Il giudice, chiamato a pronunciarsi sulla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, non può sindacare nel merito le ragioni poste alla base della decisione ecclesiastica ponendo una nuova interpretazione delle risultanze processuali differente rispetto a quella cui è pervenuto il giudice ecclesiastico, in quanto tale attività si pone in contrasto con il divieto di riesame nel merito della sentenza ecclesiastica, sancito dal punto 4, lett. b , del Protocollo addizionale dell’Accordo di modifica del Concordato Lateranense, precipuamente inteso a garantire l’autonomia del giudice ecclesiastico.
Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza numero 24967 del 6 novembre 2013. Delibazione della sentenza ecclesiastica e poteri del giudice.Con la pronuncia in rassegna la Corte di Cassazione interviene in un procedimento di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, dopo che la Corte di Appello aveva negato tale delibazione sul rilievo che le motivazioni della sentenza ecclesiastica erano meramente apparenti e quindi insussistenti, atteso che il giudice si era limitato a disattendere le conclusioni del perito senza però motivare adeguatamente tale decisione. Aggiungeva quindi la Corte di Appello che la violazione del principio costituzionale dell’obbligatorietà della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali doveva considerarsi ostativa al riconoscimento dell’efficacia nel nostro ordinamento di tela sentenza ecclesiastica. Al riguardo veniva quindi interposto ricorso per Cassazione, lamentando la violazione dell’articolo 8 dell’Accordo fra Santa Sede e Stato Italiano del 1984 nonché violazione del punto 4 lett. b del Protocollo Addizionale, che secondo il ricorrente vieterebbero al giudice della delibazione di rielaborare le risultanze del processo canonico sindacandone nel merito le conclusioni. Il contenuto del giudizio di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità. Così delineata la vicenda giudiziaria portata all’attenzione della Suprema Corte, e prima di vedere la decisione con riguardo al motivo di ricorso sopra evidenziato, sembra opportuno ricordare che con il procedimento di delibazione della sentenza ecclesiastica, la Corte di Appello è tenuta ad accertare unicamente che, oltre all’effettività del diritto di difesa nel procedimento ecclesiastico, la sentenza di nullità del matrimonio non sia contraria all’ordine pubblico. Una volta verificata la sussistenza di tali presupposti, il giudice deve delibare la sentenza ecclesiastica, dotandola di effetti anche per il nostro ordinamento, effetti che sono quelli propri della dichiarazione di nullità del matrimonio, con il conseguente venir meno dell’obbligo di assistenza materiale, fatta salva l’applicabilità delle norme in tema di matrimonio putativo. Il divieto di sindacare nel merito la decisione ecclesiastica e la garanzia di autonomia del giudice ecclesiastico. Ciò posto la pronuncia in rassegna cassa la sentenze di Appello che aveva negato la delibazione della sentenza ecclesiastica in quanto al giudice chiamato a pronunciarsi sulla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio è fatto divieto di criticare nel merito le ragioni poste alla base della pronuncia di nullità, non potendo questi proporre una nuova interpretazione delle risultanze processuali differente rispetto a quella cui è pervenuto il giudice ecclesiastico, in quanto tale attività si pone in inevitabile contrasto con il divieto di riesame nel merito della sentenza ecclesiastica, come risultante dal punto 4, lett. b , del Protocollo addizionale dell’Accordo di modifica del Concordato Lateranense, precipuamente inteso a garantire l’autonomia del giudice ecclesiastico.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 16 aprile - 6 novembre 2013, numero 24967 Presidente Luccioli – Relatore Campanile Svolgimento del processo 1 - La Corte di appello dell'Aquila, con sentenza numero 1000 depositata in data 5 ottobre 2011, rigettava la domanda con la quale il signor C.G. aveva chiesto, nel contraddittorio della sig.ra F.P. , il riconoscimento dell'efficacia nello Stato Italiano della sentenza emessa dal Tribunale Apostolico della Rota Romana, e resa esecutiva dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica in data 29 maggio 2009, con la quale, riformando la decisione del Tribunale di appello di Benevento, era stata dichiarata la nullità, per incapacità di assunzione degli obblighi matrimoniali da parte della convenuta , del matrimonio concordatario dagli stessi contratto in Pescara in data 27 marzo 1988. 1.1 - Venivano preliminarmente rigettate le eccezioni sollevate dalla F. e fondate sulla motivazione esclusivamente economica, e non religiosa, dell'azione proposta dal marito davanti al giudice ecclesiastico, sulla contrarietà all'ordine pubblico della declaratoria di nullità del rapporto matrimoniale dopo un lungo periodo di convivenza, sulla violazione del diritto di difesa, per non esserle stato nominato un tutore o un curatore e per non aver avuto la possibilità di essere assistita da un difensore. 