Con la decisione in questione la Suprema Corte ha avuto modo di sintetizzare i principi che sovraintendono, specie per quanto riguarda la professione sanitaria, i criteri di giudizio necessari per l’affermazione di responsabilità penale per rifiuto di atti d’ufficio di cui all’articolo 328, comma 1, c.p
Il caso. Un cardiologo viene avvertito telefonicamente da un collega delle gravi condizioni in cui si trova un paziente ricoverato nel reparto di chirurgia maxillo facciale benché si richieda ripetutamente un intervento urgente del cardiologo a fronte del peggioramento delle condizioni del malato, quello rifiuta ogni assistenza. L’imputato, condannato in primo e secondo grado, ricorre per cassazione sostenendo, al di là di fragili questioni procedurali, che la sentenza andrebbe cassata in quanto non avrebbe tenuto conto della discrezionalità medica, di cui si sarebbe avvalso il cardiologo nel decidere di non prestare assistenza, e che non poteva sostenersi l’integrazione della fattispecie perché in ogni caso mancava una disposizione normativa o un ordine particolare che imponeva una tale assistenza. La Corte ha opportunamente respinto ogni lagnanza sul merito evidenziando che ai fini dell’affermazione della responsabilità ex articolo 328, comma 1, c.p. ciò che rileva è essenzialmente l’urgenza dell’intervento in questo caso sanitario così come si appalesa per le circostanze del caso concreto. Si è, infatti, da tempo ormai affermato nella giurisprudenza di legittimità il principio per cui «il reato di rifiuto di atti d’ufficio sussiste anche quando il rifiuto consegua a una situazione di urgenza che, di fatto, avrebbe dovuto imporre il compimento dell'atto, non essendo necessario che l’indebito diniego del comportamento doveroso consegua a una richiesta o a un ordine espresso » vedi da ultimo Cass. Penumero sez. IV sentenza numero 17069/2012 . Da ciò l’ovvia conclusione per la quale, innanzi all’urgenza dell’atto richiesto, ogni difesa dell’omissione, che si incentri dietro a formalismi e a procedure burocratiche risulta di per sé irrilevante, salvo che in senso contrario non si oppongano esigenze di tutela di interessi contrapposti di rango costituzionale tra i quali, per esempio, rientra certamente il diritto di difesa . Nello stesso modo, poiché la fattispecie penale de qua è strutturata secondo la categoria dei reati di pericolo, non rileva ai fini dell’impunità l’analisi degli esiti concreti dell’omissione. Il concetto «senza ritardo» lascia ampi margini di discrezionalità. D’altra parte, come è pure intuitivo comprendere, il concetto di urgenza o, per meglio dire, di «senza ritardo» previsto dalla disposizione criminale in questione non è fattuale, implicando giudizi di valore, sicché nella sua definizione concreta si hanno insopprimibili margini di discrezionalità. Trattandosi di materia soggetta alla scienza medica, del resto, non è improprio ritenere che il medico, ancorché del tutto colpevolmente, possa formarsi un errato giudizio, che lo possa condurre al di fuori della responsabilità ex articolo 328 c.p., che richiede il dolo per la colpevolezza. Ma da tale corretta opinione non può desumersi sic et simpliciter che ogni omesso intervento sia di per sé giustificabile il tutto va, infatti, valutato alla luce delle emergenze processuali e di elementi di fatto concreti, di modo che il dubbio sul punto assuma una veste ragionevole e non capziosa. Si spiega allora l’ulteriore principio implicito nella sentenza in commento ma certamente preso in considerazione secondo cui «in tema di rifiuto d'atti d'ufficio il giudice può valutare l'esercizio della discrezionalità tecnica opposta dal sanitario a giustificazione del suo comportamento» da ultimo Cass. Penumero Sez. VI sentenza numero 35526/2011 . Nella specie è accaduto che la difesa ha semplicemente e genericamente sostenuto che l’omesso intervento fosse connesso a valutazioni effettuate dal cardiologo sulla non necessità dell’intervento sulla scorta delle indicazioni telefoniche ricevute difesa che è apparsa del tutto capziosa per il semplice fatto che la richiesta di intervento è stata ripetutamente reiterata a fronte dell’aggravamento delle condizioni di salute del paziente. Come ha correttamente sottolineato la Suprema corte, nel caso in questione una seria e compiuta valutazione della necessità della consulenza cardiologica poteva effettuarsi solo a seguito di una visita del paziente, visita che appunto è stata inopinatamente omessa. Del resto, in altre circostanze, seppur non del tutto assimilabili, la Corte di cassazione ha ritenuto che l’omessa visita del paziente da parte di