Dirigente psicologa di una ASP inidonea a svolgere i suoi compiti: giusto il licenziamento

L’omessa disposizione di una c.t.u. non integra vizio del procedimento, visto che non è un mezzo istruttorio in senso proprio, ma ha invece finalità di aiuto per il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti. La parte non può utilizzare la consulenza al fine di supplire alla propria deficienza probatoria.

Con la sentenza numero 12561, depositata il 22 maggio 2013, la Corte di Cassazione ha confermato la liceità del licenziamento. Il caso. Una dirigente psicologa di un’azienda sanitaria provinciale ricopre vari ruoli tra il 2000 ed il 2006 fino al 2003, studio e ricerca bibliografica, fino al 2005 valutazione dell’idoneità genitoriale delle coppie aspiranti all’adozione nazionale ed internazionale. L’azienda la licenzia rilevandone gravi carenze professionali nel comportamento ed incapacità nelle diverse attività, protratte nel tempo. La donna chiede che ne venga dichiarata l’illegittimità, con conseguente reintegrazione. Tribunale e Corte d’Appello respingono la domanda. Il procedimento si è svolto correttamente? Prove correttamente ripartite e valutate? La psicologa ricorre per cassazione, lamentandosi del fatto che erroneamente non sarebbe stata esperita una c.t.u. nonostante il carattere tecnico della contestazione di incapacità professionale il datore di lavoro avrebbe dovuto essere onerato dell’allegazione delle registrazioni dei colloqui della licenziata con le coppie disponibili per l’adozione, incombendo sull’azienda l’onere della prova il recesso non potrebbe considerarsi per giusta causa, essendo intervenuto all’improvviso rispetto a comportamenti sempre tollerati dal datore di lavoro. Rinuncia ai vizi formali del licenziamento. La Suprema Corte rileva che la ricorrente ha dichiarato, in giudizio, «di rinunciare alla proposizione di tutte le censure attinenti all’aspetto formale del licenziamento», e dunque anche ad un eventuale eccezione di tardività della contestazione e della sanzione. Inidoneità dimostrata. L’onere della prova non è stato invertito, poiché l’azienda ha correttamente dimostrato, anche tramite escussioni testimoniali, l’inidoneità della donna «a fare fronte ai compiti a lei affidati nella sua qualità di dirigente psicologo alla quale si aggiungeva una incapacità di rapportarsi con altri soggetti con i quali era tenuta a collaborare nei diversi settori di attività ai quali nel tempo era stata assegnata». Spettava alla donna presentare le registrazioni dei colloqui da lei tenuti con le coppie disponibili all’adozione, perché l’azienda già aveva presentato istanza in tal senso, alla quale la donna si era opposta. Nessuna c.t.u Peraltro non può essere richiesta una c.t.u. in sostituzione della propria deficienza nell’allegazione probatoria. Il giudice non è obbligato a richiederla, ne farà uso solo nel caso in cui ritenga di dover integrare la propria valutazione rispetto a materiale già acquisito. Per queste ragioni la Corte respinge il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 dicembre 2012 – 22 maggio 2013, numero 12561 Presidente Stile – Relatore Garri Svolgimento del processo La signora L M. adiva il giudice del lavoro per sentire accertare e dichiarare l'illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatole dalla Azienda provinciale per i Servizi Sanitari della Provincia autonoma di Trento ASPP ed ordinare la reintegrazione nel posto di lavoro con condanna al pagamento delle retribuzioni, dei contributi previdenziali ed assistenziali oltre che al risarcimento del danno non patrimoniale. Il Tribunale, all'esito dell'istruttoria svolta, respingeva la domanda ritenendo provate le gravi carenze professionali nel comportamento ed incapacità nelle diverse attività compiute e protratte nel tempo. La Corte d'appello Trento ha confermato la sentenza. In particolare la corte territoriale, preso atto della rinuncia alle censure formali del licenziamento, ha ritenuto che non fosse necessario l'espletamento di una consulenza tecnica per confermare, sotto il profilo scientifico, le addebitate carenze professionali evidenziando la contraddittorietà del comportamento della M. . Questa, infatti, invocando pretese violazioni della deontologia professionale, si era rifiutata di mettere a disposizione della commissione tecnica della provincia la registrazione dei colloqui e la lettura delle cartelle cliniche delle coppie aspiranti all'adozione che si erano dolute del suo comportamento. Successivamente, nel giudizio, aveva sostenuto che tali registrazioni costituivano l'unico elemento utile a confermare la professionalità della propria condotta e si era doluta proprio della mancata produzione delle stesse da parte dell'Azienda che, peraltro, aveva opposto le stesse obiezioni da lei formulate nel corso del procedimento disciplinare. Sottolineava ancora il giudice d'appello che comunque la M. ben avrebbe potuto, tempestivamente, chiederne l'esibizione e non l'aveva fatto. In relazione alle valutazioni espresse dal collegio tecnico