1.2 - Riteneva tuttavia la Corte di appello che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento dell'efficacia nel nostro ordinamento della decisione ecclesiastica, in quanto il Tribunale della Rota Romana, pur avendo richiamato le conclusioni del perito secondo cui i tratti della personalità della F. determinavano in lei una condizione psicoemotiva di relativa fragilità, senza però compromettere significativamente le sue facoltà intellettive-volitive , aveva ritenuto di disattendere tali conclusioni, sulla base dei comportamenti tenuti dalla predetta, considerati quanto mai eccessivi, e rivelatori di una condizione che le aveva impedito di assumere e realizzare i beni essenziali del matrimonio. 1.3 - A giudizio della corte territoriale l'assenza di una valutazione critica delle risultanze di natura clinica e il riferimento a circostanze di natura obiettiva prove di significativo rilievo rendevano la motivazione della delibanda decisione meramente apparente, e, quindi, sostanzialmente insussistente. La violazione del principio, sancito dalla Costituzione, dell'obbligatorietà della motivazione dei provvedimenti di natura giurisdizionale veniva considerata ostativa al riconoscimento dell'efficacia, nel nostro ordinamento, della menzionata sentenza. Il rigetto della domanda sulla base di rilievi diversi da quelli sollevati dalla convenuta costituiva giusto motivo per l'integrale compensazione delle spese processuali. 1.4 - Per la cassazione di tale decisione il C. propone ricorso, affidato a due motivi. 1.5 - Resiste con controricorso la F. , la quale propone, con unico motivo illustrato da memoria in relazione al regolamento della spese processuali , ricorso incidentale, resistito da controricorso. Motivi della decisione 2 - Preliminarmente deve disattendersi l'eccezione di inammissibilità del controricorso e del ricorso incidentale della F. , sollevata dal C. ai sensi degli articolo 170, primo comma, e 370, primo comma c.p.c., per inesistenza della notificazione eseguita al domicilio eletto del ricorrente e non presso il difensore costituito. Deve in proposito trovare applicazione il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui nell'ipotesi in esame la notifica non può ritenersi effettuata presso persona e in luogo non aventi alcun riferimento con il destinatario dell'atto e, pertanto, non è inesistente, ma solo nulla per inesatta individuazione della persona del destinatario. Ne consegue che la predetta nullità è sanata ove l'intimato abbia svolto la propria attività difensiva, come nella specie, con la notifica del controricorso Cass., 18 giugno 2008, numero 16578 Cass., 15 ottobre 2004, numero 20334 . 2.1 - Del pari infondato è il rilievo di inammissibilità del ricorso incidentale, giustificato dalla pretesa violazione della disposizione contenuta nell'articolo 366, numero 4, c.p.c. nel caso in esame, invero, risulta chiaramente invocato, a sostegno dell'unico motivo dedotto, il principio, fondato sulla soccombenza, enunciato nell'articolo 91 c.p.c 3 - Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia violazione dell'articolo 8 dell'Accordo fra Santa Sede e Repubblica Italiana del 18 febbraio 1984, ratificato con L. 25 marzo 1985, numero 121 e dell'articolo 797 c.p.c La Corte territoriale avrebbe disatteso il principio secondo cui, sia ai sensi dell'articolo 797 c.p.c., applicabile nel caso in esame, sia, in ogni caso, in base alla disciplina dettata dalla L. numero 218 del 1995, l'obbligo di motivazione della sentenza straniera non rientra fra i principi inviolabili del nostro ordinamento. 3.1 - Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 8 dell'Accordo fra la Santa Sede e la Repubblica Italiana, già richiamato in precedenza, nonché del punto 4, lett. b , del Protocollo Addizionale, con specifico riferimento alla rielaborazione, da parte della Corte territoriale, delle risultanze del processo canonico, in palese violazione del divieto di procedere, in sede di delibazione di sentenza ecclesiastica, al riesame del merito. 4 - Sotto il profilo logico giuridico si impone l'esame preliminare di quest'ultima censura, in quanto la violazione del principio del riesame del merito della sentenza ecclesiastica presuppone la presenza, in essa, di una valida motivazione, tale da consentire l'individuazione dell'iter logico seguito da quel Giudice ai fini della formazione del proprio convincimento tale aspetto è evidentemente assorbente rispetto alla questione inerente all'indefettibilità, quale principio di ordine pubblico del nostro ordinamento, della motivazione della sentenza oggetto di delibazione per altro costantemente risolta in maniera negativa Cass., 22 marzo 2000, numero 3365 Cass., 25 giugno 2002, numero 9247 v. anche Cass., 8 febbraio 2012, numero 1781, secondo cui la motivazione non rileva di per sé, ma ne viene ritenuto necessario l'esame, in materia di risarcimento del danno, ai fini della valutabilità dei cri-teri eventualmente punitivi che avrebbero informato la decisione straniera . 