un sanitario, laddove essa sia richiesta urgentemente da altro medico e, quindi, da un soggetto qualificato, importa la responsabilità ex articolo 328 comma 1 c.p. del primo, «non essendogli consentito di sindacare a distanza la necessità e l'urgenza della chiamata» vedi Cass. Penumero Sez. VI sentenza numero 48379/2008 . Da quanto sopra, in definitiva, non può che apparire l’ovvietà del rigetto del ricorso. Considerando. A margine del tutto, tuttavia, non paiono fuori luogo alcune considerazioni generali. E’ sempre più avvertita non solo nella giurisprudenza di legittimità la necessità, specie per i servizi pubblici di primario interesse, che la sostanza valga più della forma e che, quindi, non sia ammissibile escludere l’intervento allorché vi sia una situazione di fatto che lo renda urgente. Nello stesso modo, fermo restando un margine di opinabilità di ogni decisione, è altrettanto evidente che laddove si richieda la presenza fisica del soggetto, di cui si invoca l’intervento senza ritardo, questi non può legittimamente eludere tale richiesta valutando a priori come non necessario il proprio intervento soprattutto in ambito sanitario, se la situazione è riferita come grave o è così indicata da altro medico, di regola e per fortuna non si può prescindere da una effettiva verifica delle circostanze in cui versa il paziente. Dopo tutto, il medico ha il compito di curare e di curare bene e ciò è strettamente connesso al particolarissimo rapporto che lo lega al proprio paziente. Dopo tutto, nonostante ogni riforma non sempre coerente e paziente del sistema sanitario nostrano, il giuramento d’Ippocrate vale ancora qualcosa giuridicamente parlando.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 27 settembre - 8 ottobre 2012, numero 39745 Presidente Agrò – Relatore Gramendola Fatto e diritto Con sentenza in data 5/4/2011 la Corte di Appello di Palermo confermava la decisione in data 3/12/2009, appellata dall'imputata, con la quale il G.I.P. in sede, a seguito di giudizio abbreviato, aveva condannato L.P.L. alla pena sospesa di mesi sei di reclusione, siccome ritenuto. colpevole del reato di rifiuto di atti di ufficio ex art.328/1 cp. - perché quale medico di turno nel reparto cardiologia dell'Ospedale omissis si era rifiutata di effettuare ingiustificatamente una consulenza cardiologia urgente sul paziente A V. , ricoverato nel reparto di chirurgia maxillo facciale della medesima struttura. Contro tale decisione ricorre l'imputata a mezzo del suo difensore, che a sostegno della richiesta di annullamento articola tre motivi. Con il primo motivo eccepisce la nullità del decreto di citazione per il giudizio di appello, la cui notifica, era avvenuta ai sensi dell'art.161/4 cpp presso il difensore di fiducia avv. Fausto Maria Amato, dopo che era fallita la notifica disposta presso il reparto di cardiologia dell'Ospedale di , nonostante che la ricorrente in data 14/6/2006 avesse eletto domicilio presso lo studio del difensore di fiducia dell'epoca avv. Vincenzo Lo Re, revocando la precedente dichiarazione presso l'Ospedale , riguardante peraltro il diverso procedimento penale per omicidio colposo, del quale il presente costituiva uno stralcio. Con il secondo motivo denuncia la violazione della legge penale e processuale e il vizio di motivazione in riferimento 1 alla sussistenza degli elementi costituivi del reato, sostenendo che la ricostruzione della condotta dell'imputata, operata dai giudici del merito non corrispondeva alla realtà, essendo state inspiegabilmente disattese le giustificazioni rese dall'imputata. la quale non ritenne di aderire all'invito di recarsi a visitare il paziente, dal momento che le condizioni di salute a lei riferite per telefono dalla collega B. , medico rianimatore, non rendevano necessaria a suo giudizio la consulenza cardiologia, tenuto conto che le erano stati prospettati un semplice calo pressorio e dati anamnestici e clinici incompleti e non significativi della necessità di un intervento urgente 2 allo scarso rigore con cui erano state valutate le testimonianze assunte ed in particolare, quella della B. , le cui dichiarazioni, rese quale persona anch'essa coinvolta nel procedimento, poi archiviato, teso a verificare se il successivo decesso del V. fosse dovuto a colpa professionale, provenendo da soggetto indagato per reato collegato necessitavano di riscontri e dovevano essere valutate con estremo rigore, 3 alla sussistenza di un obbligo giuridico, gravante sull'imputata di effettuare la consulenza specialistica, richiesta da altro sanitario e della fonte normativa, dal quale esso scaturiva. Con il terzo