La quantificazione della sanzione penale tra il minimo e il massimo deve tener conto, ai sensi degli articolo 132 e 133 c.p., anche della gravità del fatto. L'essersi procacciato una quantità particolarmente rilevante di sostanze psicotrope per un motivo bagatellare non permette la riduzione della pena. E, in caso di ricorso in Cassazione, la colposa determinazione della causa di inammissibilità da parte del ricorrente comporta la sua condanna anche al pagamento in favore della Cassa delle Ammende.
Nell'esercizio della propria discrezionalità per la determinazione della sanzione, il magistrato viene guidato dagli articolo 132 e 133 c.p. E una volta effettuata tale operazione, egli deve sempre spiegare la scelta assunta chiarendone i motivi secondo un percorso che deve essere logico e corretto. Laddove il suddetto meccanismo giuridico viene rispettato, non c'è margine per ottenere una riduzione di pena e, in caso di ricorso in Cassazione, il giudizio di inammissibilità dipendente da colpa del ricorrente nella determinazione della causa de qua, determina la condanna di questi al versamento ulteriore di una somma in favore della Cassa delle Ammende, individuata equitativamente, oltre al pagamento delle spese di lite. Le direttrici normative. Il giudice applica la legge anche quando esercita il potere discrezionale nell'apprezzamento del fatto di reato. I limiti stabiliti dalla normativa sono generalmente divisibili in due tipologie 1 i limiti esterni, rappresentati dal minimo e dal massimo di pena indicati in ogni singola norma incriminatrice 2 i limiti interni, stabiliti nell'articolo 133 c.p. e costituiti dalla gravità del fatto principio della retribuzione della sanzione e dalla capacità a delinquere principio della prevenzione speciale . Il caso. il reo era stato condannato per aver detenuto illecitamente, per uso non esclusivamente personale, una grande quantità di sostanze stupefacenti del tipo hashish. L'uomo aveva anche precisato di essersi procacciato tale volume di sostanza psicotropa proponendosi di introdurre nel mercato un numero rilevantissimo di dosi al fine di finanziarsi un viaggio in America per assistere a una partita di basket motivo bagatellare . Inoltre, il condannato aveva anche tentato di impedire il ritrovamento di tutta la quantità della droga mediante un comportamento di simulazione e dissimulazione. Pena raddoppiata. Di tutte le suddette ragioni i giudici sia di prime cure che della Corte d'appello ne avevano fornito esaustiva esplicazione, pervenendo, con logica e corretta ricostruzione, alla determinazione della relativa sanzione. Da ciò gli Ermellini ricavano la colpa del ricorrente nell'aver proposto un ricorso dichiarato inammissibile dalla Cassazione. Per questo, dopo la condanna in primo e secondo grado alla pena di anni 3, mesi 1, giorni 10 di reclusione al pagamento di € 20.000,00 di multa e alla applicazione della interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, l'uomo viene sanzionato dai giudici di Piazza Cavour con il pagamento in favore della Cassa delle Ammende di € 1.000,00, ex articolo 616 c.p.p. Nella sentenza viene espressamente menzionata la pronuncia numero 186/2000 della Corte Costituzionale la quale sancisce il seguente principio poiché la condanna al pagamento in favore della Cassa delle Ammende ha funzione sanzionatoria, comportando l’imposizione di un esborso non commisurato in alcun modo al costo del procedimento, essa esige la valutazione della condotta del destinatario della sanzione, anche in relazione all'elemento soggettivo. Viene considerato, pertanto, incompatibile con il principio di eguaglianza una norma che tratti allo stesso modo la posizione di chi abbia proposto il ricorso per Cassazione, poi dichiarato inammissibile, ragionevolmente fidando nella sua ammissibilità e la posizione del ricorrente che non versi in tale situazione tanto da qualificarlo temerario . Il caso concreto, esaminato dalla presente sentenza, rientra a pieno titolo, per tutto quanto su esposto, tra le ipotesi nelle quali è legittima la predetta condanna in favore della Cassa delle Ammende perché la parte privata che proponeva il ricorso versava in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 10 gennaio - 28 febbraio 2013, numero 9556 Presidente Lombardi – Relatore Gazzara Ritenuto in fatto Il Gip presso il Tribunale di Venezia, con sentenza del 14/6/2011, resa a seguito di rito abbreviato, dichiarava O.S. colpevole del reato di cui all'articolo 73, co. 1 bis, d.P.R. 309/90, perché deteneva illecitamente per uso non esclusivamente personale sostanza stupefacente del tipo hashish, e lo condannava alla pena di anni 3, mesi 1, giorni 10 di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa, con applicazione della interdizione dai pp.uu. per la durata di anni 5. La Corte di Appello di Venezia, chiamata a pronunciarsi sull'appello interposto nell'interesse del prevenuto, con sentenza del 27/3/2012, ha confermato il decisum di prime cure. Propone ricorso per cassazione la difesa dell'imputato, con il seguente motivo - la sentenza, sul punto della quantificazione della pena, sembra incorrere in un travisamento del fatto o quantomeno in una erronea valutazione di un elemento fattuale, visto il comportamento di piena collaborazione adottato dal prevenuto che ha comportato il ritrovamento del quantitativo di droga, poi sottoposto a sequestro. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. Il discorso giustificativo, svolto dal giudice di merito a sostegno della quantificazione del trattamento sanzionatorio, si rivela logico e corretto. Con il ricorso si muove censura in punto di determinazione della pena, ad avviso del ricorrente errata, determinata da un travisamento del fatto o, quanto meno, da una erronea vantazione di un elemento fattuale, visto che l'imputato ha consentito di reperire il maggior quantitativo di stupefacente, indicando il luogo ove lo stesso era riposto. La Corte distrettuale evidenzia, contrariamente a quanto sostenuto dal prevenuto, che l'O. non ha spontaneamente permesso di individuare il suo nuovo indirizzo, ove era nascosta la droga, determinandosi a dare le richieste indicazioni a seguito di reiterate insistenze degli operatori, e dopo avere riferito, in maniera difforme al vero, di non abitare più nel luogo di residenza e di essere senza fissa dimora. Inoltre, il discorso giustificativo, sviluppato dalla Corte di merito, si palesa del tutto esaustivo, sia per quanto attiene al dovuto riscontro fornito al motivo di appello, che in ordine alle ragioni ritenute ostative ad una riduzione della pena inflitta dal giudice di prime cure, già, peraltro, determinata in misura prossima al minimo edittale con le attenuanti generiche nella massima estensione, evidenziando come la quantificazione della sanzione debba tenere conto, ai sensi degli articolo 132 e 133 cod. penumero , della gravità del fatto, nella specie desumibile dalla quantità assolutamente rilevante dello stupefacente sequestrato, con una percentuale di principio attivo ricompresa tra l’11 e il 13%, da cui era possibile ricavare circa 23.380 dosi medie singole. Di poi, come a giusta ragione rileva il decidente, il prevenuto, per sua stessa ammissione, si sarebbe procacciato una quantità così significativa di hashish, proponendosi di introdurre sul mercato un numero rilevantissimo di dosi, in quanto mosso da un motivo bagatellare, del tutto sproporzionato alla gravità della condotta, cioè per finanziarsi un viaggio in XXXXXXX al fine di potere assistere ad una partita di basket, circostanza questa dimostrativa della scarsissima consapevolezza degli effetti e delle conseguenze che detta condotta avrebbe potuto determinare. Tenuto conto della sentenza del 13/6/2000, numero 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che l'O. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell'articolo 616 cod. proc. penumero , deve, altresì, essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente determinata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.