4.1 - La corte territoriale, affermando la natura meramente apparente della sentenza ecclesiastica, ne riporta il contenuto, ponendo in evidenza come fossero state accuratamente richiamate le conclusioni peritali, tali da escludere la presenza di obiettivi e sufficienti elementi di prova per ritenere che il profilo personologico della donna nel periodo prenuziale e all'epoca del matrimonio fosse caratterizzato da tratti abnormi di natura e gravità tali da potersi formulare la diagnosi di uno specifico disturbo della personalità, e, segnatamente, di un disturbo paranoide di personalità . Vengono ancora dettagliatamente indicate le conclusioni del prof. T. , come riportate dal Tribunale della Rota Romana, nel senso che all'epoca del matrimonio potevano ritenersi presenti tratti di una personalità disturbata , che sarebbero diventati disturbo della personalità solo nel corso del rapporto coniugale, sia per la scarsa cura del marito nei confronti della moglie, sia per la relazione conflittuale tra la suocera e la nuora . In definitiva, la delibanda sentenza aveva dato atto che dal punto di vista clinico i descritti tratti della personalità della F. determinavano in lei una condizione psicoemotiva di relativa fragilità, che tuttavia - secondo il giudizio dello specialista nominato c.t.u. - non compromettevano significativamente le sue facoltà intellettive - volitive e l’integrazione psichica normalmente intesa, e, con essa, la capacità di relazionarsi in modi sufficientemente liberi e responsabili . Tuttavia - osserva ancora la corte di appello - il giudice ecclesiastico con concisa argomentazione ha disatteso le risultanze peritali, affermando la necessità di valutare i comportamenti della donna, in virtù dei quali, con particolare riferimento a determinate condotte ridere senza un motivo dire sciocchezze a voce alta in mezzo alla strada sin da giovane con stupore della gente denunciare un'inesistente persecuzione, fare uso fanatico di acqua benedetta , ha ritenuto che la F. versava in una condizione che le impedì di assumere e di realizzare i beni essenziali del matrimonio, soprattutto il bene della prole e il bene dei coniugi . Tale essendo l'unica argomentazione che sorregge la decisione del Tribunale della Sacra Rota, non può esservi alcun dubbio - rileva la corte dell'Aquila - sull'assoluta insussistenza di motivi sostanziali che abbiano indotto il Collegio giudicante a disattendere le valutazioni peritali . 4.2 - Appare evidente come, al dì là dell'intrinseca contraddizione fra la constatazione di una motivazione meramente apparente e il rilievo di una concisa argomentazione , il giudice del merito abbia omesso di considerare che le proprie valutazioni, sia pure formalmente intese ad affermare la sostanziale insussistenza della motivazione nella decisione ecclesiastica, l'abbiano, al contrario, ben individuata, sia pure nella sua laconica essenza laddove non è dato di dubitare che per disattendere delle conclusioni peritali possano enuclearsi elementi fattuali che siano ritenuti, in base all'id quod plerumque accidit, con esse contrastanti . Il giudizio espresso dalla Corte dell'Aquila si risolve, quindi, in una critica delle ragioni poste alla base della decisione ecclesiastica soprattutto laddove si richiede una valutazione critica delle risultanze clinico-scientifiene , così proponendosi una nuova interpretazione delle risultanze processuali, diversa rispetto a quella cui è pervenuto il giudice ecclesiastico. In tal modo risulta inflitto un grave vulnus al principio del divieto di riesame del merito della sentenza ecclesiastica, sancito dal punto 4, lett. b del Protocollo Addizionale all'Accordo di modifica del Concordato Lateranense, sottoscritto in Roma il 18 febbraio 1984 e ratificato con legge 25 marzo 1985, numero 121, precipuamente inteso a garantire l'autonomia del giudice ecclesiastico. L'accoglimento del secondo motivo, assorbente rispetto al primo motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale, comporta la cassazione della decisione impugnata, con rinvio alla Corte di appello dell'Aquila che, in diversa composizione, provvedere in merito alla domanda di exequatur applicando il principio sopra esposto. P.Q.M. Accoglie il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il primo e l'incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello dell'Aquila, in diversa composizione. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati in sentenza.