che il MEF e le PI definissero i parametri di mercato e le modalità di calcolo del tasso di remunerazione che la ricorrente avrebbe percepito per il deposito presso la Tesoreria dello Stato delle liquidità derivanti dai conti correnti postali . In base a questa convenzione, che aveva una durata limitata, sono stati calcolati i tassi contestati dalla Decisione impugnata. Infatti essa definiva le modalità di calcolo dei tassi di remunerazione dei conti correnti postali depositati presso la Tesoreria dello Stato fino al 4 aprile 2009. La remunerazione annua era calcolata essenzialmente come media ponderata dei rendimenti medi annui dei Buoni del Tesoro Poliennali in prosieguo i BTP a 30 anni per l’80% del deposito e a 10 anni per il 10% del deposito e dei Buoni Ordinari del Tesoro in prosieguo i BOT a 12 mesi per il 10% del deposito . I rendimenti medi annui dei titoli di Stato previsti nella Convenzione erano ottenuti calcolando la media aritmetica semplice dei tassi di rendimento rilevati il 1° e il 15 di ogni mese. L’attualizzazione dei parametri effettuato ogni 15 giorni rendeva fluttuanti i rendimenti . La L. 96/07 la modificava assieme al vincolo di impiego le somme provenienti dai conti correnti postali appartenenti alla clientela privata dovevano essere investiti in titoli di Stato dell’area euro. Il vincolo d’impiego è stato mantenuto soltanto per le somme provenienti dai conti correnti postali appartenenti all’amministrazione che rappresentavano all’incirca tra il 25 e il 30% del totale . Aiuti di stato e rischio di liquidità. La Commissione principalmente ha contestato la pertinenza del confronto operato dalle autorità italiane, da un lato, tra il differenziale positivo tasso d’interesse passivo/tasso d’interesse attivo della ricorrente e quello di altre banche private e, dall’altro, tra le trasformazioni delle scadenze della ricorrente e quelle di taluni operatori specializzati nei finanziamenti al settore pubblico. Secondo la Commissione, tali confronti non dimostrerebbero che la Convenzione non conferisca alcun vantaggio alla ricorrente . Inoltre ha evidenziato un rischio di liquidità o funding liquidity risk , in caso di una massiccia chiusura dei c/c e del relativo ritiro delle somme ivi versate, gravante sul MEF e non su PI, non obbligata ad un autofinanziamento, con evidenti conseguenze sull’economia e sulla stabilità del nostro paese. L’Italia, però, aveva sostenuto, in pratica, che il tasso di remunerazione previsto dalla Convenzione era stato fissato in funzione dei parametri di mercato, e che esso non attribuiva alla ricorrente alcun vantaggio, tanto più che, in assenza di vincolo d’impiego, quest’ultima avrebbe potuto realizzare un asset allocation che avrebbe potuto procurarle rendimenti superiori . Il Tribunale ha accolto queste osservazioni ed ha condannato la Commissione per non aver vagliato, pur essendone obbligata, detto vincolo d’impiego da un’attenta analisi si sarebbe escluso l’aiuto di stato e la condanna dell’Italia con la Decisione abrogata. Nozione di aiuto di stato e sua esegesi. L’articolo 87, paragrafo 1 CE, sancisce che affinché una misura possa essere qualificata come aiuto di Stato, in primo luogo, deve trattarsi di un intervento dello Stato ovvero effettuato mediante risorse statali, in secondo luogo, detto intervento deve essere tale da incidere sugli scambi tra gli Stati membri, in terzo luogo, deve concedere un vantaggio al suo beneficiario e, in quarto luogo, deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza v. sentenza della Corte del 2settembre 2010, Commissione/Deutsche Post, C-399/08P, Racc.pag.I-7831, punti 38 e 39, e giurisprudenza ivi citata . Orbene, come esplicato dettagliatamente ai punti 44-47 e 50-109, dalla corretta ed esaustiva istruttoria della Corte non è stato ravvisato alcuno di questi parametri, sì che è stato escluso l’aiuto illecito. Poteri del Tribunale . Questa definizione ha natura giuridica, perciò deve essere interpretata tramite elementi oggettivi Francia/Ladbroke Racing e Commissione, C-83/98, British Aggregates/Commissione, C-487/06 . Ciò comporta che il G.I. dell’Ue debba vagliare l’esegesi dei dati economici e dell’impatto dell’intervento sull’economia fornita dalla Commissione, pur non potendo sostituire il suo giudizio a quello dell’organo. Infatti il suo è un controllo ristretto, che si limita necessariamente alla verifica dell’osservanza delle regole procedurali e di motivazione, dell’esattezza materiale dei fatti, nonché dell’assenza di errori manifesti di valutazione e di sviamento di potere v. Commissione/Scott, C-290/07 . Macroscopici errori della Commissione ed illegittimità della condanna a onere della prova e scorretta valutazione della natura economica del presunto aiuto. Per quanto affermato sinora era onere della Commissione dimostrare tutti gli elementi che configuravano l’intervento contestato quale aiuto di Stato, ma non ha ottemperato a questo obbligo. Ha commesso, anzi, gravi errori di valutazione e ha omesso la dovuta ed approfondita analisi degli elementi forniti e degli studi sulle alternative proposte dal nostro mercato dei prodotti bancari ed assicurativi, sì che la Decisione era frutto di una visione scorretta ed arbitraria dovuta a serie carenze istruttorie, principalmente causate da aver trascurato la portata del vincolo d’impiego. Infatti non ha tenuto conto delle perdite subite dalle PI nel gestire queste attività, dei costi e di numerosi altri fattori. In primis non ha considerato che esse non erano limitate al mercato nazionale, ma riguardavano l’intera area euro, né aveva effettuato la dovuta disamina delle politiche e delle misure adottate dagli altri stati membri negli stessi settori in breve ha ignorato le condizioni del mercato comunitario e di raffrontarle con quelle praticate dall’Italia e con quelle adottate a parità di settore e di situazione dagli altri paesi. Infine ha ignorato che le somme frutto della remunerazione erano investite sia nel nostro paese che negli altri stati membri. Ha ignorato anche la liberalizzazione dei servizi per altro voluta dall’Ue con la Bolkestein e che la condanna impugnata si fondava su documenti viziati dal conflitto d’interesse, perché provenienti da concorrenti e/o da banche che lavoravano a stretto contatto con le PI. Non sono stati vagliati, infine, né comparati il contesto, la tipologia, i costi di gestione, i tassi applicati ed il rendimento dei prodotti bancari ed assicurativi commercializzati da PI con analoghi offerti da istituti privati. Se ciò fosse stato fatto la Commissione si sarebbe accorta che quello che considerava un tasso di mercato in realtà non lo era. Sono, perciò, assenti tutti i criteri dettati dall’articolo 87. b Omessa valutazione del vincolo d’impiego e di altre importanti variabili. Secondo la Commissione l’intervento statale contestato è unitario ed ha duplice valenza da un lato, esso l’ha privata della possibilità, in linea di principio aperta a qualsiasi altra banca, di impiegare le somme provenienti dai conti correnti postali da essa gestiti per effettuare qualsiasi investimento, conforme alla vigente legislazione bancaria, che essa ritenesse opportuno. Dall’altro, tale intervento le ha procurato una remunerazione . Il citato differenziale, anche se offre vantaggi all’Italia, non implica ipso iure la loro esistenza che doveva essere dimostrata dalla Commissione che, invece, come detto, ha accostato valutazioni ex ante ed ex post di per sé non paragonabili. Infatti se avesse agito correttamente si sarebbe accorta che l’aiuto di stato è escluso proprio dalla imposizione di un vincolo d’impiego che si traduce nell’impossibilità per le PI di impiegare le somme provenienti dai conti correnti postali per effettuare qualsiasi investimento alternativo, le PI e potrebbe beneficiare di un vantaggio soltanto se percepisse per il deposito di tali somme, in applicazione del tasso della Convenzione, una remunerazione superiore al rendimento che avrebbe potuto ragionevolmente ottenere nell’ambito di una gestione libera e prudente di queste ultime .