motivo lamenta la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, che il giudice del gravame aveva negato senza indicare la ragione, e limitandosi a richiamare semplicemente la gravità del fatto e il contegno dell'imputata. Il ricorso non ha fondamento e va rigettato. Non coglie nel segno la censura di cui al primo motivo, che pone in discussione il principio, ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte a mente della quale la notificazione del decreto di citazione in giudizio con consegna di copia al difensore di fiducia ex art.161/4 cpp., invece che presso il domicilio eletto o dichiarato, da luogo ad una nullità a regime intermedio, che deve ritenersi sanata, quando risulti provato che non ha impedito all'imputato di conoscere l'esistenza dell'atto, ed è comunque priva di effetti, se non dedotta tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all'art.184/1, alle sanzioni generali di cui all'art.183, alle regole di deducibilità di cui all'art.182, oltre che ai termini di rilevabilità di cui all'art.180 c.p.p Nel caso in esame all'udienza dibattimentale del giudizio di appello era presente il difensore di fiducia, che nulla ha eccepito al riguardo. Infondate sono le censure in diritto formulate con il secondo motivo. La giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che il reato di rifiuto di atti di ufficio è un reato di pericolo, onde la violazione dell'interesse tutelato dalla norma incriminatrice al corretto svolgimento della funzione pubblica ricorre ogniqualvolta venga denegato un atto non ritardabile alla luce delle esigenze prese in considerazione e protette dall'ordinamento, prescindendosi dal concreto esito della omissione ex plurimis Cass. Sez. VI 23/3-18/4/1997 numero 3599 Rv. 207545 . Quanto all'elemento oggettivo, è stato affermato che il rifiuto si verifica non solo a fronte di una richiesta o di un ordine, ma anche quando sussista un'urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell'atto in modo tale che l’inerzia del pubblico ufficiale assuma la valenza di rifiuto dell'atto medesimo, tanto che esso non è integrato solo nell'ipotesi, in cui l'atto, pur rispondendo alle ragioni indicate dalla norma incriminatrice, non riveste carattere di indifferibilità e doverosità Cass. Sez. VI 13/3-22/5/2006 numero 17570 Rv. 2338 58 11/2-5/5/1999 numero 55 96 Rv.213899 . Quanto all'elemento soggettivo, va osservato che il rifiuto di atti professionali, dovuti - come nel caso in esame - per ragioni sanitarie, deve essere verificato, avendo riguardo alla sua natura di delitto doloso, ossia alla consapevolezza del contegno omissivo, senza tracimare in violazioni sulla colpa professionale sanitaria, che esula dalla struttura psicologica del reato Cass. Sez. VI 6/12/95-9/2/96 numero 1602 Rv. 204468 . Orbene nella fattispecie in esame i giudici del gravame in sintonia con gli enunciati principi hanno correttamente esaminato e valutato le emergenze processuali alla stregua dei rilievi e delle censure formulate nell'atto di appello e sono pervenuti alla conferma del giudizio di colpevolezza con puntuale e adeguato apparato argomentativo, ritenendo anzitutto estraneo al giudizio sulla condotta dell'imputata la circostanza che il paziente fosse poi deceduto in circostanze diverse da quelle per le quali era stato richiesto l'intervento specialistico dell'imputata, e valorizzando poi la cartella clinica redatta dal Dott. R. , la relazione di servizio della Dott. F. , e le concordi deposizioni del Dott. F. e della Dott.ssa B. , che dimostravano in maniera inconfutabile che la Dott.ssa L.P. , pur essendo stata più volte sollecitata a visitare il paziente V.A. , e anche dopo essere stata informata dal Dott. F. dell'aggravarsi delle condizioni cliniche del paziente, che rendevano ancora più urgente il suo intervento, continuò a rifiutarsi di espletare quanto le veniva richiesto. Né a scagionare l'imputata può valere l'argomento difensivo della discrezionalità della consulenza cardiologica, dal momento che la relativa richiesta le pervenne per via telefonica e l'unico modo per decidere sulla convenienza di essa era la visita diretta del paziente. Le altre censure, nonché la censura di cui al terzo motivo mirano solo a sollecitare un nuovo e diverso apprezzamento di merito in ordine alla credibilità dei testi escussi e al diniego della attenuanti generiche, cha la corte territoriale ha ampiamente giustificato con argomenti immuni da vizi logici o interne contraddizioni e come tali non censurabili in sede di scrutinio di legittimità. Segue al rigetto del ricorso la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.