Confermata la condanna per bancarotta fraudolenta documentale. Non regge la tesi che i ‘buchi’ nella contabilità siano dovuti a semplici disattenzioni. E l’amministratore non può cercare appiglio nella figura del professionista a cui ha affidato la gestione della contabilità.
Amministratore unico, da un lato, professionista addetto alla tenuta della contabilità, dall’altro. Ma la bilancia pende, negativamente, dalla parte dell’imprenditore a quest’ultimo, difatti, è addebitabile l’inattendibilità della documentazione della società. Conseguenziale la condanna per bancarotta fraudolenta documentale, soprattutto considerando i periodi di tempo rimasti ‘senza copertura’ Cassazione, sentenza numero 15837/2013, Quinta Sezione Penale, depositata oggi . Consapevolezza. Netta la linea di pensiero seguita sia in primo che in secondo grado responsabile l’amministratore unico della società – dichiarata fallita – per il reato di «bancarotta fraudolenta documentale». Ciò che conta, sulla carta, è la «consapevolezza che la tenuta dei libri e delle scritture contabili renderà impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali», ricordano i giudici. Ebbene, in questa vicenda, è evidente il fatto che «la mancanza di gran parte della documentazione societaria» sia voluta da parte dell’amministratore. Come pure addebitabile a quest’ultimo è «la predisposizione di documenti ritenuti inattendibili dal curatore». Buchi neri. Ad avviso dell’uomo, però, l’ottica adottata dai giudici è erronea. Perché non andava assolutamente dato per acclarato il «dolo intenzionale», ossia «la volontà dell’azione o dell’omissione e quella di rendere non ricostruibile il patrimonio», né, soprattutto, andava trascurato il fatto che «la tenuta della contabilità era affidata a un professionista esterno alla società». Alla peggio, sostiene l’uomo, si può parlare, ragionando sui ‘buchi’ a livello di contabilità, di «mera superficialità» Questa tesi viene, però, completamente respinta dai giudici della Cassazione, i quali, innanzitutto, condividono l’ottica del giudizio di Appello è evidente il «dolo intenzionale» dell’amministratore della società. A dimostrarlo, soprattutto, la mancata «consegna» delle «schede di mastro dal 1992 al 1997, oltre che del 2000, nonché di tutte le fatture emesse e ricevute e di tutti i documenti di prima nota», e «la predisposizione di documenti inattendibili». Impossibile, quindi, parlare di semplice «comportamento omissivo» Piuttosto, è evidente, chiariscono i giudici, la «consapevolezza dell’imputato di rendere impossibile la ricostruzione dell’assetto patrimoniale societario». Rispetto a tale quadro, risulta privo di fondamento anche il richiamo al ruolo del professionista esterno a cui è stata affidata la contabilità societaria. Perché la «tenuta» della documentazione incombeva sull’amministratore, e, comunque, «la predisposizione di documenti ritenuti inattendibili dal curatore» era logicamente connessa a dati trascritti «secondo le indicazioni e i documenti forniti dall’amministratore».
Corte di Cassazione,sez. V Penale, sentenza 5 febbraio – 5 aprile 2013, numero 15837 Presidente Marasca – Relatore Lapalorcia Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 2-2-2012 la Corte d’Appello di Torino, parzialmente riformando quella del Tribunale di Alba in data 24-11-2005, confermava l’affermazione di responsabilità di F.P., quale amministratore unico della Tecnotetto srl, dichiarata fallita il 5-6-2000, per il reato di bancarotta fraudolenta documentale. 1.1. La corte territoriale, rispondendo ad analoga censura sollevata con motivi di appello, premesso che l’elemento soggettivo del reato è il dolo generico, rappresentato dalla consapevolezza dell’agente che la tenuta dei libri e delle scritture contabili renderà o potrà rendere impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali, osservava che nella specie tale consapevolezza era desumibile dalla mancanza di gran parte della documentazione societaria che il P. aveva il dovere di tenere e dalla predisposizione di documenti ritenuti inattendibili dal curatore. 2. Ricorre l’imputato per il tramite del difensore avv. A.R.B. deducendo, con unico motivo, erronea interpretazione ed applicazione della norma penale nonché vizio di motivazione in ordine al dolo. 2.1. fecondo il ricorrente, premesso che la sola mancata consegna di parte della documentazione contabile obbligatoria e la mancata tenuta della stessa per i soli cinque mesi antecedenti la dichiarazione di fallimento avevano indotto il curatore a ritenere applicabili gli articolo 224 e 217, comma 2, legge fall., le successive indagini non avevano apportato elementi atti a provare il dolo intenzionale e cioè la volontà dell’azione o dell’omissione e quella di rendere non ricostruibile il patrimonio. Ciò anche considerato che l’inattendibilità dell’unico mastro contabile reperito, a fronte della mancata esibizione delle schede di mastro e delle fatture di acquisto, e l’incompletezza degli altri libri contabili obbligatori, non erano ascrivibili al prevenuto visto che la tenuta della contabilità era affidata ad un professionista esterno alla società. Inoltre, essendo la condotta ascritta al P. meramente omissiva, poteva essere contrassegnata da mera superficialità, in carenza di motivazione circa la consapevolezza e volontà proprie della bancarotta fraudolenta documentale. 2.2. Si chiedeva quindi che il fatto fosse qualificato come bancarotta semplice e dichiarato prescritto. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e va disatteso. 2. A fronte della chiara ricostruzione, da parte della corte territoriale, in linea con il consolidato orientamento di questa corte, dell’elemento psicologico del reato la bancarotta fraudolenta documentale di cui all’articolo 216, comma primo, numero 2 alt. parte, legge fall. in termini di dolo generico, che ammette dunque anche la forma del dolo mancanza nella specie del dolo intenzionale, assunto del quale ha già fatto giustizia il giudice di appello. 3. In secondo luogo è inconferente il tentativo di addossare al professionista esterno addetto alla tenuta della contabilità, nello sforzo di escludere l’elemento psicologico del reato, la responsabilità della mancanza di gran parte della documentazione societaria la cui tenuta incombeva al P. e la predisposizione di documenti ritenuti inattendibili dal curatore, essendo presumibile che i dati fossero stati trascritti secondo le indicazioni e i documenti forniti dall’amministratore della società, né tale presunzione iuris tantum è stata vinta nella specie da rigorosa prova contraria. 4. Del resto la ricostruzione nel ricorso della condotta tenuta, dal P. come relativa soltanto agli ultimi mesi prima della dichiarazione di fallimento, è assai riduttiva a fronte della mancata consegna di documenti ben più risalenti, quali le schede di mastro dal 1992 al 1997, oltre che del 2000, nonché, di tutte le fatture emesse e ricevute e di tutti i documenti di prima nota, nonché dinanzi alla predisposizione di documenti inattendibili, con conseguente infondatezza dell’assunto del ricorrente secondo cui il suo comportamento sarebbe stato meramente omissivo. Elementi, quelli appena ricordati, ineccepibilmente posti dalla corte torinese a sostegno della conclusione della consapevolezza dell’imputato - o almeno dell’accettazione del relativo rischio - di rendere in tal modo impossibile la ricostruzione dell’assetto patrimoniale societario, con conseguente definitivo accantonamento della possibilità di ritenere configurato il reato di bancarotta semplice. 5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.