Tribunale UE, Sesta Sezione, sentenza 13 settembre 2013, causa T-525/08 * Aiuti di Stato – Remunerazione delle somme provenienti dai conti correnti postali e depositate presso la Tesoreria dello Stato italiano – Decisione che dichiara l’aiuto incompatibile con il mercato comune e ne ordina il recupero – Nozione di aiuto di Stato – Vantaggio Sentenza Fatti 1La ricorrente, Poste Italiane SpA, è un’impresa controllata dallo Stato italiano. Essa fornisce il servizio postale universale ed esercita attività bancarie su tutto il territorio italiano. 2Le attività bancarie della ricorrente non sono comprese nei suoi obblighi di servizio di interesse economico generale. Esse sono gestite da una divisione interamente integrata, BancoPosta, che offre un servizio di conto corrente postale. Dal 2001 in poi, le caratteristiche di tale servizio sono simili a quelle di un comune conto corrente. 3Inoltre, la ricorrente colloca diversi prodotti finanziari e di investimento, tra cui alcune polizze assicurative emesse da una società da essa controllata al 100%, Poste Vita SpA. 4Il servizio dei conti correnti postali era essenzialmente disciplinato da una legge del 1917 GURI numero 219, del 6 settembre 1917 , modificata con decreto legislativo luogotenenziale del 22 novembre 1945, numero 822 GURI numero 12, del 15 gennaio 1946 . Tale decreto prevedeva l’obbligo di versare su un conto corrente fruttifero, aperto presso la Cassa Depositi e Prestiti, le somme raccolte tramite i conti correnti postali in prosieguo il vincolo d’impiego . A seguito di un decreto del 5dicembre 2003 GURI numero 288 del 12 dicembre 2003 , il Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano in prosieguo il Ministero è subentrato alla Cassa Depositi e Prestiti nella gestione dei rapporti in essere derivanti dal servizio dei conti correnti postali. 5La legge del 23 dicembre 2005, numero 266 GURI numero 302, del 29 dicembre 2005 – supplemento ordinario alla GURI numero 211 in prosieguo la legge finanziaria 2006 , dotata di effetto retroattivo al 1° gennaio 2005, prevedeva che il Ministero e la ricorrente definissero i parametri di mercato e le modalità di calcolo del tasso di remunerazione che la ricorrente avrebbe percepito per il deposito presso la Tesoreria dello Stato delle liquidità derivanti dai conti correnti postali. 6Sul punto, la legge finanziaria 2006 è stata attuata con una Convenzione del 23febbraio 2006 tra il Ministero e la ricorrente in prosieguo la Convenzione , la quale è entrata in vigore con effetto retroattivo, a far data dal 1° gennaio 2005. 7La Convenzione definiva le modalità di calcolo dei tassi di remunerazione dei conti correnti postali depositati presso la Tesoreria dello Stato fino al 4 aprile 2009. La remunerazione annua era calcolata essenzialmente come media ponderata dei rendimenti medi annui dei Buoni del Tesoro Poliennali in prosieguo i BTP a 30 anni per l’80% del deposito e a 10 anni per il 10% del deposito e dei Buoni Ordinari del Tesoro in prosieguo i BOT a 12 mesi per il 10% del deposito . I rendimenti medi annui dei titoli di Stato previsti nella Convenzione erano ottenuti calcolando la media aritmetica semplice dei tassi di rendimento rilevati il 1° e il 15 di ogni mese. L’attualizzazione dei parametri effettuato ogni 15 giorni rendeva fluttuanti i rendimenti. 8Gli interessi, in tal modo calcolati, relativi agli anni 2005 e 2006, del 3,9% e del 4,25%, sono stati liquidati alla ricorrente, rispettivamente, nel 2006 e nel 2007. 9La legge del 27 dicembre 2006, numero 296 GURI numero 299, del 27 dicembre 2006 , ha modificato la legge finanziaria 2006 nonché la portata del vincolo d’impiego. Secondo la nuova legge, le somme provenienti dai conti correnti postali appartenenti alla clientela privata dovevano essere investiti in titoli di Stato dell’area euro. Il vincolo d’impiego è stato mantenuto soltanto per le somme provenienti dai conti correnti postali appartenenti all’amministrazione che rappresentavano all’incirca tra il 25 e il 30% del totale . 10Con lettera del 30 dicembre 2005, l’Associazione Bancaria Italiana presentava denuncia alla Commissione delle Comunità europee contro la ricorrente. Secondo la detta associazione, il deposito presso la Tesoreria dello Stato delle somme provenienti dai conti correnti postali tasso d’interesse attivo apportava alla ricorrente un interesse del 4% circa, mentre BancoPosta remunerava i conti correnti a un tasso dell’1% circa tasso d’interesse passivo . Il differenziale positivo tra il tasso d’interesse passivo e il tasso d’interesse attivo sarebbe superiore rispetto a quello rilevato sul mercato e rappresenterebbe pertanto un aiuto di Stato. 11Con lettera del 26 settembre 2006, la Commissione comunicava alla Repubblica italiana la sua decisione di avviare il procedimento di cui all’articolo 88, paragrafo 2, CE, con riferimento all’aiuto di Stato concesso dalle autorità italiane a favore di Poste Italiane – BancoPosta [aiuto C 42/2006 ex NN 52/2006 ]. La suddetta decisione è stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 29novembre 2006 C 290, pag.8 nella lingua facente fede l’italiano , preceduta da una sintesi nelle altre lingue ufficiali. 12Le autorità italiane hanno presentato le loro osservazioni, supplementi di informazioni e le risposte ai quesiti della Commissione con lettere datate 31 ottobre e 29 dicembre 2006, 16 febbraio, 30 marzo, 2 aprile, 1° giugno e 27novembre 2007, nonché 29 febbraio, 7 marzo e 23 aprile 2008. Esse hanno sostenuto, in pratica, che il tasso di remunerazione previsto dalla Convenzione era stato fissato in funzione dei parametri di mercato, e che esso non attribuiva alla ricorrente alcun vantaggio, tanto più che, in assenza di vincolo d’impiego, quest’ultima avrebbe potuto realizzare un asset allocation che avrebbe potuto procurarle rendimenti superiori. 13Il 16 luglio 2008, la Commissione ha adottato la decisione 2009/178/CE relativa all’aiuto di Stato cui l’Italia ha dato esecuzione per remunerare i conti correnti di Poste Italiane presso la Tesoreria dello Stato [C 42/06 ex NN 52/06 ] GU 2009, L64, pag.4 in prosieguo la decisione impugnata . 14In tale decisione, la Commissione ha concluso che la remunerazione concessa dal Ministero alla ricorrente costituiva un aiuto di Stato incompatibile con il mercato comune e ne ha ordinato il recupero. 15Al fine di stabilire l’esistenza di un vantaggio ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, CE, la Commissione si è anzitutto basata su un confronto tra il tasso versato alla ricorrente dal Ministero in virtù della Convenzione in prosieguo il tasso della Convenzione e il tasso che, a suo parere, sarebbe stato fissato da un mutuatario privato diligente in un’economia di mercato, in condizioni comparabili in prosieguo il tasso del mutuatario privato punti da 119 a 180 della decisione impugnata . 16Secondo la Commissione, al fine di fissare il tasso da concedere, un mutuatario privato diligente avrebbe preso in considerazione quattro parametri, vale a dire la massa delle somme depositate, la stabilità di tali somme, la durata media del deposito delle somme e i rischi finanziari sostenuti punto 119 della decisione impugnata . 17Per quanto riguarda, in primo luogo, la massa delle somme depositate, la Commissione ha rilevato che essa ammontava a EUR35 miliardi. La Commissione ha sottolineato la rilevanza di un prestito di tale importo concesso da un unico mutuante. Tuttavia, essa ha rilevato che il Ministero aveva emesso titoli per un ammontare complessivo di EUR400 miliardi durante il periodo 2001‑2005, e che la domanda di tali titoli era stata superiore all’offerta, così che non si poteva parlare di penuria di fondi sul mercato durante quel periodo punto 124 della decisione impugnata . 18Per quanto riguarda, in secondo luogo, la stabilità delle somme depositate, la Commissione ha ritenuto che il 10% della massa delle somme depositate fosse volatile, e che il 90% fosse stabile punto 133 della decisione impugnata . 19Per quanto riguarda, in terzo luogo, la durata del deposito delle somme in questione, la Commissione ha operato una distinzione tra la gestione passiva, derivante dal vincolo d’impiego, e la gestione attiva di tali somme, che sarebbe stata possibile in assenza di un simile vincolo. Quanto alla gestione passiva, un mutuatario privato diligente, al fine di fissare il tasso di remunerazione da concedere, avrebbe preso in considerazione la probabilità di riuscire a rispettare tale vincolo nel tempo. A causa delle modifiche della legislazione nazionale, un mutuatario privato diligente avrebbe ritenuto che il vincolo d’impiego sarebbe stato modificato nel termine massimo di cinque anni, e avrebbe tenuto conto di tale durata quinquennale nel meccanismo di fissazione del tasso concesso. Anche con riferimento alla gestione attiva, la Commissione ha affermato che un mutuatario privato avrebbe tenuto conto di una durata massima di cinque anni per la raccolta. In tale contesto, secondo la Commissione, un mutuatario privato avrebbe basato la remunerazione della componente stabile della raccolta 90% sul rendimento dei BTP a cinque anni invece dei 30 o 10 anni previsti nella Convenzione . A proposito della componente volatile della raccolta, la Commissione ha parimenti ritenuto che un mutuatario privato avrebbe scelto di indicizzare la remunerazione basandosi su BOT a tre mesi e strumenti a termine molto breve invece che sui BOT a dodici mesi adottati come parametro nella Convenzione punti da 136 a 165 della decisione impugnata . 