la corte ha verificato che le stesse avevano trovato conferma nelle dichiarazioni dei testi escussi. Inoltre ha precisato che la dedotta inconcludenza delle prove testimoniali, e la loro non valutabilità nella parte in cui esprimono giudizi, oltre ad essere opponibili in ipotesi anche nelle testimonianze richiamate come favorevoli, comunque non erano fondate. Ha osservato il giudice d'appello che i testi, lungi dall'esprimere valutazioni tecniche o giudizi, si erano espressi sulla sussistenza delle condotte contestate alla M. . Inoltre ha escluso che l'esistenza di rapporti di lavoro di alcuni dei testi con l'Azienda Provinciale li rendesse per ciò solo inattendibili. Nel confermare la correttezza della ricostruzione delle prove operata dal Tribunale, ha poi osservato che l'esistenza di alcune testimonianze favorevoli alla ricorrente non rendeva di per sé meno gravi gli episodi contestati e confermati dai testi, riferiti a diverse funzioni ed ad un consistente periodo di tempo. Con riguardo ad una dedotta riluttività dei compiti affidati periodo 2000-2003 , la Corte ha precisato che, ove pure provata, la stessa non giustificherebbe di per sé un comportamento negligente della lavoratrice che, nella sua materialità, non era stato dalla stessa contestato e comunque non poteva essere giustificato dalla dedotta insufficienza degli strumenti necessari al suo esercizio, circostanza questa non rilevante in relazione alle caratteristiche degli incarichi affidati e ad un negligente espletamento degli stessi mera consegna di fotocopie laddove era stato chiesto esame critico della documentazione scientifica da raccogliere sia con riguardo alle adozioni che con riferimento alle tossicodipendenze . Con riferimento al successivo periodo 2003 - 2005 nel corso del quale era stata incaricata della valutazione dell'idoneità genitoriale di coppie aspiranti ad una adozione nazionale o internazionale, la corte raffrontate le censure formulate alla valutazione dei testi operata dal Tribunale le ha ritenute infondate e comunque inidonee a inficiare gli addebiti mossi alla dipendente relativamente a comportamenti non collaborativi e comunque non conformi alla professionalità che le era richiesta. Per la cassazione della sentenza ricorre la M. sulla base di quattro motivi illustrati anche da memoria depositata ai sensi dell'articolo 378 c.p.c Resiste con controricorso la Azienda provinciale per i Servizi Sanitari della Provincia Autonoma di Trento. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso viene denunciata la “nullità della sentenza o del procedimento per il mancato esperimento della ctu nonostante il carattere tecnico della contestazione in incapacità professionale mosse a carico della Dott.ssa M. in violazione dell'articolo 360 numero 4. In particolare sostiene la ricorrente che la fondatezza degli addebiti mossi alla dipendente, di natura squisitamente tecnica, doveva necessariamente essere verificata tramite un accertamento da parte di un tecnico esperto in possesso delle cognizioni specialistiche necessarie per valutare le condotte che le erano state contestate. Con il secondo motivo, poi, viene denunciata la violazione dell'articolo 2697 c.c. e dell'articolo 5 della L. numero 604/1966 in quanto la corte territoriale, illegittimamente invertendo l'onere di provare l’incapacità professionale che aveva determinato il recesso dell'ASSP, lo aveva addossato alla lavoratrice addebitandole di non aver depositato le registrazioni dei colloqui con i pazienti sui quali effettuare eventualmente l'accertamento peritale. Sostiene per contro la M. che tale onere gravava sulla parte datoriale che doveva dimostrare l'esistenza e la gravità dell'inadempimento contestato alla lavoratrice. Con il terzo, articolato, motivo di ricorso viene quindi denunciata l'omissione, l'insufficienza e la contraddittorietà della motivazione in relazione al fatto controverso e decisivo per il giudizio costituito dalla ricorrenza della sussistenza di una giusta causa di licenziamento. In particolare sostiene la ricorrente che la corte territoriale avrebbe aderito alla prospettazione della difesa di parte datoriale senza tenere conto di emergenze probatorie acquisite in favore della dipendente. In particolare non si sarebbe tenuto conto del carattere riduttivo rispetto alle mansioni rivestite dell'incarico di studio e ricerca bibliografica svolto nel periodo tra l'agosto 2000 e l'aprile 2003, dei limitati mezzi posti a sua disposizione per adempiervi e, comunque, della sua disponibilità a portarlo a termine nonostante tutto, tanto che le era stata riconosciuta la retribuzione di risultato, seppur in misura ridotta 40% . Sostiene la ricorrente che la Corte territoriale, pur dando atto di dell'esistenza di tale situazione di fatto non ne ha poi tenuto adeguatamente conto nella valutazione complessiva dei fatti che avevano determinato il recesso. Con riferimento agli incarichi affidati nel periodo aprile 2003-luglio 2005 valutazione dell'idoneità genitoriale delle coppie aspiranti all'adozione nazionale