Trova lavoro ma non lo comunica all'INPS: non c'è truffa

L'omessa comunicazione all'INPS di aver preso servizio presso un istituto scolastico, da parte di un uomo che percepisce l'indennità di disoccupazione, non integra il reato di truffa.

La condotta di chi percepisce l'indennità di disoccupazione e omette di comunicare all'I.N.P.S. di aver trovato lavoro non integra il reato di truffa, ma l'indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato. Così ha deciso il 26 maggio la Corte di Cassazione, con sentenza numero 21000/11.La fattispecie. Un docente supplente di scuola secondaria, che prestava anche la sua attività lavorativa presso la Protezione Civile, continuava a percepire l'indennità di disoccupazione da parte dell'I.N.P.S Per questo, la Corte di appello confermava la sentenza di condanna, pronunciata in primo grado, condannandolo per il reato di truffa aggravata articolo 640 c.p. . Il difensore dell'imputato proponeva, così, ricorso per cassazione affermando che la condotta dell'imputato era da qualificarsi come mero silenzio antidoveroso sanzionabile ex articolo 316 ter, comma 2, c.p. , con conseguente proscioglimento e trasmissione degli atti all'autorità amministrativa.Il giudice deve valutare se la falsa dichiarazione integra la truffa. La Corte Costituzionale, già in un orientamento precedente ordinanza numero 95/2004 , aveva escluso la sovrapponibilità della fattispecie di truffa con le dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, stabilendo che, nella valutazione del caso concreto, è rimesso al giudice verificare se la condotta risolta in una falsa dichiarazione integri il reato di truffa o meno.Il mero silenzio antidoveroso non è un artificio o un raggiro. Anche le Sezioni Unite SSUU numero 16568/2007 si sono espresse in merito, affermando che l'ambito di applicabilità dell'articolo 316-ter c.p. si riduce a situazioni marginali. Nel caso di specie,infatti, il ricorrente ha semplicemente omesso di comunicare alla Protezione Civile o direttamente all'I.N.P.S. di aver preso servizio come docente questo, secondo la S.C., non costituisce artificio o raggiro, per cui la sentenza viene annullata senza rinvio.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 8 febbraio - 26 maggio 2011, numero 20560Presidente Sirena - Relatore FiandaneseSvolgimento del processoLa Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza in data 25 febbraio 2010, confermava la condanna pronunciata dal Tribunale di Palmi il 28 novembre 2007 alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 400 di multa nei confronti di I.D., dichiarato colpevole del delitto di truffa aggravata, perché, secondo l'imputazione, con artifizi e raggiri consistiti nel prendere servizio a tempo pieno quale docente supplente di scuola secondaria e successivamente nell'usufruire del relativo congedo parentale previsto per legge, ciò pur essendo già assunto e di fatto continuando a prestare la propria attività lavorativa come lavoratore socialmente utile presso la Protezione Civile di Reggio Calabria, induceva in errore l'I.N.P.S. che, intanto, gli continuava a corrispondere, anche per il periodo in cui era assunto a tempo determinato quale docente con contratto di lavoro subordinato, l'indennità di disoccupazione in suo favore prevista per legge, in tal modo procurandosi l'ingiusto profitto degli indebiti emolumenti con pari danno dell'I.N.P.S. ammontante ad Euro 2889,98.Propone ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, deducendo i vizi di cui all'articolo 606, comma 1, lett. b ed e c.p.p Il ricorrente afferma che la condotta dell'imputato è da qualificarsi come mero silenzio antidoveroso e, quindi, integrerebbe, al più, la fattispecie di cui all'articolo 316 ter c.p. e, in particolare, l'ipotesi di cui al secondo comma, con conseguente proscioglimento ed ordine di trasmissione degli atti all'autorità amministrativa per l'eventuale applicazione della sanzione amministrativa.Motivi della decisioneIl motivo di ricorso è fondato e deve essere accolto.La condotta ascritta all'imputato, va ricompresa nell'ambito di operatività dell'articolo 316 ter c.p. Come già ha avuto modo di rilevare questa Sezione 25 gennaio 2011, Manfredi , in ordine al rapporto fra gli articolo 640 bis - 640, comma 2, numero 1 - 316 ter c.p., questa Corte ex plurimis Cass. 21609/2009 - Cass. 8613/2009 riv 243313 - Cass.1162/2008 riv 242717 - Cass. 32849/2007 riv 236966 - Cass. 45422/2008 riv 242302 - Cass. 10231/2006 riv 233449 - Cass. 23623/2006 riv 234996 , ha affermato che la fattispecie criminosa di cui all'articolo 316 ter c.p. ha carattere residuale rispetto alla fattispecie della truffa aggravata e non è con essa in rapporto di specialità, sicché ciascuna delle condotte ivi