20Per quanto riguarda, in quarto luogo, i rischi finanziari che sarebbero collegati al deposito delle somme provenienti dai conti correnti postali presso la Tesoreria dello Stato, la Commissione ha rilevato l’esistenza di un rischio di liquidità o funding liquidity risk il quale, secondo la stessa, gravava sul Ministero, e non sulla ricorrente. Infatti, la Commissione ha rilevato che, nell’ipotesi in cui i titolari di un conto corrente avessero ritirato tutte le somme depositate, sarebbe stato il Ministero a dover fornire alla ricorrente le somme necessarie per far fronte alla richiesta. In un caso del genere, la ricorrente non sarebbe stata dunque obbligata a ricorrere all’autorifinanziamento punti da 166 a 176 della decisione impugnata . 21La Commissione ha concluso, al punto 178 della decisione impugnata, che, poiché i benchmark impiegati nella Convenzione [avevano] durate più lunghe rispetto ai benchmark di mercato”, e quindi rendimenti superiori nel periodo interessato, e la suddivisione del rischio [era] a favore [della ricorrente] più di quanto [sarebbe accaduto] se [si fosse assunto] il rischio sulle liquidità depositate, il tasso [della Convenzione] confer[iva] un vantaggio [alla ricorrente] . Come emerge dai dati indicati nella tabella 6a della decisione impugnata, il Ministero avrebbe concesso alla ricorrente un tasso superiore a quello che sarebbe stato concesso da un mutuatario privato, dell’1,09% nel 2005, dello 0,65% nel 2006, e dello 0,47% nel 2007. Considerando soddisfatti anche gli altri criteri previsti dall’articolo 87, paragrafo 1, CE punti da 95 a 112 della decisione impugnata , la Commissione ha concluso nel senso della sussistenza di un aiuto di Stato in favore della ricorrente punto 179 della decisione impugnata . 22La Commissione ha poi esaminato ad abundantiam, per motivi di completezza e da un punto di vista teleologico , gli argomenti dedotti dalle autorità italiane durante il procedimento amministrativo, secondo i quali, in assenza di un vincolo d’impiego, gli investimenti alternativi che la ricorrente avrebbe potuto effettuare avrebbero offerto un rendimento simile, o anche superiore, al tasso della Convenzione punti da 181 a 229 della decisione impugnata . 23In tal senso, le autorità italiane avevano invocato, in sostanza, quattro argomenti. 24In primo luogo, secondo le autorità italiane, la ricorrente avrebbe potuto, in assenza di vincolo d’impiego, investire le somme derivanti dai conti correnti postali in strumenti simili a quelli utilizzati dai suoi servizi assicurativi, in particolare dalla sua controllata Poste Vita. Tali investimenti avrebbero procurato una remunerazione simile al tasso della Convenzione. Le autorità italiane hanno fatto leva, in proposito, su talune lettere provenienti da intermediari finanziari [v. punto 184, i , della decisione impugnata, che rinvia ai punti da 73 a 76 della suddetta decisione]. 25In secondo luogo, la ricorrente avrebbe potuto diversificare il suo portafoglio d’investimento in base al rischio di credito. Così, ad esempio, i titoli delle società finanziarie ed industriali europee aventi rating AA avrebbero rendimenti più elevati dei titoli governativi [v. punto 184, ii , della decisione impugnata, che rinvia al punto 85, i , della suddetta decisione]. 26In terzo luogo, la ricorrente avrebbe potuto optare per una gestione attiva dei propri fondi, che le avrebbe potuto procurare una remunerazione più vantaggiosa del tasso della Convenzione. Per corroborare questa tesi, le autorità italiane si sono fondate su uno studio commissionato ad una banca privata in prosieguo lo studio sulla gestione alternativa , la quale aveva condotto un’analisi matematica volta a dimostrare la valenza di una gestione attiva del portafoglio. Nell’ambito di tale studio, l’autore aveva richiamato, in particolare, l’esempio della gestione attiva di fondi simili condotta nel 2005 da Efiposte, la società finanziaria dell’operatore postale francese La Poste [v. punto 184, iii , della decisione impugnata, che rinvia al punto 85, iv , della suddetta decisione]. 27In quarto luogo, le autorità italiane avevano sostenuto che il differenziale positivo tra il tasso d’interesse passivo e il tasso d’interesse attivo sarebbe, nel caso di talune banche private, notevolmente superiore rispetto a quello rilevato nel caso della ricorrente. Inoltre, secondo le autorità italiane, sarebbe possibile confrontare la trasformazione delle scadenze attuata dalla ricorrente con quella delle banche che impieghino i loro fondi in prestiti al settore pubblico. Orbene, tali banche applicherebbero la stessa politica della ricorrente impiegando i loro fondi in attività a lungo termine del settore pubblico e finanziandosi in parte a breve e in parte a lungo termine [v. punto 186 della decisione impugnata, che rinvia al punto 85, ii e iii , della suddetta decisione]. 28La Commissione ha fatto osservare, al punto 185 della decisione impugnata, da un lato, che le alternative di investimento prospettate dalle autorità italiane non erano rilevanti nell’ambito dell’indagine in merito alla sussistenza di un aiuto di Stato in favore della ricorrente, e, dall’altro, che il loro risultato non poteva essere utilizzato per dimostrare che la Convenzione non conferisse alcun vantaggio alla ricorrente. La Commissione ha aggiunto, al punto 187 della decisione impugnata, che gli altri elementi di confronto rilevati dalle autorità italiane non erano significativi. 29In primo luogo, a proposito dei prodotti assicurativi, la Commissione ha negato la loro comparabilità con i conti correnti postali punti 190 e 191 della decisione impugnata . 30Ciononostante, ai punti da 192 a 199 della decisione impugnata, la Commissione ha effettuato, in via ultronea, un confronto tra il tasso della Convenzione e il rendimento medio ottenuto dalla gestione Posta Più e da quella di un secondo prodotto assicurativo di Poste Vita, Posta Valore . In esito alla propria analisi, la Commissione ha concluso, contrariamente a quanto sostenuto dalle autorità italiane, che tale confronto non dimostr[ava] che la Convenzione non confer[isse] alcun vantaggio [alla ricorrente] punto 199 della decisione impugnata . 31In secondo luogo, a proposito delle strategie di investimento alternative diversificate in termini di rischio di credito, prospettate dalle autorità italiane, la Commissione ha respinto anche, ai punti da 200 a 204 della decisione impugnata, la rilevanza di un confronto tra queste ultime e il meccanismo della Convenzione. 32In terzo luogo, a proposito delle modalità di gestione attiva, da un lato la Commissione ha respinto, ai punti 205 e 206 della decisione impugnata, la pertinenza del confronto tra il tasso della Convenzione e la remunerazione ottenuta nel 2005 da Efiposte. 33Dall’altro, la Commissione ha contestato anche, ai punti 207 e 209 della decisione impugnata, la comparabilità del tasso della Convenzione con i rendimenti derivati dalle modalità di gestione attiva di fondi del tipo trading system definite dalle autorità italiane in base allo studio sulla gestione alternativa. 34Sebbene la Commissione non abbia riconosciuto la pertinenza di tale studio, né la comparabilità dei dati su cui esso si fonda con i parametri della Convenzione, essa ha tuttavia rilevato che, durante il periodo della Convenzione cioè il periodo che va dal 2005 al 2007 , il tasso della Convenzione, nonché il tasso del mutuatario privato, erano stati più elevati dei rendimenti derivanti dalla gestione attiva dei fondi illustrata dal suddetto studio v. punto 208, iv , della decisione impugnata . La Commissione ha anche fatto osservare che il rendimento implicito ottenuto dalla ricorrente nel 2007, nell’ambito della sua gestione attiva delle somme derivanti dai conti correnti postali, fatta eccezione per i guadagni in conto capitale, era inferiore al tasso della Convenzione e al tasso del mutuatario privato [v. punto 208, v , della decisione impugnata]. 35In quarto luogo, la Commissione, ai punti da 210 a 225 della decisione impugnata, ha contestato la pertinenza del confronto operato dalle autorità italiane, da un lato, tra il differenziale positivo tasso d’interesse passivo/tasso d’interesse attivo della ricorrente e quello di altre banche private e, dall’altro, tra le trasformazioni delle scadenze della ricorrente e quelle di taluni operatori specializzati nei finanziamenti al settore pubblico. Secondo la Commissione, tali confronti non dimostrerebbero che la Convenzione non conferisca alcun vantaggio alla ricorrente. 