Lo stop al Metodo Stamina non lede i diritti del malato: la CEDU concorda con le Corti italiane

Irricevibile il ricorso della madre di una donna, affetta, sin dall’adolescenza, da una grave malattia degenerativa al cervello, cui erano state negate queste cure, inizialmente concesse. I divieti imposti dalle Corti italiane sono legittimi e non ledono i diritti del malato, non essendo né arbitrari né discriminatori, ma frutto di corrette motivazioni.

Ennesimo capitolo della complessa e discussa vicenda Stamina, stavolta scritto dalla CEDU con la sentenza definitiva Durisotto contro Italia ricomma 62804/13 del 28 maggio 2014, pubblicata poco dopo che i Tribunali di Ragusa 27/5/14 e di Marsala 15/4/14 hanno, rispettivamente, concesso e negato a due pazienti, affetti da gravi e rare malattie, queste cure sperimentali. Il caso. La ricorrente ricorse al Tribunale di Udine per far somministrare il Metodo Stamina alla figlia che, inizialmente, accolse la richiesta evidenziando che, in data 8/4/13, non c’era alcun motivo per ritardare la somministrazione. Pochi giorni dopo gli Spedali Riuniti di Brescia rifiutarono la cura perché la paziente non soddisfaceva i criteri dettati dal d.l. numero 24/13 L. numero 57/13 regolante l’accesso al metodo in questione non aveva iniziato le cure prima del 27/3/13 entrata in vigore del d.l. , dato che era ancora pendente il giudizio di primo grado. I successivi gravami furono rigettati e fu confermato il divieto per questo motivo. Nell’ultima sentenza 30/8/13 si ricordava che il decreto ne stabiliva la sperimentazione per la durata di 18 mesi a partire dal 1/7/13 e che il nostro sistema sanitario garantisce l’accesso alle cure ed alle terapie solo nel caso in cui la loro efficacia e la loro validità sia dimostrata da organismi medici e scientifici. La donna ricorreva alla CEDU eccependo una violazione dei diritti alla vita, alla serenità familiare ed una discriminazione articolo 2, 8 e 14 Cedu tra i pazienti che avevano avuto accesso a questa cura compassionevole e quelli che, nella stessa situazione di sua figlia, invece erano stati esclusi. Inoltre lamentava una violazione dell’articolo 6 § .1 perchè la nostra legge, per questa materia, prevede solo due gradi di giudizio civile il ricorso ed il reclamo che, se confermato, è definitivo. La Corte lo ha rigettato perché manifestamente infondato. Quadro giurisprudenziale. Per meglio comprendere il problema si deve fare un sunto della contrastante e caotica giurisprudenza sul punto. Si ricordi che il Tar Lazio con l’ordinanza 4728/13 ha autorizzato la sperimentazione, per altro non ancora iniziata, perché ancora alla fase di promozione della cura, annullando i due d.m. attuativi del d.l. 24/13, che avevano espresso parere negativo sul Metodo e ha ordinato di nominare una nuova commissione che lo studiasse. Accoglieva, però, anche «la giusta preoccupazione del Ministero della salute e della comunità scientifica - che non siano autorizzate procedure che creino solo illusioni di guarigione o comunque, e quanto meno, di un miglioramento del tipo di vita, e che si dimostrino invece nella pratica inutili o addirittura dannose» auspicando un’istruttoria che non lasciasse dubbi sulla sua efficacia o meno, dato che allo stato il Metodo non è praticabile. Negli ultimi mesi i tribunali spesso, però, giudicando discriminatorio autorizzarlo solo per i malati che lo avevano intrapreso nei termini del d.l. numero 24/13, hanno ordinato la somministrazione anche per quelli che non avevano potuto iniziarlo prima del 27/3/13 Tribb. Pesaro, Genova, Parma, Taranto sez. lav. ord.24/9/13 . Altri, invece, ne convalidano il divieto, perchè lo Stato non può consentire cure incerte Tribb. Parma, Torino . Lo stesso tribunale di Brescia è diviso. Conclusioni della CEDU. Negare una cura compassionevole sperimentale non è discriminatorio, né arbitrario quando questo rifiuto è stato adeguatamente e dettagliatamente motivato dai tribunali. In primis la CEDU non può sostituirsi allo Stato che fissa le linee guida della sperimentazione e stabilisce le misure per tutelare la salute pubblica. Nella fattispecie, come sopra ricordato, aveva espresso parere negativo e, inizialmente, bloccato la sperimentazione. Non si possono considerare discriminatorie ed/od arbitrarie le sentenze contrarie al Metodo e/o che negano queste cure ad alcuni pazienti, consentendole ad altri, perché, come detto, sono frutto di un’analisi razionale ed obiettiva di cui si dà atto nelle singole conclusioni, tanto più che il valore terapeutico del Metodo Stamina non è stato ancora provato scientificamente. Per lo stesso motivo la giurisprudenza contrastante ed il fatto che alcuni malati, tra cui, in via eccezionale, anche chi, come sua figlia, non le aveva già richieste prima del 27/3/13, siano stati autorizzati a seguirle non violano gli articolo 8 e 14 Cedu. Infine la censura attinente all’articolo 6 § .1 è inammissibile, perché incompatibile con le disposizioni della Cedu.

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