In ufficio a giocare sul pc aziendale: dipendente a rischio licenziamento

Nodo decisivo è il quantum del tempo trascorso dal lavoratore a dilettarsi col computer durante l’orario lavorativo. Assolutamente irrilevante, invece, il fatto che la contestazione mossa dall’azienda sia generica, priva cioè dell’indicazione specifica delle singole partite.

Passione forte per i giochi da personal computer, quasi come un gamer semi-professionista, ma l’unica nota stonata – eufemismo – è rappresentata dalla location e dalla strumentazione, ossia, rispettivamente, il proprio luogo di lavoro e il computer messo a disposizione dall’azienda. Condotta semplicemente superficiale, quella del dipendente? A dir la verità la situazione è assai più grave, e caratterizzata dal concreto rischio del licenziamento Cassazione, sentenza n. 25069, sezione Lavoro, depositata oggi Monitoraggio . Decisivo è il controllo messo in atto dall’azienda – che opera nel settore farmaceutico – sul computer utilizzato quotidianamente dal dipendente. Perché i risultati sono cristallini il dipendente ha sfruttato le potenzialità del computer, durante l’orario di lavoro , utilizzandolo per dilettarsi con alcuni giochi , arrivando – secondo l’azienda – a ben 300 ore ludiche ‘spalmate’ su un anno lavorativo. Conseguenze? Nessun dubbio per l’azienda, che fa partire una lettera di contestazione ad hoc e poi, a chiudere la vicenda, sceglie la strada del licenziamento . Tutto logico, almeno in apparenza perché i giudici della Corte d’Appello, riformando la decisione del Tribunale, dichiarano la nullità del licenziamento . Per quale ragione? Semplicemente perché viene ritenuta generica la contestazione mossa dall’azienda, contestazione che fa riferimento ad un solo concreto episodio e, per questo, secondo i giudici, non ha permesso al lavoratore una puntuale difesa . Licenziamento . Ma le valutazioni compiute in secondo grado vengono smentite, clamorosamente, dai giudici della Cassazione, i quali, in sostanza, ritengono assolutamente dettagliata la lettera di contestazione . Più precisamente, l’azienda ha indicato precisi elementi dell’addebito contestato al lavoratore – oramai ex dipendente, perché capace di trovare una ricollocazione lavorativa –, come testimoniato anche da un accertamento tecnico da cui risulta anche l’indicazione del numero delle partite giocate con il computer dell’azienda . Ebbene, per i giudici, è folle considerare generico l’ addebito nei confronti del dipendente – ossia l’utilizzo del computer in dotazione a fini di gioco – solo per la circostanza della mancata indicazione delle singole partite giocate abusivamente dal lavoratore . Anche senza questo dettaglio, quindi, è chiara la contestazione mossa dall’azienda, e, di conseguenza, si può ritenere evidente che il lavoratore era in grado di approntare le proprie difese . Tutto ciò conduce alla decisione dei giudici della Cassazione di riaffidare la vicenda alle valutazioni della Corte d’Appello, e, di rimbalzo, rende anche più plausibile la conferma della legittimità del licenziamento nei confronti del lavoratore.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 26 settembre – 7 novembre 2013, n. 25069 Presidente Vidiri – Relatore Maisano Svolgimento del processo Con sentenza pubblicata il 9 agosto 2010 la Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale di Roma del 21 aprile 2009, ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato a C.F. dalla K24 P. s.r.l. in data 6 dicembre 2007, ha condannato tale società a riassumere il C. entro tre giorni o, in mancanza, al risarcimento del danno in misura pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione di fatto rigettando ogni altra domanda. Il licenziamento in questione era stato intimato a seguito di lettera di contestazione del 23 novembre 2007, con la quale era stato addebitato al lavoratore di avere utilizzato, durante l’orario di lavoro, il computer dell’ufficio per giochi, con un impiego calcolato nel periodo di oltre un anno, di 260-300 ore provocando, in tal modo, un danno economico e di immagine all’azienda. La Corte territoriale è pervenuta alla decisione di nullità del licenziamento considerando non tardiva la contestazione in quanto la tardività va rapportata al momento in cui il datore viene a conoscenza del fatto addebitato indipendentemente dalla possibilità di conoscerlo prima ha poi ritenuto che il controllo del computer dell’azienda da cui è emerso il suo indebito utilizzo, non configurerebbe controllo a distanza vietato dall’art. 4 della legge 300 del 1970, in quanto il lavoratore aveva probabilmente consentito tale controllo ha tuttavia ritenuto generica la contestazione che fa riferimento ad un solo concreto episodio rimanendo per il resto generica e tale da non consentire al lavoratore una puntuale difesa sulle conseguenze della nullità del licenziamento ha ritenuto tardive le deduzioni del lavoratore in merito al requisito dimensionale del datore di lavoro ai fini della tutela reale, avendo questi prospettato circostanze nuove relative a collegamenti societari in modo inammissibile, al fine di contrastare la prova fornita dal datore di lavoro riguardo al numero dei dipendenti. Il C. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza affidato ad un unico articolato motivo. La K24 P. s.r.l. resiste con controricorso e svolge ricorso incidentale affidato a tre motivi. Il C. resiste con controricorso al ricorso incidentale avversario. La K24 P. s.r.l. ha presentato memoria. Motivi della decisione Con l’unico motivo del ricorso principale si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cod. proc. civ., 2697 cod. civ. in relazione all’art. 5 della legge n. 604 del 1966, 18 della legge n. 300 del 1970, 420 e 437 cod. proc. civ., ai sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della causa ai sensi dell’art. 360, n. 5 cod. proc. civ. In particolare si assume che il ricorrente non avrebbe modificato gli elementi di fatto dedotti in quanto i fatti allegati a sostegno della esistenza del requisito dimensionale erano stati acquisiti in giudizio e, comunque, il ricorrente non ha svolto alcuna domande nuova non avendo in alcun modo modificato il bene della vita richiesto con il petitum iniziale. Anche gli elementi di diritto non sono cambiati avendo il ricorrente richiesto la reintegrazione nel posto di lavoro quale conseguenza della dichiarazione di nullità del licenziamento, e le deduzioni riguardo al requisito dimensionale costituiscono conseguenza dell’eccezione proposta dalla controparte. Con il primo motivo del ricorso incidentale si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115, 116, 414 e 437 cod. proc. civ. anche in relazione agli artt. 1 e 3 della legge n. 604 del 1966 e 18 della legge n. 300 del 1970, e 2697 cod. civ. ex art. 360, n. 3 cod. proc. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360, n. 5 cod. proc. civ. In particolare si deduce che il giudice dell’appello, nell’ordinare la riassunzione del lavoratore entro tre giorni, avrebbe accolto una domanda non formulata dal lavoratore che aveva chiesto la reintegra nel posto di lavoro senza considerare la mancanza del requisito dimensionale che consente tale tutela reale. Con il secondo motivo del ricorso incidentale condizionato si assume violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 604 del 1966 e successive modifiche ed integrazioni, degli artt. 1218 e seguenti cod. civ., degli artt. 113, 115 e 116 cod. proc. civ., e dell’art. 2697 cod. civ. ex art. 360, n. 3 cod. proc. civ., degli artt. 46 e 48, commi 6, 50 e 52 CCNL dei dipendenti dell’industria chimica farmaceutica, anche in relazione agli artt. 1362 e seguenti cod. civ., nonché omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo. In particolare si deduce che la lettera di contestazione, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice dell’appello, conterrebbe precisi elementi dell’addebito contestato documentato anche da un accertamento tecnico da cui risulta anche l’indicazione del numero delle partite giocate dal dipendente con il computer dell’azienda, che giustificherebbe ampiamente l’esistenza del giustificato motivo soggettivo della risoluzione del rapporto. Con il terzo motivo condizionato si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 18 della legge n. 300 del 1970 e successive modificazioni ed integrazioni, degli artt. 1223, 1224, 1225, 116, 1227 cod. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Si assume che, in caso di accoglimento del ricorso avversario, comunque nulla gli spetterebbe a titolo di risarcimento del danno avendo il lavoratore trovato immediata ricollocazione lavorativa presso altra azienda, come dichiarato in udienza dal medesimo C. Per motivi di ordine logico si esamina preliminarmente il secondo motivo del ricorso incidentale che è fondato. L’addebito mosso al lavoratore di utilizzare il computer in dotazione a fini di gioco non può essere ritenuto logicamente generico per la sola circostanza della mancata indicazione delle singole partite giocate abusivamente dal lavoratore. Appare dunque illogica la motivazione della sentenza impugnata che lamenta indicazione specifica delle singole partite giocate, essendo il lavoratore posto in grado di approntare le proprie difese anche con la generica contestazione di utilizzare in continuazione, e non in episodi specifici isolati, il computer aziendale. La sentenza impugnata deve dunque essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione che provvederà ad una diversa decisione non considerando generica la lettera di contestazione da cui è poi conseguito il licenziamento per cui è causa, e provvederà anche alle spese di giudizio. Il ricorso principale e gli altri motivi del ricorso incidentale restano assorbiti. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale Dichiara assorbiti gli altri motivi del ricorso incidentale ed il ricorso principale Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.