36Alla luce di quanto sopra, la Commissione ha concluso, al punto 228 della decisione impugnata, che le possibilità di investimento alternative in assenza di vincolo di impiego [prospettate dalle autorità italiane] non avrebbero permesso [alla ricorrente] di conseguire, nel periodo di riferimento, rendimenti simili o superiori a quelli della Convenzione, in una prospettiva rischio/rendimento . 37Nell’ambito di una serie di osservazioni complementari, la Commissione ha aggiunto, ai punti da 233 a 235 della decisione impugnata, che neppure il confronto operato dalle autorità italiane tra il tasso della Convenzione e il costo del debito a medio o lungo termine del Tesoro era rilevante. 38Il dispositivo della decisione impugnata stabilisce quanto segue Articolo 1 Il regime di aiuti di Stato relativo alla remunerazione dei conti correnti [della ricorrente] presso la Tesoreria dello Stato, stabilito dalla legge 23 dicembre 2005, numero 266 e dalla convenzione tra il [Ministero] e [la ricorrente] del 23 febbraio 2006, al quale [la Repubblica italiana] ha dato illegalmente esecuzione in violazione dell’articolo 88, paragrafo 3, [CE], è incompatibile con il mercato comune. Articolo 2 [La Repubblica italiana] sopprime il regime di cui all’articolo 1 con effetto alla data di adozione della presente decisione. Articolo 3 1.[La Repubblica italiana] procede al recupero presso il beneficiario dell’aiuto incompatibile concesso nel quadro del regime di cui all’articolo 1. . Procedimento e conclusioni delle parti 39Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 4dicembre2008, la ricorrente ha proposto il presente ricorso. 40A causa dell’impedimento di due membri della sezione a partecipare al procedimento, il presidente del Tribunale ha designato altri due giudici per completare la sezione, ai sensi dell’articolo 32, paragrafo 3, del regolamento di procedura del Tribunale. 41Su relazione del giudice relatore, il Tribunale ha deciso di aprire la fase orale del procedimento. Le parti hanno esposto le loro difese orali e hanno risposto ai quesiti del Tribunale all’udienza del 25 ottobre 2012. 42La ricorrente chiede che il Tribunale voglia –annullare la decisione impugnata –condannare la Commissione alle spese. 43La Commissione chiede che il Tribunale voglia –respingere il ricorso –condannare la ricorrente alle spese. In diritto 44A sostegno del proprio ricorso, la ricorrente deduce quattro motivi, relativi, in sostanza, il primo, ad una violazione dell’obbligo di motivazione il secondo, ad un errore manifesto di valutazione in merito alla fissazione del tasso del mutuatario privato, all’esistenza di un vantaggio e alla valutazione degli investimenti alternativi il terzo, ad una violazione degli articoli 12CE e 87CE, per il fatto che la Commissione non ha valutato se l’intervento statale controverso abbia conferito un vantaggio alla ricorrente o se esso sia stato idoneo a falsare la concorrenza nel contesto dell’onere di servizio universale gravante su di essa ed infine, il quarto, ad una violazione dei principi generali di legittimo affidamento, certezza del diritto e proporzionalità derivante dall’ordine di recupero dell’aiuto da parte della Commissione. Tuttavia, in occasione dell’udienza, la ricorrente ha rinunciato al suo terzo motivo. 45Il Tribunale ritiene opportuno esaminare anzitutto il secondo motivo. 46Secondo una giurisprudenza costante, la qualificazione come aiuto ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, CE richiede che siano soddisfatte tutte le condizioni previste da tale disposizione. Pertanto, affinché una misura possa essere qualificata come aiuto di Stato, in primo luogo, deve trattarsi di un intervento dello Stato ovvero effettuato mediante risorse statali, in secondo luogo, detto intervento deve essere tale da incidere sugli scambi tra gli Stati membri, in terzo luogo, deve concedere un vantaggio al suo beneficiario e, in quarto luogo, deve falsare o minacciare di falsare la concorrenza v. sentenza della Corte del 2settembre 2010, Commissione/Deutsche Post, -399/08P, Racc.pag.I‑7831, punti 38 e 39, e giurisprudenza ivi citata . 47Riguardo alla portata del sindacato giurisdizionale sulla decisione impugnata, alla luce dell’articolo 87, paragrafo 1, CE, risulta dalla giurisprudenza che la nozione di aiuto di Stato, come è definita in tale disposizione, ha natura giuridica e deve essere interpretata in base ad elementi oggettivi. Per tale ragione il giudice dell’Unione europea deve esercitare, in linea di principio e tenuto conto sia degli elementi concreti della controversia sottopostagli sia del carattere tecnico o complesso delle valutazioni effettuate dalla Commissione, un controllo completo per quanto riguarda la questione se una misura rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 87, paragrafo 1, CE sentenze della Corte del 16 maggio 2000, Francia/Ladbroke Racing e Commissione, -83/98P, Racc.pag.I‑3271, punto 25, e del 22 dicembre 2008, British Aggregates/Commissione, -487/06P, Racc.pag.I‑10505, punto 111 . 48A tale riguardo, occorre anche rilevare che, nel settore degli aiuti di Stato, sebbene la Commissione goda di un ampio potere discrezionale il cui esercizio implica valutazioni di ordine economico che devono essere effettuate nell’ambito dell’Unione, ciò non implica che il giudice dell’Unione debba astenersi dal controllare l’interpretazione, da parte della Commissione, di dati di natura economica. Infatti, secondo la giurisprudenza della Corte, il giudice dell’Unione è tenuto in particolare a verificare non solo l’esattezza materiale degli elementi di prova addotti, la loro attendibilità e la loro coerenza, ma altresì ad accertare se tali elementi costituiscano l’insieme dei dati rilevanti che devono essere presi in considerazione per valutare una situazione complessa e se siano di natura tale da corroborare le conclusioni che ne sono state tratte sentenza della Corte del 2settembre 2010, Commissione/Scott, -290/07P, Racc.pag.I‑7763, punti 64 e 65 . 49Tuttavia, non spetta al giudice dell’Unione, nell’ambito di tale controllo, sostituire la propria valutazione economica a quella della Commissione. Infatti, il controllo che i giudici dell’Unione esercitano sulle valutazioni economiche complesse condotte dalla Commissione è un controllo ristretto, che si limita necessariamente alla verifica dell’osservanza delle regole procedurali e di motivazione, dell’esattezza materiale dei fatti, nonché dell’assenza di errori manifesti di valutazione e di sviamento di potere v. sentenza Commissione/Scott, cit. supra al punto 48, punto 66, e giurisprudenza ivi citata . 50Nel caso di specie, la ricorrente sostiene che la Commissione è incorsa in un errore manifesto di valutazione nel ritenere che il tasso della Convenzione le avesse conferito un vantaggio. 51Da quanto esposto nei precedenti punti da 15 a 21, risulta che la Commissione ha ritenuto che la ricorrente avesse beneficiato di un simile vantaggio nella misura in cui il tasso della Convenzione era superiore al tasso del mutuatario privato. 52In sostanza, la ricorrente deduce avverso tale conclusione della Commissione due censure. 53Con la sua prima censura, la ricorrente sostiene che il calcolo del tasso del mutuatario privato, effettuato dalla Commissione ai punti da 119 a 180 della decisione impugnata, è viziato da un errore manifesto di valutazione. 54A sostegno di tale censura essa deduce, in sostanza, tre argomenti. In primo luogo, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, non esisterebbe uno specifico rischio di liquidità gravante sul Tesoro, che debba riflettersi sul tasso della Convenzione. In secondo luogo, a proposito del metodo di fissazione del tasso del mutuatario privato, la ricorrente contesta l’affermazione della Commissione secondo la quale un mutuatario privato avrebbe basato la remunerazione della componente stabile della raccolta 90% sul rendimento dei BTP a cinque anni anziché a 30 o a 10 anni . Infatti, la Commissione non poteva ignorare il contesto normativo esistente e fissare il tasso del mutuatario privato indipendentemente dal vincolo d’impiego. Inoltre, la Commissione avrebbe tratto conclusioni erronee da uno studio fornito dalle autorità italiane in merito alla durata della raccolta nell’ambito di una gestione attiva. Peraltro, anche il metodo di fissazione del tasso del mutuatario privato nella parte relativa all’investimento della componente volatile della raccolta postale sarebbe viziato da errore. In terzo luogo, la ricorrente sostiene che l’applicazione del criterio dell’operatore privato necessita, per definizione, di un elemento di confronto sul mercato. La Commissione avrebbe applicato invece un suo proprio tasso del mutuatario privato, fondato su criteri estremamente rigidi, senza indicare alcun operatore di riferimento, senza affidarsi alla valutazione di un esperto anzi, rigettando gli elementi di confronto acquisiti dalle autorità italiane e senza avere riguardo alle caratteristiche specifiche del caso di specie. 55Con la sua seconda censura, la ricorrente sostiene che, in ogni caso, la Commissione non poteva concludere nel senso dell’esistenza di un vantaggio a beneficio della ricorrente in base alla semplice constatazione di un differenziale positivo tra il tasso della Convenzione e il tasso del mutuatario privato. Tale constatazione non dispensava la Commissione dall’accertare se la ricorrente avesse percepito un vantaggio economico che essa non avrebbe ottenuto in condizioni normali di mercato. Orbene, la Commissione avrebbe respinto a torto, ai punti da 181 a 228 della decisione impugnata, gli elementi di prova forniti dalle autorità italiane che dimostravano che la ricorrente era stata penalizzata dalla Convenzione rispetto ai rendimenti più elevati che essa avrebbe potuto ottenere sul mercato in assenza del vincolo d’impiego. 56È opportuno esaminare in primo luogo la seconda censura della ricorrente, insieme all’ultimo argomento da essa sollevato nell’ambito della sua prima censura. 57La ricorrente sostiene che la Commissione, nel concludere nel senso dell’esistenza di un vantaggio economico, non ha tenuto conto a sufficienza dell’incidenza del vincolo d’impiego. Secondo la ricorrente, anche nell’ipotesi in cui la Commissione avesse correttamente fissato il livello del tasso del mutuatario privato, essa avrebbe dovuto svolgere un’analisi completa di tutti gli elementi rilevanti dell’intervento statale in questione e del suo contesto, al fine di verificare se tale intervento fosse tale da procurare alla ricorrente un vantaggio economico che essa non avrebbe ottenuto in condizioni normali. A questo proposito, la Commissione avrebbe dovuto valutare se la ricorrente, qualora avesse potuto investire le somme provenienti dai conti correnti postali secondo criteri di mercato, in assenza di vincolo d’impiego, avrebbe potuto ottenere un rendimento superiore al tasso della Convenzione. 58La Commissione replica che, nella decisione impugnata, essa non ha omesso di prendere in considerazione il vincolo d’impiego. La Commissione sottolinea che, in assenza di tale vincolo, la ricorrente avrebbe potuto ritirare immediatamente le somme depositate presso la Tesoreria dello Stato. Di conseguenza, in assenza di tale vincolo, un mutuatario razionale avrebbe remunerato tale deposito come una qualsiasi banca remunera un deposito a vista. La Commissione sostiene di aver tenuto conto di tale aspetto nel calcolo del tasso del mutuatario privato, esaminando in che modo un mutuatario privato, al posto del Ministero, avrebbe valutato la probabilità di mantenimento del vincolo d’impiego. Per converso, dal momento che la ricorrente non aveva la possibilità di effettuare investimenti alternativi con le somme gravate da tale vincolo fintantoché questo veniva mantenuto, non era necessario, secondo la Commissione, stabilire se tali somme avrebbero potuto essere investite in modo più remunerativo. La Commissione sottolinea l’esistenza di una certa contraddizione negli argomenti della ricorrente secondo i quali, da un lato, il Ministero avrebbe dovuto considerare il vincolo d’impiego come un dato di fatto immutabile e, dall’altro, la Commissione avrebbe dovuto valutare altre possibilità di investimento della ricorrente al fine di stabilire se la remunerazione derivante dalla Convenzione le conferisse un vantaggio. Infine, la Commissione insiste sul fatto di aver applicato il criterio dell’operatore privato diligente, che consiste nel paragonare il comportamento delle autorità pubbliche a quello di un ipotetico operatore di mercato che agisca in circostanze analoghe. 59Per quanto riguarda la terza condizione di cui all’articolo 87, paragrafo 1, CE, relativa all’esistenza di un vantaggio a favore del beneficiario dell’aiuto, va ricordato che da una giurisprudenza costante emerge che vengono considerati aiuti di Stato gli interventi che, sotto qualsiasi forma, sono atti a favorire direttamente o indirettamente determinate imprese o che devono essere considerati come un vantaggio economico che l’impresa beneficiaria non avrebbe ottenuto in condizioni normali di mercato v. sentenza Commissione/Deutsche Post, cit. supra al punto 46, punto 40, e giurisprudenza ivi citata . 60Ebbene, al fine di stabilire l’esistenza, per l’impresa beneficiaria, di un vantaggio che essa non avrebbe potuto ottenere in condizioni di mercato, la Commissione è tenuta ad effettuare un’analisi completa di tutti gli elementi rilevanti dell’intervento statale controverso e del suo contesto, compresa la situazione dell’impresa beneficiaria e del mutuatario privato in questione. La Commissione può esaminare, in particolare, la questione se l’impresa avrebbe potuto procurarsi presso altri investitori fondi che le procurassero gli stessi vantaggi e, eventualmente, a quali condizioni, atteso che una misura non può costituire un aiuto di Stato se non pone l’impresa in una situazione più vantaggiosa di quella in cui essa si sarebbe trovata senza l’intervento della pubblica autorità v.,in tal senso, sentenza del Tribunale del 3 marzo 2010, Bundesverband deutscher Banken/Commissione, T‑163/05, Racc.pag.II‑387, punto 37, e giurisprudenza ivi citata . 61Infine, gli interventi statali assumono forme diverse e devono essere analizzati in funzione dei loro effetti. Pertanto, quando un intervento statale comporta per un’impresa molteplici conseguenze, la Commissione deve prendere in considerazione l’effetto cumulativo di tali conseguenze, al fine di valutare l’esistenza di un eventuale vantaggio conferito all’impresa beneficiaria. 62Nel caso di specie, l’intervento statale che, secondo la Commissione, avrebbe potuto conferire un vantaggio alla ricorrente, vale a dire la fissazione del tasso della Convenzione, non può essere disgiunto dall’imposizione alla ricorrente, da parte dello Stato, del vincolo d’impiego. Si tratta, in realtà, di un solo intervento statale consistente sia nel remunerare il deposito delle somme provenienti dai conti correnti postali presso la Tesoreria dello Stato, sia, prima ancora e principalmente, nell’obbligare la ricorrente ad effettuare tale deposito. Sul piano economico, tale intervento statale ha comportato per la ricorrente due diverse conseguenze. Da un lato, esso l’ha privata della possibilità, in linea di principio aperta a qualsiasi altra banca, di impiegare le somme provenienti dai conti correnti postali da essa gestiti per effettuare qualsiasi investimento, conforme alla vigente legislazione bancaria, che essa ritenesse opportuno. Dall’altro, tale intervento le ha procurato una remunerazione. 63Occorre dunque esaminare se, nella decisione impugnata, la Commissione abbia adeguatamente dimostrato che l’effetto cumulativo dell’intervento statale di cui al punto precedente, complessivamente considerato, sia tale da porre la ricorrente in una situazione più vantaggiosa rispetto a quella in cui si sarebbe trovata in assenza di tale intervento. 64A tale proposito, occorre considerare che il differenziale positivo tra il tasso della Convenzione e il tasso del mutuatario privato costituisce senz’altro un indizio dell’esistenza di un vantaggio in favore della ricorrente ma, tenuto conto delle circostanze del caso di specie, non è sufficiente per affermarne l’esistenza. 65Infatti, come la ricorrente ha giustamente sostenuto, il tasso del mutuatario privato che la Commissione ha definito ai punti da 119 a 180 della decisione impugnata non è stato calcolato a partire da un’analisi di convenzioni o meccanismi di prestito comparabili, per natura o per volume, a quello di cui alla Convenzione. Da quanto detto nei precedenti punti da 15 a 21 risulta che la Commissione ha esaminato soltanto il livello di remunerazione che il Ministero avrebbe potuto domandare unilateralmente tenendo conto di quattro parametri, vale a dire la massa delle somme depositate, la stabilità di tali somme, la durata media del deposito delle somme e i rischi finanziari sostenuti. In tali condizioni, il tasso del mutuatario privato definito ai punti da 119 a 180 della decisione impugnata non costituisce un vero e proprio tasso di mercato . 