«Non ti faccio vedere i bambini»: il messaggio al marito può essere una provocazione

Da valutare nuovamente la potenzialità come fatto ingiusto dello scritto inviato dalla donna al cellulare del marito. Perché il comportamento successivo dell’uomo, concretizzatosi in minacce e ingiurie, può essere considerato come reazione a una provocazione.

L’adagio recita che «la vendetta è un piatto che va servito freddo», a distanza di tempo dall’offesa subita, tempo trascorso meditando la reazione più adatta. E tale adagio si attaglia bene, purtroppo, anche alle liti, non sempre da educande, che possono accompagnare la rottura tra moglie e marito Cassazione, sentenza numero 28292/2013, Quinta Sezione Penale, depositata oggi . Parole grosse. Esemplare la vicenda che vede protagonisti un uomo e una donna, ormai avviati sulla strada della «separazione». Ma il cammino non è affatto semplice, caratterizzato com’è da «ripetute liti» e da offese non solo reciproche ma anche, passateci la definizione, trasversali, indirizzate cioè ai rispettivi familiari. Nessun dubbio, quindi, sul clima di tensione tra la coppia oramai scoppiata. E consequenziale è la condanna, in primo e in secondo grado, sia per l’uomo che per la donna, per i reati di «diffamazione, minacce e ingiurie». Reazione. Ma questa visione viene contestata dall’uomo, a cui, in particolare, sono stati addebitati «i reati di minacce e ingiurie» egli, dinanzi ai giudici della Cassazione, sostiene la tesi della «reciprocità delle offese» e, soprattutto, quella della «provocazione», ossia la «ingiustificata minaccia», da parte della moglie, «non fargli vedere i figli, sulla base di una inesistente pronunzia del giudice civile». Ebbene, quest’ultima osservazione viene ritenuta assolutamente logica e fondata dai giudici del Palazzaccio, soprattutto tenendo presente la valutazione – da approfondire in un nuovo giudizio di secondo grado – della potenzialità come «fatto ingiusto» della minaccia subita dall’uomo, ossia il messaggio sul cellulare, inviatogli dalla moglie, contenente la ‘promessa’ «di impedirgli di vedere la prole». Questo nodo va assolutamente sciolto, bisogna, cioè, capire se quel messaggio può essere valutato come «provocazione». Perché, in caso di riscontro positivo, e quindi favorevole all’uomo, non sarebbe discutibile l’«esimente della provocazione», neanche col richiamo ai tempi di reazione lenti. Per la semplice ragione, evidenziano i giudici, che «non è necessario che la reazione venga attuata nello stesso momento in cui sia ricevuta l’offesa, essendo sufficiente che essa abbia luogo finché duri lo stato d’ira suscitato dal fatto provocatorio, a nulla rilevando che sia trascorso del tempo, ove il ritardo nella reazione sia dipeso unicamente dalla natura e dalle esigenze proprie degli strumenti adoperati per ritorcere l’offesa».

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 6 – 28 giugno 2013, numero 28292 Presidente Marasca – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 19 luglio 2011 il Tribunale di Genova confermava la condanna alla pena di giustizia di M.S. per i reati di diffamazione e minacce, nonchè del marito M.A. per i reati di minacce e ingiurie, tutti commessi in danno reciproco o in danno dei rispettivi familiari nell’ambito di ripetute liti insorte fra i due nel corso della loro separazione. 2. Avverso la sentenza ricorrono entrambe gli imputati, la M.A. anche in qualità di parte civile costituita nei confronti di M.A. 2.1 Con il ricorso proposto a mezzo del proprio difensore M.A. deduce ripetute carenze motivazionali del provvedimento impugnato in merito alla ritenuta responsabilità dell’imputato per i reati contestatigli ed alla congruità del trattamento sanzionatorio applicatogli dal giudice di prime cure. In generale il ricorrente lamenta che il giudice avrebbe condensato in poche righe di motivazione le ragioni della sua decisione, giustificandola con un generico, quanto fantomatico, riferimento a non meglio individuate testimonianze. Quanto ai fatti denunciati con la querela del 22 aprile 2008 il ricorrente evidenzia poi come logica imponesse di ritenere sussistente la reciprocità delle offese e comunque la provocazione subita dal M. a seguito dell’ingiustificata minaccia della moglie di non fargli vedere i figli sulla base di una inesistente pronunzia dei giudice civile. Con riguardo invece ai fatti narrati nella querela dell’8 maggio 2008 sottolinea come l’unica prova degli stessi era costituita dalle dichiarazioni di M.A. - peraltro smentite dall’imputato - la cui attendibilità non sarebbe stata vagliata con il necessario rigore in ragione dell’interesse di cui la, stessa era portatrice ed in assenza di riscontri in grado di confermarle. 2.2 Con il ricorso proposto personalmente, M.A. denuncia invece la radicale assenza di qualsiasi motivazione in merito alla conferma della sua condanna, evidenziando come alcuna delle doglianze sollevate con i motivi d’appello sia stata presa In considerazione dal Tribunale, anche solo al fine della loro confutazione. Considerato in diritto 1. Il ricorso di M.A. è fondato, atteso che il Tribunale, a fronte delle specifiche doglianze avanzate con i motivi d’appello sul punto ed alla generica motivazione adottata dal giudice di prime cure, ha affermato in maniera apodittica l’attendibilità della persona offesa sulle cui dichiarazioni ha fondato l’affermazione di responsabilità dell’imputato. Non meno fondata è poi la lamentela relativa alla ritenuta insussistenza dell’esimente della provocazione, atteso che ai fini dei riconoscimento della medesima non è necessario che la reazione venga attuata nello stesso momento in cui sia ricevuta l’offesa, essendo sufficiente che essa abbia luogo finchè duri lo stato d’ira suscitato dal fatto provocatorio, a nulla rilevando che sia trascorso del tempo, ove il ritardo nella reazione sia dipeso unicamente dalla natura e dalle esigenze proprie degli strumenti adoperati per ritorcere l’offesa Sez. F, numero 32323 del 31/07/2007 - dep. 08/08/2007, P.M. in proc. Marusi Guareschi, Rv. 236832 . In tal senso il Tribunale non ha dunque tenuto conto di come il presunto fatto ingiusto - sulla cui effettività deve comunque esprimersi il giudice di merito - cui il M. avrebbe reagito sarebbe stato nel caso di specie integrato dall’invio di un “sms” contenente la minaccia di impedirgli di vedere la prole. 2. Anche il ricorso presentato da M.A. nella sua qualità di imputata deve ritenersi fondato. Infatti la motivazione della sentenza in relazione alla posizione della predetta risulta a tutto concedere meramente apparente, risolvendosi nell’apodittica considerazione che le condotte attribuitele sarebbero comprovate dalle sue stesse dichiarazioni. Affermazione che risulta non poco enigmatica - giacché non si comprende a quali dichiarazioni il Tribunale abbia fatto riferimento -, ma che soprattutto non si confronta, nemmeno implicitamente, con i motivi d’appello presentati nell’interesse della M., con i quali erano state sottoposte al giudice dell’appello svariate doglienze sulla tenuta argomentativa della sentenza di primo grado. A seguito dell’accoglimento del ricorso di M.A. devono invece ritenersi assorbiti i motivi dei ricorso presentato da M.A. nella sua qualità di parte civile. La sentenza deve conseguentemente essere annullata con rinvio al Tribunale di Genova per nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Genova. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’articolo 52 del d. Igs. numero 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge.