Dura condanna dell’Italia sul caso Belpietro la libertà di stampa è imprescindibile da quelle di espressione ed all’informazione su fatti d’interesse generale. Gli Stati, così come tutelano la reputazione degli individui, devono evitare di reprimere la libertà d’espressione dei giornalisti impedendo loro di svolgere un ruolo sociale di denuncia di abusi tramite inchieste.
La Corte dei diritti dell’uomo CEDU , sez. II, con la sentenza del 24 settembre 2013, richiamando gli articolo 8 e 10 della Convenzione sui diritti universali dell’uomo e le libertà fondamentali Cedu , ha ribadito questo principio di diritto e che, perciò, i giornalisti, «purchè non incitino alla violenza od al razzismo, non meritano il carcere». Nella fattispecie l’allora direttore de Il Giornale era stato condannato a 4 mesi di reclusione per non aver vigilato ed aver autorizzato la pubblicazione di un pezzo diffamatorio scritto da un senatore. Si noti come questa vicenda presenti numerose analogie col recente caso Sallusti, attuale direttore. Il caso. Belpietro nel 2004 aveva pubblicato l’articolo «Mafia, tredici anni di scontri tra PM e carabinieri. Cosa si cela dietro al processo al generale Mori ed al Colonello “Ultimo” per il covo di Riina» in cui l’autore, senatore e noto cronista che per anni aveva seguito il processo Andreotti, precorrendo i tempi, aveva fatto una sua personale ricostruzione della lotta alla mafia, dal 1991 al 2004, evidenziando i forti dissidi tra PM e carabinieri, a suo dire, perseguitati con processi penali, specialmente quelli che avevano catturato Riina. Era un duro j’accuse contro la procura di Palermo e soprattutto contro due celebri PM, accusati di esser al soldo chiens enchainés di un noto pentito. Esaminava le tappe dell’inchiesta contro l’infiltrazione mafiosa nell’assegnazione degli appalti pubblici, criticava un sospetto insabbiamento del dossier, le lacune investigative su 44 persone «noti politici di tutti i partiti ed imprenditori» che non avevano bloccato diversi omicidi e li accusava di aver indotto un maresciallo al suicidio e della morte di un collega, come riportato nel testo che riproduce integralmente questo editoriale. Esso era accompagnato da una fotografia del generale Mori innanzi alla caserma della guardia di finanza con un ‘eloquente didascalia, che enfatizzava detta guerra «la persecuzione del generale. L’attacco a Mario Mori s’inscrivono nel quadro generale della guerra contro i carabinieri. Con lui fu anche implicato Giuseppe De Donno, considerato il collaboratore più affidabile di Giovanni Falcone». Nelle more del processo il senatore era assolto perché le critiche erano espressione delle sue funzioni parlamentari e come tali soggette ad immunità ex articolo 68 Cost, così come decretato dalla C.Cost. 205/12. Belpietro in primo grado era assolto, ma i successivi lo condannavano per diffamazione a mezzo stampa ed ex articolo 57 cp a 4 mesi di carcere ed al risarcimento danni. Infatti i PM avevano agito correttamente, poiché le indagini incriminate erano espressione «del dovere costituzionale del pubblico ministero di esercitare l’azione penale contro chiunque sia senza che ciò indichi una guerra di una istituzione contro un’altra». Strasburgo, però, ha ribaltato la decisione e sanzionato l’Italia sia per l’arbitraria ed infondata interpretazione dell’articolo, sia per la palese violazione del diritto comunitario e della Cedu che obbliga gli Stati membri ad evitare bavagli alla stampa, come sopra detto. La libertà di stampa prevale su tutto contrasto normativo con l’UE. La CEDU ricorda che la legge italiana prevede il carcere per il giornalista condannato per un articolo ritenuto diffamatorio. La stessa pena è prevista, a titolo di responsabilità oggettiva, per il direttore vice ed editore del quotidiano per omesso controllo sui contenuti del pezzo onde non ledere i diritti immagine, onore etc. di terzi. Il reo è punito col carcere. Queste misure, però contrastano nettamente sia con le norme comunitarie ed internazionali sia con la giurisprudenza costante della Corte. In primis la libertà d’espressione del giornalista è sempre protetta e garantita, purchè si basi su questioni d’interesse generale, fatti «esatti, precisi ed affidabili» e agisca in buona fede e nel rispetto del codice etico. Ciò comporta «doveri e responsabilità» perché non «devono nuocere ai diritti altrui», soprattutto rovinarne la reputazione, specie quella di personaggi famosi come nella fattispecie. In breve la CEDU rileva come il diritto di proteggere questi interessi sia speculare a quello di garantire il libero operato dei giornalisti, perché le denunciate restrizioni rischiano di danneggiare la società i cronisti potrebbero rinunciare a denunciare abusi, a fare inchieste su temi rilevanti per paura d’incorrere in dure sanzioni, diventando, così, reticenti. In questo modo risulterebbero lese la loro libertà d’espressione e quella del cittadino ad esser informato, dato che la stampa funge da cane da guardia della società di cui denuncia vizi e virtù, svolgendo attività di fondamentale importanza insuscettibili di restrizioni, pur se l’autorità giudiziaria deve vigilare che le esagerazioni, cui talvolta è soggetta, non ledano gli interessi altrui, dovendo, però, disattendere le leggi inique come quella in esame ed i principi elaborati dalla giurisprudenza interna che contrastano con quelli elaborati dalle corti UE «Nikula c. Finlandia, C-31611/96, § 38, del 2002 Perna c. Italia [GC], C 48898/99, § 42 del 2003 Ormanni c. Italia, C 30278/04, § 57, del 2007 Zana c. Turchia, 25 novembre 1997, § 51 De Diego Nafría c. Spagna, C-46833/99, § 34, 1del 14/3/02» e Caso Carolina di Monaco Hannover n.8772/10 del 19/9/13 . La libertà di stampa, quindi, prevale su tutti gli altri interessi con l’unico limite di non danneggiare i terzi. Il senatore giornalista gode dell’immunità parlamentare? Non si dovrebbe abusare della stampa per le proprie battaglie personali, ma quando queste sono espressione della critica politica, rientrante nelle funzioni di parlamentare, l’autore del brano è incolpevole, perché gode dell’immunità ex articolo 68 Cost. Secondo Milano, però, ciò non esime il direttore da vigilare su eventuali contenuti offensivi, ma la CEDU ha smentito questa tesi il direttore non è mai colpevole per la personalità della pena e perché è necessariamente innocente se lo è anche l’autore . Decisione della CEDU. Queste condanne violano l’articolo 10 Cedu per quanto sopra esplicato la CDA di Milano, poi, ha commesso una valutazione arbitraria e parziale dei fatti che «erano espressione di un interesse storico, politico e generale che si inseriva in un contesto delicato come quello della lotta alla mafia». Inoltre l’Italia, come rilevato, ha commesso ingerenze illecite il carcere è un’indebita ed illegittima ingerenza nelle menzionate libertà, sì che è condannata a risarcire Belpietro per i danni morali, per le spese di lite sostenute nei processi in Italia per un totale di €.15.000 oltre agli oneri di legge rivalutazione monetaria ed interessi calcolati secondo i tassi della BCE aumentati del 3%.
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