Pagare le rate concordate non basta per liberare i beni dal sequestro

Per il dissequestro dei beni, in ordine al reato di omesso versamento Iva, non è sufficiente l’ammissione al pagamento rateale della somma dovuta. Le ragioni del sequestro vengono meno «solo con il completamento del pagamento rateale concordato».

La fattispecie. Il rappresentante legale di una società veniva indagato per non aver versato l’Iva, per circa 122mila euro, entro il termine articolo 10 ter, d.lgs. numero 74/2000 . Il Gip, però, aveva proceduto alla revoca parziale del sequestro preventivo per equivalente perché, a fronte della segnalazione di irregolarità dell’Agenzia delle Entrate, l’indagato aveva provveduto tempestivamente a richiedere l’ammissione al pagamento rateale della somma dovuta, ottenendola dopo aver prestato idonea fideiussione assicurativa. L’ammissione al pagamento rateale non basta Tuttavia, la decisione del Gip non veniva condivisa dal tribunale del Riesame, che disponeva nuovamente il sequestro preventivo dei beni mobili ed immobili intestati all’interessato. Il rappresentante legale della società presenta ricorso per cassazione, ma la Corte di legittimità concorda con la decisione del Riesame e rigetta il ricorso. il pagamento rateale concordato deve essere completato. La S.C. ribadisce che «la restituzione all’Erario del profitto del reato fa venir meno lo scopo principale perseguito con la confisca, escludendo la temuta duplicazione sanzionatoria» Cass., sez. 3, numero 10120/2010 . Comunque sia le ragioni del sequestro possono venir meno «solo con il completamento del pagamento rateale concordato». In pratica – precisano ulteriormente gli Ermellini – non è sufficiente «il mero accordo con l’amministrazione finanziaria seppure seguito dal pagamento di alcune rate». Per la Corte di Cassazione, dunque, «finché il versamento non sarà completo il destinatario del provvedimento di sequestro continua, infatti, ad avere la disponibilità ancorché parziale del profitto di reato».

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 maggio – 24 luglio 2012, numero 30140 Presidente De Maio – Relatore Sarno Ritenuto in fatto D.F.G. propone ricorso per cassazione avverso l'ordinanza in epigrafe con la quale il tribunale di Genova, sezione per il riesame, accoglieva l'appello proposto dal pubblico ministero presso il medesimo tribunale disponendo nuovamente il sequestro preventivo dei beni mobili ed immobili intestati al ricorrente e/o alla società De Ferrari & amp Devega fino alla concorrenza dell'importo di Euro 112.255. In precedenza il GIP, accogliendo la richiesta del D.F. , aveva proceduto alla revoca parziale del sequestro preventivo per equivalente emesso in relazione al reato di cui all'articolo 10 ter d.LGS 74/2000 fino alla concorrenza di Euro 1000. Il GIP considerava, infatti, per un verso che a fronte della segnalazione di irregolarità dell'agenzia delle entrate di Genova in data 10 marzo 2010, il D.F. , aveva provveduto tempestivamente a richiedere l'ammissione al pagamento rateale della somma dovuta di Euro 112.255, oltre interessi e sanzioni di legge ottenendola dopo avere prestato anche idonea fideiussione assicurativa del costo di circa Euro 16.000 e che i pagamenti periodici erano in corso nell'ottobre 2011, allorquando era stato disposto il sequestro. Per altro verso il GIP aveva ritenuto che nella specie il profitto conseguito dall'indagato e/o dalla società della quale il medesimo era legale rappresentante non poteva identificarsi nell'intero importo Iva dovuto e non versata tempestivamente all'erario, avendo comunque adempiuto il ricorrente all’obbligazione tributaria seppure tardivamente. E, dunque, riteneva il GIP che avrebbe potuto essere ragionevolmente assoggettata a sequestro per equivalente solo la somma corrispondente al beneficio derivante dal tardivo pagamento che poteva essere parametrata al tornaconto corrispondente agli interessi legali ricavabili dalla predetta somma nell'arco dei quattro mesi intercorsi fra la scadenza del termine per il versamento dell'imposta ed il momento in cui era intervenuto l'accordo transattivo con l'agenzia delle entrate. Il tribunale, decidendo sull'appello del PM, mostrava di non condividere l'assunto del GIP rilevando a che l'intervenuto pagamento dell'imposta evasa costituisce soltanto circostanza attenuante che non fa venire meno la responsabilità penale per il reato dal cui riconoscimento consegue la confisca b che nella determinazione del quantum confiscabile occorre prescindere dalla regolarizzazione del debito in sede tributaria, sussistendo piena autonomia tra il piano della riscossione dell'imposta in sede amministrativa tributaria e quello della sanzione penale irrevocabile anche a titolo di confisca c che il concetto di profitto del reato va tenuto distinto dal concetto di lucro derivante dal reato e che mentre il profitto è costituito dall'importo dell'evasione fiscale che resta fisso in quanto cristallizzato al momento della consumazione del reato, il lucro costituisce invece il concreto arricchimento percepito in capo al patrimonio del contribuente variando in conseguenza dell'eventuale restituzione totale o parziale all'erario della somma dovuta d che a riprova di ciò sono assai diverse le conseguenze dell'eventuale pagamento tardivo dell'imposta in quanto mentre sul piano amministrativo tributario la transazione con l'agenzia delle entrate estingue l'obbligazione tributaria, sul piano penale configura unicamente la speciale circostanza attenuante prevista dall'articolo 13 DLvo 74/2000 e consente, altresì, l'applicazione del rito preliminare del patteggiamento altrimenti precluso e che la diversità dei piani trova ulteriore conferma nel fatto che mentre il pagamento del debito tributario avviene in favore dell'agenzia delle entrate, l'ablazione della somma corrispondente per equivalente al profitto del reato avviene in favore del Fondo unico per le spese di giustizia f che l'estinzione del debito erariale assolve ad una funzione risarcitola, laddove, invece, il sequestro funzionale alla confisca per equivalente svolge funzione sanzionatoria g che il regime di obiettivo rigore trova giustificazione nel dichiarato intento di inasprimento della lotta alla evasione fiscale. Deduce il ricorrente in questa sede a la violazione di legge ed il vizio di motivazione ribadendo che nella specie non si versa in ipotesi di totale evasione fiscale bensì di tardivo pagamento di imposta regolarmente dichiarata come dovuta e che la remissione in termini da parte dell'amministrazione finanziaria per il pagamento con garanzie fideiussorie dell'imposta dovuta in forma rateale se non fa venire meno la fattispecie incriminatrice, certamente esclude qualsivoglia profitto per il contribuente in quanto per profitto del reato deve intendersi il vantaggio economico di diretta ed immediata derivazione dal rapporto presupposto. Ritiene, pertanto, che correttamente il GIP abbia revocato il sequestro fino alla concorrenza di Euro 1000. b la violazione di legge ed il vizio di motivazione finendo l'interpretazione del tribunale per creare una ingiustificata parificazione tra la situazione dell'evasore totale e di colui il quale abbia invece denunciato tempestivamente la stessa, in quanto l'articolo 13 del DLGS 74/2000 prevede l'estinzione del reato a prescindere dal fatto che il responsabile abbia in precedenza assunto un comportamento di evasione dell'imposta ovvero di omesso pagamento tempestivo della stessa. Il ricorrente ha successivamente presentato memoria integrativa in cui, oltre a ribadire le precedenti doglianze, insiste sulla circostanza che con l'estinzione del debito tributario viene meno la ragione del sequestro preventivo e cita in proposito la sentenza numero 26654 del 2008 con la quale la Corte ha ribadito che il profitto del reato oggetto della confisca per equivalente si identifica con il vantaggio economico di diretta ed immediata derivazione causale dal rapporto presupposto e che, di conseguenza, può essere sottoposto a sequestro per equivalente ed a successiva confisca solo il vantaggio economico derivante direttamente dal reato. Si sottolinea come nella sentenza citata sia ribadito che la somma restituita o comunque rifusa non sia computabile per la confisca e che la duplicazione della sanzione è da ritenersi illegittima. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato per le ragioni di seguito indicate. Ritiene in premessa il Collegio di dovere rettificare il percorso motivazionale che ha portato all'accoglimento dell'appello del PM che aveva impugnato il provvedimento di revoca - seppure parziale - del decreto di sequestro preventivo per equivalente. Pur nella consapevolezza di orientamenti non sempre sovrapponibili nelle decisioni della Corte in tema di sequestro preventivo per equivalente, ritiene il Collegio di dover sottolineare come le pronunce più recenti siano nel senso di ritenere che il sequestro preventivo per equivalente , disposto nei confronti di persona sottoposta ad indagini per il reato di frode fiscale finalizzata all'evasione delle imposte sui redditi, non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, sicché il giudice è tenuto a valutare l'equivalenza tra il valore dei beni e l'entità del profitto così come avviene in sede di confisca Sez. 3, Ord.numero 1893 del 12/10/2011 Rv. 251797 . Anche Sez. 2, Sentenza numero 45054 del 2011, sia pure per diversa fattispecie criminosa, si pone sulla stessa linea evidenziando come la confisca sia strumentale a colpire l'accrescimento patrimoniale frutto dell'illecito e non una parte del patrimonio in quanto tale, dandosi altrimenti vita ad un effetto sanzionatorio illegittimo, in quanto non previsto dalla legge. E, di