Il ricorso per Cassazione non introduce un terzo grado di giudizio e, pertanto, la riconducibilità ad atto di liberalità di una compravendita immobiliare con la partecipazione del coniuge in regime di comunione va censurata con motivi specifici, atteso che per consolidato orientamento della Suprema Corte, in assenza di una concreta contestazione cui possa attribuirsi il valore di una reale specifica censura avverso la ratio decidendi, il ricorso sarà inammissibile.
Con la sentenza numero 14551, depositata il 26 giugno 2014, la Suprema Corte, nell’affrontare la questione relativa alla partecipazione nell’acquisto del coniuge in regime di comunione, ha ribadito quanto già deciso a Sezioni Unite con la pronuncia numero 7931/2013. Il fatto. Il Giudice di prime cure, in accoglimento della domanda di una moglie nei confronti del coniuge separato, dichiarava la comproprietà dei coniugi su delle porzioni immobiliari, acquistate in costanza di matrimonio dal marito, il quale - in regime di comunione legale - aveva dichiarato di acquistarle da un proprio zio come beni personali con denaro proveniente dall'alienazione di altri suoi beni personali, fatto che veniva confermato dalla stessa moglie presente alla stipulazione e anch'essa firmataria dell'atto. Secondo il Tribunale, le porzioni immobiliari dovevano ritenersi rientranti nella comunione poiché l'acquisto immobiliare non era avvenuto con danaro proveniente dall'alienazione di altri beni personali così come previsto dall'articolo 179, comma 1, lett. f c.c Avverso detta sentenza il marito proponeva gravame, che fu dichiarato fondato, poiché, come osservato dalla Corte di merito, all’atto di compravendita prese parte anche la moglie, che confermò la dichiarazione con cui il coniuge sosteneva di acquistare le porzioni immobiliari con danaro proveniente dall’alienazione di altri suoi beni personali. Pertanto, l’esplicita conferma o la mancata contestazione da parte del coniuge non acquirente, costituisce atto giuridico volontario e consapevole, cui il legislatore attribuisce la valenza di testimonianza privilegiata, ricollegandovi l'effetto di una presunzione “iuris et de iure” di esclusione della contitolarità dell'acquisto, superabile solo con la prova che la dichiarazione sia derivata da errore di fatto o da violenza, a norma dell'articolo 2732 c.c., prova che non veniva offerta dalla moglie che si limitava a produrre solo una certificazione notarile da cui si evinceva che dalle visure eseguite su tre comuni non risultavano alienazioni effettuate dal marito in data antecedente alla compravendita oggetto di contenzioso. Tale certificazione, ovviamente, non veniva ritenuta idonea a superare la valenza di testimonianza privilegiata riconosciuta dal legislatore all’esclusione di beni dalla comunione legale formalizzata da un coniuge nell’atto di acquisto con l’esplicita adesione dell’altro coniuge, poiché le visure presentavano un evidente limite sia sul piano spaziale solo 3 Comuni che su quello temporale, poiché non escludevano che antecedentemente all’atto di compravendita in questione, il marito non avesse concluso preliminari – non trascritti – di vendita di beni personali. Peraltro, la Corte di merito non poteva ignorare che il marito, richiamando il vincolo parentale che lo legava all’alienante, aveva espressamente ricondotto il trasferimento immobiliare ad un una donazione dissimulata che, ai sensi dell’articolo 179, comma 1, lett. b , doveva essere esclusa dalla comunione. La prova della provenienza del denaro. Ricorre per Cassazione la moglie lamentando, innanzitutto, la violazione dell’articolo 2697 c.c. sull’onere della prova e dell’articolo 179, comma 1, lett. f c.c., poiché i giudici di merito avrebbero dovuto ritenere necessaria la prova della sussistenza effettiva del fatto che le porzioni immobiliari non erano state acquistate con danaro proveniente dal trasferimento di beni personali dell’acquirente, che nel corso del giudizio di merito non aveva fornito tale prova e, comunque, in data antecedente alla compravendita dei beni de quibus, non aveva effettuato alcuna alienazione. La ricorrente, inoltre, richiama l’attenzione degli ermellini sull’indirizzo giurisprudenziale che sottolinea la necessità della ricorrenza effettiva dei requisiti di cui all’articolo 179 c.c. ai fini della esclusione della comunione legale fra i coniugi di un bene immobile acquistato da uno di essi, orientamento che si contrappone a quello seguito dai giudici di merito, secondo cui la partecipazione del coniuge all’atto d’acquisto costituirebbe una presunzione “iuris et de iure” di esclusione della contitolarità dell'acquisto. Le contestazioni devono essere specifiche. I motivi di doglianza non trovano ingresso nel giudizio di legittimità, poiché secondo consolidato orientamento della Suprema Corte, qualora la sentenza impugnata sia fondata su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a sorreggere la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre e divenendo definitiva l’autonoma motivazione non impugnata non si potrebbe produrre l’annullamento della sentenza di