66Tuttavia, quand’anche il tasso del mutuatario privato indicato dalla Commissione fosse stato un tasso di mercato , ciò non toglie che, nel contesto particolare del caso di specie, caratterizzato dall’imposizione di un vincolo d’impiego che si traduce nell’impossibilità per la ricorrente di impiegare le somme provenienti dai conti correnti postali per effettuare qualsiasi investimento alternativo, la ricorrente potrebbe beneficiare di un vantaggio soltanto se percepisse per il deposito di tali somme, in applicazione del tasso della Convenzione, una remunerazione superiore al rendimento che avrebbe potuto ragionevolmente ottenere nell’ambito di una gestione libera e prudente di queste ultime. 67Va inoltre rilevato che, dal momento che l’esistenza di un aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, CE è una questione oggettiva e soggetta a un controllo giurisdizionale pieno v. supra, punto 47 , l’onere della prova dell’esistenza di un simile aiuto grava, in linea di principio, sulla Commissione. Tuttavia, quest’ultima è dotata di un ampio margine di discrezionalità nell’ambito del confronto che essa è tenuta ad effettuare, a questo proposito, tra il tasso della Convenzione e il rendimento alternativo ragionevole di cui al precedente punto 66, confronto che implica una valutazione economica complessa, in particolare per quanto riguarda l’analisi del carattere più o meno ragionevole degli investimenti alternativi presi in considerazione. 68Ne consegue che la Commissione non poteva concludere nel senso dell’esistenza di un aiuto di Stato in favore della ricorrente senza impegnarsi attivamente a dimostrare che, nell’ipotesi in cui quest’ultima non fosse stata più soggetta ad un vincolo d’impiego, essa non avrebbe potuto ragionevolmente ottenere sul mercato un tasso superiore a quello previsto dalla Convenzione attraverso una gestione prudente delle somme gravate da tale vincolo. A questo proposito, la Commissione poteva ricorrere, se necessario, ai poteri d’indagine di cui essa dispone in base al regolamento CE numero 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999, recante modalità di applicazione dell’articolo [88CE] GU L83, pag.1 , nonché prendere in considerazione gli investimenti alternativi indicati dalle autorità italiane. 69Dall’insieme delle considerazioni che precedono emerge che la Commissione è incorsa in un errore manifesto di valutazione nel concludere, ai punti 178 e 179 della decisione impugnata, nel senso dell’esistenza di un aiuto di Stato a partire dalla semplice constatazione di un differenziale positivo tra il tasso della Convenzione e il tasso del mutuatario privato. 70È necessario tuttavia verificare se tale errore manifesto di valutazione nel quale è incorsa la Commissione abbia avuto un’influenza determinante sull’esito dell’esame dell’aiuto in questione e debba pertanto comportare, non essendo riuscita la Commissione a dimostrare altrimenti l’esistenza di un vantaggio ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, CE, l’annullamento della decisione impugnata. 71A questo proposito occorre ricordare che, dopo aver concluso, al punto 179 della decisione impugnata, che il tasso della Convenzione costituiva un aiuto di Stato in favore della ricorrente, la Commissione ha analizzato, ad abundantiam, gli argomenti dedotti dalle autorità italiane secondo i quali la ricorrente avrebbe potuto, in assenza di vincolo d’impiego, investire le somme derivanti dai conti correnti postali in forme più remunerative rispetto al tasso della Convenzione. 72Come sottolineato dalla ricorrente, nella sua analisi la Commissione ha respinto, in sostanza, l’insieme dei parametri di riferimento proposti dalle autorità italiane, o in quanto inaffidabili, o perché ha ritenuto che le modalità di investimento alternative non fossero comparabili v. supra, punti 28, 29, da 31 a 33 e 35 . 73In proposito va rilevato, come ha fatto la ricorrente, che taluni motivi dedotti dalla Commissione per contestare la rilevanza degli elementi forniti dalle autorità italiane non sono stati sufficientemente dimostrati. È questo il caso, in particolare, della necessità, invocata dalla Commissione, di considerare con grande prudenza le lettere di diverse banche e lo studio sulla gestione alternativa, in quanto tali banche intrattenevano rapporti commerciali con la ricorrente v. punto 188, i , della decisione impugnata . Se è vero che tale prudenza era necessaria, ciò non significava peraltro che le conclusioni di tali banche fossero necessariamente erronee o distorte, tanto da non dover essere prese in considerazione. Lo stesso vale per l’affermazione della Commissione, a proposito dell’esempio di Efiposte, secondo cui, nel cercare di stabilire se un’impresa avesse ottenuto un vantaggio, la Commissione non doveva confrontare situazioni esistenti nei diversi Stati membri v. supra, punti 25 e 32, e punto 205, primo trattino, della decisione impugnata . Infatti, la Commissione non ha indicato, né nella decisione impugnata né dinanzi al Tribunale, alcuna ragione che permetta di comprendere perché i collocamenti effettuati da un operatore postale francese non potessero essere presi in considerazione per valutare i rendimenti della gestione attiva delle somme da parte di un operatore postale italiano, tanto più che i mercati finanziari sui quali erano effettuati tali collocamenti non si limitavano ai soli mercati nazionali, in quanto il settore dei servizi finanziari era stato oggetto di un rilevante processo di liberalizzazione a livello comunitario, che aveva rafforzato la concorrenza che già poteva derivare dalla libera circolazione dei capitali prevista dal Trattato v., in tal senso, sentenza della Corte del 10 gennaio 2006, Cassa di Risparmio di Firenze ea., -222/04, Racc.pag.I‑289, punto 145 . 74La Commissione non ha neppure definito altri parametri di riferimento alternativi che le permettessero di stabilire se il tasso della Convenzione avesse conferito un vantaggio alla ricorrente rispetto ai rendimenti che essa avrebbe potuto ottenere sul mercato, qualora non fosse stata soggetta al vincolo d’impiego. 75Come emerge da quanto detto nei precedenti punti 30 e 34, la Commissione ha accettato eccezionalmente, e soltanto ad abundantiam, di esaminare il livello di rendimento di taluni investimenti alternativi indicati dalle autorità italiane in assenza del vincolo d’impiego. Si tratta, da un lato, dei rendimenti, ottenuti da Poste Vita, delle somme provenienti dai prodotti assicurativi Posta Più e Posta Valore punti da 192 a 199 della decisione impugnata e, dall’altro, dei rendimenti generati nell’ambito di una gestione attiva dei fondi provenienti dai conti correnti postali, indicati nello studio sulla gestione alternativa punti da 207 a 209 della decisione impugnata . Sulla base di questi due confronti, la Commissione ha concluso, al punto 228 della decisione impugnata, che le possibilità di investimento alternative in assenza di vincolo di impiego non avrebbero permesso [alla ricorrente] di conseguire, nel periodo di riferimento, rendimenti simili o superiori a quelli della Convenzione, in una prospettiva rischio/rendimento . 76Ciò considerato, occorre verificare se la Commissione potesse legittimamente concludere, in base alla sua analisi di questi due rendimenti alternativi, per l’esistenza di un vantaggio ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, CE, in favore della ricorrente. 77Per quanto riguarda, in primo luogo, il confronto con i prodotti assicurativi, la Commissione ha concluso che il tasso della Convenzione era superiore ai rendimenti netti di Posta Più e di Posta Valore punti 196 e 197 della decisione impugnata e che questi ultimi rendimenti erano in media comparabili, durante il periodo 2005-2007, al tasso del mutuatario privato punto 199 della decisione impugnata . 78La Commissione è giunta a tale conclusione dopo aver operato un aggiustamento al ribasso dei dati relativi al rendimento delle somme provenienti da tali prodotti assicurativi al fine di tener conto dei costi di gestione legati a tali prodotti. Infatti, la Commissione ha rilevato, al punto 193 della decisione impugnata, che il rendimento di Posta Più indicato [dalle autorità italiane], espresso in termini lordi al lordo cioè degli oneri di gestione non [poteva] essere considerato equivalente a quello ottenibile [dalla ricorrente] sul mercato in assenza di vincolo di impiego , e ha ritenuto che il tasso di interesse previsto dalla Convenzione si avvicin[asse] più ad un tasso netto, essendo questo il tasso offerto all’investitore, dedotti gli oneri di gestione . A tal proposito, la Commissione ha precisato, in una nota a piè di pagina, che essa non rit[eneva] che sussist[essero] significativi costi di transazione [né] secondo la metodologia del mutuatario privato né nella Convenzione . 