conseguenza, si è puntualizzato nell'occasione che il sequestro per equivalente non possa ricomprendere le somme che abbiano già formato oggetto di restituzione. È inoltre vero che, proprio sulla base dei citati principi si è ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli articolo 322 ter cod. penumero ed 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, numero 244 per la parte in cui, nel prevedere la confisca per equivalente anche per i reati tributari previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, numero 74, contrasterebbero, nel caso di sanatoria della posizione debitoria con l'Amministrazione finanziaria, con gli articolo 23 e 25 Cost Si è rilevato, infatti, che la restituzione all'Erario del profitto del reato fa venir meno lo scopo principale perseguito con la confisca, escludendo la temuta duplicazione sanzionatoria Sez. 3, numero 10120 del 01/12/2010 Rv. 249752 . E tale indirizzo va certamente condiviso in quanto lo scopo del sequestro per equivalente in funzione della successiva confisca non può che essere quello di colpire l’accrescimento patrimoniale nei casi in cui non sia possibile apprendere direttamente i beni che rappresentano il profitto del reato. Ora si deve rilevare che l’articolo 10 ter dlvo 74/2000 è strumentale all'obiettivo di reprimere, sanzionandoli penalmente, i fenomeni di evasione in sede di riscossione, in particolare sanzionando il comportamento del soggetto che omette di versare l'Iva risultante a debito in sede di dichiarazione annuale e assimila l'omissione, sotto il profilo sanzionatorio, a quella del sostituto d'imposta che non versa le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti. Ed in ordine al reato indicato, poiché il profitto coincide con l'importo dell'IVA incassata, si appalesa evidente che il sequestro per equivalente non potrà essere disposto per somme eccedenti il valore indicato. Ed è coerente che alla riscossione coattiva si affianchi un sistema finalizzato a favorire la restituzione spontanea introducendo benefici in sede penale quali una attenuante specifica articolo 13 dlvo 74/2000 e l'ammissione al rito del patteggiamento. Ciò posto occorre allora affrontare l'altra questione, vale a dire l'effetto della remissione in termini da parte dell'amministrazione finanziaria per il pagamento con garanzie fideiussorie dell'imposta dovuta in forma rateale. Lo stesso ricorrente riconosce, come detto in precedenza, che ciò non comporta l'estinzione del reato. È intuitivo, alla luce di quanto sin qui detto, che le ragioni del sequestro possano venire meno solo con il completamento del pagamento rateale concordato. Sino ad allora il sequestro rimane legittimo ferma restando la possibilità di ottenere riduzioni in ragione degli importi versati. Non può ritenersi sufficiente invece il mero accordo con l'amministrazione finanziaria seppure seguito dal pagamento di alcune rate. Finché il versamento non sarà completo il destinatario del provvedimento di sequestro continua, infatti, ad avere la disponibilità ancorché parziale del profitto del reato. All'uopo sarà, quindi, semmai funzionale la richiesta di revoca parziale del sequestro con riferimento alle somme versate. Non si può condividere quindi l'assunto del GIP che sostanzialmente ritiene sufficiente l'accordo con l'amministrazione finanziaria per eliminare le ragioni del sequestro. Né vale obiettare che l'accordo contempla il rilascio di garanzia fideiussoria per l'adempimento. Si è già rilevato che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di cui all'articolo 322-ter cod. penumero , le somme di denaro costituenti oggetto del vincolo cautelare quale profitto del reato di corruzione non sono suscettibili di sostituzione attraverso una fideiussione da costituire presso un istituto di credito, trattandosi di una garanzia personale di pagamento non equipollente rispetto al bene in sequestro Sez. 6, numero 36095 del 01/07/2009 Rv. 244870 . Va aggiunto che, come rilevato dalla dottrina, la fideiussione contrasta ontologicamente con la ratio stessa dell'istituto in questione che, a prescindere dalla natura sussidiaria dello strumento, rimane comunque quella di evitare che il responsabile del reato possa trarre beneficio dall'attività illecita perpetrata e pertanto impone una diminuzione patrimoniale corrispondente al profitto. E ciò sul presupposto che il profitto sia stato il movente del reato e che laddove l'interessato fosse lasciato nella disponibilità di esso, si perpetuerebbero le conseguenze del reato. Ed è di tutta evidenza che tale finalità non può in nessun caso essere raggiunta spostando l'obbligazione sul terzo. Va di conseguenza rigettato il ricorso con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, rimanendo così assorbite le altre questioni dedotte. P.Q.M. La Corte suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.