merito Cass., SSUU, numero 7931/2013 . Nella fattispecie, la Corte di merito, si era basata, da un lato, sulla partecipazione della moglie alla compravendita e, dall’altro, sull’affermazione del marito, contenuta nella sua comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado, che detto atto dissimulava una donazione con la conseguente esclusione dalla comunione legale ai sensi dell’articolo 179, comma 1, lett. b . La censure della ricorrente non muovono alcuna critica a tale seconda ratio decidendi e, inoltre, anche gli ulteriori profili di doglianza sono ritenuti inammissibili, atteso che tendono a censurare solo la parte della decisione relativa alla partecipazione della moglie all’atto di compravendita, criticando la mancata considerazione da parte della Corte di merito dell’errore di fatto in cui la stessa sarebbe incorsa per averle il coniuge rappresentato una situazione non corrispondente alla realtà e dei vizi motivazionali in ordine alla rilevanza della documentazione catastale prodotta. In particolare, gli Ermellini, chiariscono che alla riconducibilità del trasferimento ad un atto di liberalità, la ricorrente non ha contrapposto alcun elemento, se non una generica e marginale confutazione della tesi della donazione.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 8 novembre 2013 – 26 giugno 2014, numero 14551 Presidente Campanile – Relatore Bisogni Svolgimento del processo 1.-Il Tribunale di Roma in composizione monocratica, in accoglimento della domanda proposta da C.P. nei confronti del marito separato, G.P., dichiarò la comproprietà dei coniugi sulle porzioni immobiliari ubicate nel Comune di Itri, specificate nell'atto di compravendita intercorso in data 5 gennaio 1984, tra l'alienante C.P. zio del convenuto e l'acquirente, G.P., nel quale quest'ultimo, in regime di comunione legale con la moglie, aveva dichiarato di acquistare dette porzioni immobiliari come beni personali con danaro proveniente dall'alienazione di altri suoi beni personali, ciò che era stato confermato dalla moglie, C.P., personalmente presente alla stipulazione e anch'essa firmataria dell'atto. Secondo il Tribunale, gli immobili in questione non potevano essere esclusi dalla comunione legale per mancanza del carattere personale dei beni dalla cui alienazione sarebbe stato ricavato il danaro necessario per l'acquisto. Ciò sarebbe emerso dalla documentazione prodotta dalla P. 2.-Avverso la predetta sentenza il P. propose gravame, che fu accolto dalla Corte d'appello di Roma, Sezione della Persona e della Famiglia, con sentenza depositata il 4 maggio 2009. La Corte di merito osservò che i coniugi P.-P., unitisi i matrimonio il 12 luglio 1973, erano in regime di comunione legale dei beni il 5 gennaio 1984, allorchè il P. acquistò per il complessivo prezzo di lire 47.200.000 le porzioni immobiliari di cui si tratta all'atto di compravendita partecipò anche la moglie, la quale confermò la dichiarazione del coniuge di acquistare i beni con danaro proveniente dall'alienazione di suoi beni personali, sottoscrivendo l'atto insieme ai contraenti. A tale atto, rilevò la Corte, il legislatore attribuisce la valenza di testimonianza privilegiata, ricollegandovi l'effetto di una presunzione iuris et de iure di esclusione della contitolarità dell'acquisto. Né la P. aveva offerto la prova che tale sua dichiarazione confermativa fosse stata determinata da errore di fatto o da violenza, essendosi la stessa limitata a depositare, a sostegno della sua domanda,una attestazione notarile, in data 21 aprile 2006, in cui si certificava che dalle visure effettuate presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Roma 1, 2, 3, di Latina e di Terni non risultavano alienazioni effettuate da G. P. in data antecedente al 5 gennaio 1984. Tale certificazione non era idonea a superare la valenza privilegiata riconosciuta dal legislatore, a norma dell'articolo 179, ultimo comma, cod.civ., all'esclusione di beni dalla comunione formalizzata da un coniuge nell'atto di acquisto con l'esplicita adesione dell'altro coniuge, riguardando visure immobiliari circoscritte sia sul piano spaziale, essendo limitare alle Conservatorie di tre Comuni, sia sul piano temporale, riguardando espressamente alienazioni effettuate fino al 5 gennaio 1984, sicchè non poteva escludersi che, prima di quella data, fossero stati conclusi contratti preliminari di vendita di beni personali del P., non trascritti, con introiti di somme di danaro, con successiva stipulazione e trascrizione degli atti di compravendita. Né poteva ignorarsi che il P., richiamando il vincolo parentale che lo legava a colui che figura alienante nell'atto di compravendita del 5 gennaio 1984, C. P., suo zio materno, aveva espressamente ricondotto il trasferimento in questione ad un atto di liberalità del congiunto in suo favore, dissimulato come negozio di compravendita per scelta delle parti, con la conseguenza di ricomprendere le porzioni immobiliari che ne avevano formato oggetto nella categoria dei beni personali di cui all'articolo 179, lettera b , cod.civ., comunque esclusi dalla comunione legale dei coniugi, e ciò senza che detta allegazione fosse stata specificamente confutata dalla P. nei suoi scritti difensivi. 