79La ricorrente sostiene che, nell’effettuare tale aggiustamento al ribasso, la Commissione è incorsa in un errore manifesto di valutazione. Secondo la ricorrente, la Commissione avrebbe dovuto confrontare il rendimento dei fondi provenienti dai conti correnti postali depositati presso la Tesoreria dello Stato con il rendimento delle somme provenienti dai contratti di assicurazione, senza dedurre i costi di gestione di tali prodotti. Non si trattava infatti di verificare se i conti correnti postali fossero più redditizi dei prodotti assicurativi, bensì di confrontare le modalità di investimento della raccolta di questi due tipi di prodotti e la loro redditività. Nella replica, la ricorrente precisa che la Commissione ha confrontato il rendimento dei prodotti di Poste Vita, al netto dei costi di gestione, con il rendimento lordo del deposito effettuato presso la Tesoreria dello Stato. 80In risposta a tali argomenti, la Commissione non ha contestato che i costi da essa dedotti dal calcolo corrispondessero ai costi di gestione dei prodotti assicurativi stessi. Essa si è limitata ad affermare che tale deduzione era necessaria in quanto la remunerazione percepita nell’ambito della Convenzione era assimilabile ad un tasso di interesse netto, in quanto essa non rit[eneva] che sussist[essero] significativi costi di transazione [né] secondo la metodologia del mutuatario privato né nella Convenzione . 81A tal proposito occorre rilevare che, come fatto valere in sostanza dalla ricorrente, la finalità del confronto effettuato dalla Commissione tra il tasso della Convenzione e il rendimento dei prodotti assicurativi Posta Più e Posta Valore non era di stabilire se tali prodotti assicurativi avessero un rendimento netto più o meno elevato rispetto ai conti correnti postali e fossero quindi a monte più remunerativi per la ricorrente. La finalità era quella di confrontare, a valle, il tasso della Convenzione con il rendimento che la ricorrente avrebbe potuto ragionevolmente ottenere se fosse stata libera di collocare le somme provenienti dai conti correnti postali sui mercati finanziari, analogamente a quanto aveva potuto fare con le somme provenienti dai prodotti assicurativi. 82Ne consegue che i costi di gestione relativi ai conti correnti postali e ai prodotti assicurativi non erano pertinenti al fine di confrontare il tasso della Convenzione con le possibilità di investimento alternative che sarebbero esistite in assenza del vincolo d’impiego. Soltanto i costi di gestione relativi all’investimento delle somme provenienti da tali conti e da tali prodotti avrebbero potuto essere presi in considerazione. Ebbene, come indicato precedentemente, la Commissione non ha contestato che ad essere stati dedotti dal rendimento ottenuto dalle somme derivanti dai conti correnti postali siano stati i costi di gestione associati ai prodotti assicurativi. 83Si deve pertanto concludere che la Commissione ha effettuato a torto tale deduzione. 84Il solo argomento invocato dalla Commissione per giustificare siffatta deduzione non inficia questa constatazione. Infatti, l’affermazione secondo cui la Commissione non rit[eneva] che sussist[essero] significativi costi di transazione [né] secondo la metodologia del mutuatario privato né nella Convenzione non risulta in alcun modo suffragata e non giustifica, in ogni caso, che vengano presi in considerazione i costi di gestione dei prodotti che hanno generato le somme la cui gestione finanziaria è oggetto di confronto sul piano della redditività. 85Alla luce di quanto sopra, si deve concludere che il confronto tra il tasso della Convenzione e i rendimenti netti dei prodotti assicurativi, effettuato dalla Commissione in via ultronea ai punti da 192 a 199 della decisione impugnata, non era pertinente al fine di dimostrare l’esistenza di un vantaggio ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, CE, tanto più che la Commissione stessa aveva negato la pertinenza di tale confronto. 86Per quanto riguarda, in secondo luogo, il confronto tra il tasso della Convenzione e i rendimenti prodotti nell’ambito della gestione attiva dei fondi illustrata nello studio sulla gestione alternativa, la Commissione, al punto 209 della decisione impugnata, ha concluso che nel 2005-2007, periodo di vigenza della Convenzione, risult[ava] che la gestione attiva dei fondi avrebbe [avuto] rendimenti più bassi di quelli della Convenzione e di quelli derivanti dall’applicazione della metodologia del mutuatario privato . 87Come detto nel precedente punto 34, dalla decisione impugnata emerge in sostanza che la Commissione ha fondato tale conclusione su due constatazioni. 88Nell’ambito di una prima constatazione, essa ha ritenuto che, nel periodo di vigenza della Convenzione ossia il periodo 2005-2007 , il tasso della Convenzione, nonché il tasso del mutuatario privato, fossero stati più elevati del rendimento ottenuto nello stesso periodo nell’ambito della gestione attiva dei fondi illustrata durante lo studio sulla gestione alternativa [punto 208, iv , della decisione impugnata]. 89A questo proposito, la ricorrente sostiene che lo studio sulla gestione alternativa prendeva in considerazione un intero ciclo economico di dieci anni, e che il periodo triennale al quale la Commissione si è riferita era assolutamente insufficiente per una valutazione del rendimento di strumenti comparabili. La ricorrente ricorda anche che tale studio mirava a confrontare il tasso della Convenzione indicizzato su parametri variabili con altri strumenti a tasso fisso. Tale studio illustrerebbe che i rendimenti a lungo termine di questi due tipi di collocazione tendono ad essere simili, sebbene nel breve termine i rendimenti possano differire. 90In risposta a tali argomenti, la Commissione insiste sul fatto che, nell’ambito di un’analisi comparativa, risultava logico e corretto, da un punto di vista finanziario, confrontare strumenti di investimento i cui tassi avessero la stessa natura, il che non avveniva nel caso di specie. Essa aggiunge che la Convenzione aveva una durata di tre anni, così che l’argomento secondo il quale, nel lungo termine, titoli a tasso fisso e titoli a tasso variabile dovrebbero tendere a produrre risultati simili sarebbe poco pertinente. 91Dal punto 85, v , quarto trattino, della decisione impugnata emerge che, per confrontare il rendimento di un portafoglio di investimento completamente indicizzato deposito presso la Tesoreria dello Stato e quello di un portafoglio di gestione attiva delle liquidità, le autorità italiane avevano segnalato la necessità di fare riferimento a un periodo significativo, cioè un periodo di dieci anni, che incorporasse almeno un ciclo economico completo. È a questo scopo che lo studio sulla gestione alternativa aveva confrontato il tasso della Convenzione con i rendimenti derivanti da strategie alternative su un periodo di dieci anni. Secondo le autorità italiane, nell’arco di un tale periodo, un portafoglio a tasso variabile è assimilabile a un portafoglio a tasso fisso, nella misura in cui i guadagni e le perdite in conto capitale tendono a bilanciarsi. La Commissione non ha contestato tale constatazione nella decisione impugnata, né davanti al Tribunale. 92In linea con la ricorrente, occorre rilevare che, nel momento in cui la Commissione, malgrado le proprie riserve sulla comparabilità di tali dati, ha accettato in via ultronea di confrontare il rendimento derivante dalla Convenzione con quello di un portafoglio di gestione attiva delle liquidità, quale emergeva dallo studio sulla gestione alternativa, essa non poteva ignorare il periodo durante il quale tali rendimenti erano stati considerati come comparabili in tale studio dieci anni e che essa non contestava. 93Infatti, una strategia di investimento attiva la cui remunerazione è composta da elementi a forte variabilità può essere caratterizzata da periodi di redditività debole, o addirittura negativa, compensati da periodi caratterizzati da forti guadagni. Pertanto, lasciando da parte la questione di stabilire se una strategia di investimento così configurata potesse essere considerata nel caso di specie come un investimento ragionevole ai fini del confronto con il tasso della Convenzione, occorre osservare che l’analisi comparativa della redditività di tale strategia può essere effettuata soltanto facendo riferimento a un periodo sufficientemente rappresentativo. 94Ne deriva che la Commissione non poteva effettuare un valido confronto della redditività della Convenzione con quella della strategia analizzata nello studio sulla gestione alternativa, concentrandosi su un periodo di soli tre anni cioè il periodo 2005‑2007 , che non era necessariamente rappresentativo del rendimento generale ottenuto con tale strategia. 