descritte utilizzo o presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, e omissioni di informazioni dovute può concorrere ed integrare gli artifici ed i raggiri previsti dalla fattispecie di truffa, ove di questa fattispecie criminosa siano integrati gli altri presupposti. Al riguardo si è infatti posto in evidenza come la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla tematica de qua, nella ordinanza numero 95 del 2004, dopo aver rammentato la coincidenza della questione con quella in passato sollevata per la previsione punitiva di cui alla L. 23 dicembre 1986, numero 898, articolo 2, ha rilevato che il carattere sussidiario e residuale dell'articolo 316 ter c.p., rispetto all'articolo 640 bis c.p., - a fronte del quale la prima norma è destinata a colpire fatti che non rientrino nel campo di operatività della seconda - costituisce dato normativo assolutamente in equivoco . Ha in tal modo escluso la automatica sovrapponibilità delle condotte individuate nell'articolo 316 ter c.p. dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere con quelle di cui all'articolo 640 c.p., cioè con gli artifici e raggiri. Ha tuttavia espressamente riservato all' ordinario compito interpretativo del giudice accertare, in concreto, se una determinata condotta formalmente rispondente alla fattispecie delineata dall'articolo 316 ter c.p., integri anche la figura descritta dall'articolo 640 bis c.p., facendo applicazione in tal caso solo di quest'ultima previsione punitiva . E ciò perché la stessa Corte ha ritenuto evidente, anche in ragione delle preoccupazioni espresse dal legislatore nel corso dei lavori parlamentari, che l'articolo 316 ter c.p. sia volto ad assicurare agli interessi da esso considerati una tutela aggiuntiva e complementare rispetto a quella già offerta dall'articolo 640 bis c.p., coprendo , in specie, gli eventuali margini di scostamento, - per difetto -dal paradigma punitivo della truffa rispetto alla fattispecie della frode in materia di spese . Ciò sta dunque a significare che nella valutazione della fattispecie concreta è rimesso al giudice stabilire se la condotta che si è risolta in una falsa dichiarazione, per il contesto in cui è stata formulata, ed avuto riguardo allo specifico quadro normativo di riferimento nella cui cornice il fatto si è realizzato, integri l'artificio di cui all'articolo 640 c.p. e se da esso sia poi derivata l'induzione in errore di chi è chiamato a provvedere sulla richiesta di erogazione. La condotta descritta dal richiamato articolo 316 ter c.p. si distingue, dunque, dalla figura delineata dall'articolo 640 bis c.p. per le modalità, giacché la presentazione di dichiarazioni o documenti attestanti cose non vere deve essere fatto strutturalmente diverso dagli artifici e raggiri, e si distingue altresì per l'assenza di induzione in errore.La sussistenza, dunque, della induzione in errore, da un lato, e la natura fraudolenta della condotta, dall'altro, non possono che formare oggetto di una disamina da condurre caso per caso, alla stregua di tutte le circostanze che caratterizzano la vicenda in concreto in termini SSUU le quali con la sentenza numero 16568/2007 riv 235962, hanno proprio affermato che [ ] l'ambito di applicabilità dell'articolo 316 ter c.p. si riduce così a situazioni del tutto marginali, come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l'autore della disposizione patrimoniale .Orbene, applicando i suddetti principi alla concreta fattispecie in esame, deve allora concludersi per la fondatezza del ricorso. Infatti, la Corte territoriale ha semplicemente rilevato la omessa comunicazione alla protezione civile o direttamente all'INPS, quale ente erogatore degli emolumenti indebitamente percepiti .La suddetta motivazione è, però, censurabile in quanto la Corte territoriale ha ritenuto che un semplice comportamento omissivo costituisca, di per sé, un artificio o raggiro, senza considerare che quel comportamento diventa sussumibile nell'ipotesi delittuosa della truffa solo ove presenti un quid pluris che lo caratterizzi e qualifichi come un comportamento di natura fraudolenta. Essendo pacifici gli elementi fattuali della fattispecie, la sentenza, pertanto, va annullata senza rinvio, dovendosi il fatto qualificare ai sensi dell'articolo 316 ter secondo comma c.p., con l'applicazione di una sanzione amministrativa essendo stata la somma indebitamente percepita inferiore ad Euro 3.999,96 - per la quale è competente il Prefetto di Reggio Calabria.P.Q.M.Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto, qualificato come violazione dell'articolo 316 ter, comma 2, c.p., non è previsto dalla legge come reato dispone trasmettersi gli atti al Prefetto di Reggio Calabria per quanto di competenza.