3.- Per la cassazione di tale sentenza ricorre la P. sulla base di quattro motivi. Resiste con controricorso il P. Motivi della decisione 1.-Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 e dell'articolo 179, lett. f , cod. civ. Si richiama la necessità, ai fini della esclusione della comunione legale fra i coniugi di un bene immobile acquistato da uno di essi in costanza di matrimonio, oltre che della partecipazione all'atto del coniuge non acquirente, che non contesti l'acquisto, anche della effettiva sussistenza dei requisiti indicati dall'articolo 179 cod. civ. sicchè, nella specie, si sarebbe dovuta ritenere necessaria la prova della sussistenza effettiva del fatto che i beni di cui si tratta venivano acquistati con il prezzo del trasferimento di beni personali dell'acquirente prova non fornita dall'acquirente, cui incombeva il relativo onere. Al contrario, non risultavano alienazioni effettuate dal P. in data antecedente alla compravendita del 1984. 2.- Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 179, lett. f , cod. civ. Si richiama l'indirizzo giurisprudenziale che sottolinea la necessità della ricorrenza effettiva dei requisiti di cui all'articolo 179 cod.civ. ai fini della esclusione della comunione legale fra i coniugi di un bene immobile acquistato da uno di essi indirizzo che si contrappone a quello, adottato più recentemente, e seguito nella sentenza impugnata, secondo il quale la partecipazione del coniuge all'atto di acquisto da parte dell'altro, accompagnata dalla mancata contestazione da parte del primo in ordine alla natura personale del bene di cui si tratta, costituirebbe una presunzione iuris et de iure di esclusione della contitolarità dell'acquisto. 3. - I due motivi, da esaminare congiuntamente avuto riguardo alla stretta connessione che li avvince, non possono trovare ingresso nel presente giudizio. 3.1. - Come chiarito da questa Corte, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l'omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l'autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l'annullamento della sentenza Cass., S.U., sent. numero 7931 del 2013 . 3.2. -Nella specie, la Corte di merito, nel percorrere l'iter logico-giuridico che l’ha portata alla decisione oggi impugnata, ha fatto riferimento, per un verso, alla partecipazione della P. all'atto di compravendita del coniuge, per l'altro, all'affermazione del P., contenuta nella sua comparsa di costituzione in primo grado, che detto atto dissimulava una donazione, con la conseguenza della esclusione, per altra via, e cioè per effetto del disposto dell'articolo 179, lett. b , della comunione legale dei coniugi sul bene che era oggetto di quel contratto. Ebbene, le illustrate censure non muovono alcuna critica a tale seconda ratio decidendi, risultando, per quanto testè chiarito, inammissibili. 4. - Per la medesima ragione sono del pari inammissibili gli altri motivi di ricorso, i quali tutti censurano esclusivamente la parte della decisione attinente alla partecipazione della P. all'atto stipulato dal coniuge, stigmatizzando la mancata considerazione da parte della Corte di merito dell'errore di fatto in cui la stessa sarebbe incorsa per averle il coniuge rappresentato una situazione di fatto non corrispondente alla realtà terzo motivo , e vizi motivazionali in ordine alla rilevanza della certificazione catastale prodotta quarto motivo . E' appena il caso di chiarire che la circostanza che, nell'ultima censura, si faccia altresì riferimento alla inesattezza della affermazione della Corte di merito circa la mancata contestazione da parte della P. della qualificazione come donazione, operata dal P., dell'atto di trasferimento del 1984, non incide sulla sostanziale pretermissione da parte della difesa della ricorrente - evidenziata sub 2 - della seconda ratio decidendi a fondamento della sentenza impugnata. Invero, la Corte di merito ha escluso che l'allegazione relativa alla riconducibilità del predetto trasferimento ad un atto di liberalità - con conseguente ricomprensione dei beni che ne furono oggetto nella categoria dei beni personali di cui all'articolo 179, lett. b , cod.civ., comunque esclusi dalla comunione legale fra i coniugi - fosse stata specificamente contestata. A tale argomentazione nessun elemento viene contrapposto dalla odierna ricorrente al di là di un generico e marginale riferimento alla confutazione della tesi della donazione contenuta negli atti difensivi della P. nel giudizio di merito, in assenza di alcuna concreta contestazione cui possa attribuirsi il valore di una reale specifica censura. 5. - Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. In applicazione del criterio della soccombenza, le spese del presente giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo, devono essere poste a carico della ricorrente. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi euro 2800,00, di cui euro 2600,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.