95Pertanto, il semplice fatto che, durante il periodo 2005-2007, il tasso della Convenzione e il tasso del mutuatario privato fossero stati più elevati del rendimento della gestione attiva, illustrata nello studio sulla gestione alternativa, non costituiva un elemento pertinente al fine di permettere alla Commissione di concludere nel senso dell’esistenza di un vantaggio ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, CE, e ciò a maggior ragione in quanto la Commissione stessa aveva messo in discussione la pertinenza di tale confronto. 96Nell’ambito di una seconda constatazione, la Commissione ha spiegato, al punto 208, v , della decisione impugnata, che dallo studio sulla gestione alternativa emergeva che il rendimento implicito del portafoglio della ricorrente nel 2007, primo anno durante il quale quest’ultima ha potuto effettuare una gestione attiva delle liquidità derivanti da una parte delle somme provenienti dai conti correnti postali, [era] pari a 5,13% così composto 4,13% di rendimento del portafoglio e 1% di guadagno in conto capitale implicito . La Commissione ha ricordato tuttavia che, a suo parere, i guadagni o le perdite in conto capitale non [dovevano] essere considerati in un’analisi ex-ante [e che, di] conseguenza, non [potevano] effettuarsi confronti significativi tra i rendimenti totali del benchmark e della tactical strategy da un lato, e quelli della Convenzione dall’altro . La Commissione ha in seguito indicato che [n]el caso comunque di tali confronti, nel 2007 il rendimento del 4,13% fisso, senza guadagni in conto capitale e, a quanto consta, senza costi di transazione della gestione attiva [sarebbe stato] inferiore al 4,70% della Convenzione e al 4,23% calcolato secondo la metodologia del mutuatario privato . 97Va osservato che le ragioni che hanno indotto la Commissione ad escludere dal confronto i guadagni o le perdite in conto capitale emergono dal punto 188, iii , della decisione impugnata, nel quale la Commissione ha ricordato che il meccanismo della Convenzione, a causa della sua indicizzazione legata a tassi variabili, non poteva generare né guadagni né perdite in conto capitale. La Commissione ha anche aggiunto, al punto 208, ii , primo trattino, della decisione impugnata, che lo studio sulla gestione alternativa aveva fatto un’analisi ex post, basata su indicatori finanziari del periodo 1997-2007. Ebbene, le valutazioni ex ante ed ex post non sarebbero paragonabili. L’attendibilità delle previsioni dei guadagni o delle perdite in conto capitale nel breve periodo sarebbe scarsa. La Commissione ha ritenuto dunque inutile considerare i guadagni o le perdite in conto capitale. Essa ha ritenuto invece indispensabile concentrarsi sui rendimenti attesi ex ante, vale a dire sulla componente interessi del rendimento totale. 98La ricorrente contesta la conclusione della Commissione secondo la quale i guadagni o le perdite in conto capitale non dovevano essere presi in considerazione nell’ambito del confronto tra il tasso della Convenzione e i rendimenti alternativi illustrati nello studio sulla gestione alternativa nell’ambito di una gestione attiva. Essa aggiunge che omettere, nel confronto, il riferimento ai guadagni in conto capitale equivarrebbe a prendere in considerazione un operatore di riferimento dal comportamento irrazionale dal punto di vista finanziario, che si astiene dal gestire attivamente i propri investimenti e si limita a lasciarli fruttare passivamente. 99In risposta a tali argomenti, la Commissione sottolinea l’impossibilità di confrontare gli investimenti alternativi illustrati dalle autorità italiane, che sono fondati su tassi d’interesse fissi e generano guadagni e perdite in conto capitale, con il tasso della Convenzione. La Commissione ricorda anche che, in una valutazione ex ante, l’attendibilità delle previsioni sui guadagni o sulle perdite in conto capitale è scarsa. La Commissione aggiunge, nella controreplica, che la dimostrazione fornita dalle autorità italiane si basava su un’osservazione ex post dell’andamento dei tassi di interesse, il quale non poteva essere conosciuto al momento della stipula della Convenzione. Pertanto, la Commissione non sarebbe incorsa in alcun errore nel non considerare i guadagni in conto capitale degli investimenti alternativi di cui allo studio sulla gestione alternativa. 100Occorre rilevare che, quando, a dispetto delle proprie riserve in merito alla comparabilità degli investimenti e alla pertinenza dei dati acquisiti ex post, la Commissione ha proceduto, in via ultronea, al confronto del tasso della Convenzione con i rendimenti ottenuti dalla ricorrente nel 2007 nell’ambito della sua gestione attiva, essa non poteva escludere dalla propria analisi la remunerazione derivante dai guadagni o dalle perdite in conto capitale senza snaturare tale confronto. 101Da un lato, infatti, tale fattore di remunerazione costituiva una parte essenziale della strategia di gestione attiva delle liquidità intrapresa dalla ricorrente nel 2007 e non poteva dunque essere ignorato dalla Commissione nella sua analisi, anche se la prevedibilità di tali guadagni o di tali perdite in conto capitale poteva essere meno precisa nel breve termine. 102Dall’altro, il fatto che il meccanismo della Convenzione non generasse né guadagni né perdite in conto capitale non giustificava l’esclusione di tale fattore di remunerazione dall’analisi. Infatti, come sottolinea la ricorrente, la Commissione non doveva confrontare il meccanismo della Convenzione con un meccanismo identico, ma con ogni altra possibilità di investimento alternativa che la ricorrente avrebbe potuto intraprendere in assenza del vincolo d’impiego. 103Peraltro, come emerge da quanto detto nel precedente punto 92, la Commissione non poteva ignorare il periodo durante il quale il tasso della Convenzione e i rendimenti ottenuti nell’ambito di una gestione attiva delle liquidità erano stati considerati comparabili nello studio sulla gestione alternativa cioè un periodo di dieci anni né poteva trarre fondate conclusioni, in termini di comparabilità, dal livello di rendimento ottenuto nel corso di un solo anno. 104Occorre pertanto rilevare che la constatazione della Commissione, secondo la quale il rendimento ottenuto dalla ricorrente nel 2007 nell’ambito della gestione attiva risultava inferiore, una volta dedotti i guadagni in conto capitale, al tasso della Convenzione e al tasso del mutuatario privato non era pertinente al fine di dimostrare l’esistenza di un vantaggio ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, CE, in favore della ricorrente, e ciò a maggior ragione in quanto la Commissione stessa ha messo in discussione la pertinenza di tale confronto. 105Ne deriva che neanche l’analisi ultronea delle possibilità di gestione attiva illustrate dalle autorità italiane sulla base dello studio sulla gestione alternativa, svolta dalla Commissione ai punti da 207 a 209 della decisione impugnata, è pertinente al fine di dimostrare l’esistenza di un aiuto di Stato. 106Considerato tutto quanto precede, la conclusione raggiunta dalla Commissione al punto 228 della decisione impugnata, secondo la quale le possibilità alternative di investimento, in assenza di vincolo d’impiego, non avrebbero permesso alla ricorrente di conseguire rendimenti simili o superiori al tasso della Convenzione, si fonda su elementi erronei o insufficienti. 107Di conseguenza, l’analisi del rendimento di taluni investimenti alternativi illustrati dalle autorità italiane, svolta dalla Commissione in via ultronea ai punti da 181 a 229 della decisione impugnata, non ha permesso alla Commissione di adempiere all’onere della prova che le incombeva, per dimostrare l’esistenza di un vantaggio ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, CE.Tale analisi non può dunque rimediare all’errore in cui è incorsa la Commissione quando ha concluso, ai punti da 119 a 180 della decisione impugnata, nel senso dell’esistenza di un aiuto, senza considerare il vincolo d’impiego. 108Pertanto, il secondo motivo di ricorso deve essere accolto. 109Si deve quindi annullare la decisione impugnata senza che sia necessario esaminare gli altri argomenti e motivi del ricorso. Sulle spese 110Ai sensi dell’articolo87, paragrafo2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la ricorrente ne ha fatto domanda, la Commissione, rimasta soccombente, va condannata alle spese. Per questi motivi, IL TRIBUNALE Sesta Sezione dichiara e statuisce 1 La decisione 2009/178/CE della Commissione, del 16 luglio 2008, relativa all’aiuto di Stato cui l’Italia ha dato esecuzione per remunerare i conti correnti di Poste Italiane SpA presso la Tesoreria dello Stato [C42/06 ex NN 52/06 ] è annullata. 2 La Commissione europea è condannata a sopportare, oltre alle proprie spese, le spese di Poste Italiane. * Fonte http //curia.europa.eu/