ed internazionale , poi, il mancato deposito da parte della ASSP degli atti e delle relazioni aveva reso impossibile l'espletamento della consulenza che sola avrebbe potuto consentire di valutare la correttezza tecnico scientifica dell'attività della dipendente. Quanto alle difficoltà nella collaborazione con i colleghi del servizio e con gli assistenti sociali, sostiene la M. che la corte territoriale avrebbe inadeguatamente motivato le ragioni in base alle quali aveva ritenuto provata tali difficoltà. Altrettanto afferma con riguardo alla ritenuta difficoltà di relazionarsi con le coppie sottoposte a valutazione. Contraddittoriamente sarebbero state valorizzate dichiarazioni relative alla correttezza dell'operato professionale della ricorrente rese da soggetti che avevano conseguito una valutazione negativa, ovvero relative a circostanze apprese de relato, sottovalutando invece quelle di testi che riferivano, al contrario, di colloqui sereni. Con riguardo infine all'incarico di ricerca svolto nell'ultimo periodo di lavoro 2005-2006 erroneamente la corte sarebbe giunta alle medesime conclusioni alle quali era pervenuta con riguardo agli altri incarichi senza esaminare le relazioni redatte nel corso dell'esecuzione da parte della dipendente che avrebbero dimostrato la corretta esecuzione e l'inesistenza di una giusta causa di risoluzione del rapporto. Con l'ultimo motivo di ricorso, infine, la M. lamenta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2119 c.c. sul rilievo che il licenziamento sarebbe stato intimato con riguardo a comportamenti protrattisi nel tempo e tollerati dal datore di lavoro che non era intervenuto neppure con provvedimenti cautelari di sospensione dal servizio così che a distanza di tempo non si giustificherebbe e sarebbe comunque sproporzionata la risoluzione in tronco del rapporto di lavoro. Le censure, che pur sotto diversi profili sono tra loro connesse in quanto attengono tutte alla corretta gestione del materiale probatorio acquisito o comunque da acquisire al processo, vanno esaminate congiuntamente e sono destituite di fondamento. Anche a voler ritenere ammissibile il denunciato vizio della procedura, consistente nel non avere la corte d'appello ammesso la consulenza tecnica d'ufficio, osserva questa Corte che la mancata disposizione della consulenza tecnica d'ufficio da parte del giudice di merito, di cui si asserisce l'indispensabilità ai fini della decisione non integra un vizio del procedimento ove si consideri che la consulenza tecnica d'ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio ed ha la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati, in questo senso è costante la giurisprudenza cfr tra le tante Cass. numero 3130/2011 ed ivi altre citate . Orbene nella presente controversia da un canto si censura la mancata ammissione da parte della corte di merito dell'indagine peritale, ma dall'altra si lamenta un'errata inversione dell'onere probatorio con riguardo alla produzione delle relazioni redatte in esito agli incontri con i genitori che aspiravano al conseguimento dell'idoneità all'adozione che avrebbero dovuto poi costituire l'oggetto dell'esame tecnico per accertare la capacità della dipendente di relazionarsi in maniera adeguata nello svolgimento dei compiti istituzionali a lei affidati. Tanto premesso ritiene la Corte che debba essere confermata l'affermazione del giudice di merito che ha ritenuto di non poter ammettere una indagine peritale in mancanza di oggettivi elementi di valutazione da sottoporre all'ausiliare ed ha ritenuto che fosse onere della parte che aveva interesse all'indagine tecnica, e che i documenti aveva redatto, ad essere onerato della loro produzione in giudizio. Né la ritenuta carenza di allegazioni e prove che ha determinato il giudice di merito a non procedere ad indagini peritali, in mancanza di specifici elementi di prova da sottoporre alla verifica tecnica, è espressione di un errato governo della prova da parte della corte territoriale. Contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, risulta dalla sentenza impugnata che la datrice di lavoro aveva offerto, nel corso dell'istruttoria di primo grado, una piena prova della fondatezza degli addebiti contestati e posti a fondamento del recesso per giusta causa. Si evince dalla sentenza impugnata che la documentazione posta a sostegno delle contestazioni analisi dell'attività svolta da parte di un collegio tecnico di valutazione interna, la cui documentazione l'ASSP ha depositato in giudizio aveva trovato conferma nelle dichiarazioni rese dai testi escussi nel corso del giudizio di primo grado. Dall'istruttoria svolta era quindi risultata confermata l'inidoneità della M. a fare fronte ai compiti a lei affidati nella sua qualità di dirigente psicologo alla quale si aggiungeva una incapacità di rapportarsi con altri soggetti con i quali era tenuta a collaborare nei diversi settori di attività ai quali nel tempo era stata assegnata. Nel corso del giudizio di appello la dipendente si è lamentata della mancata disposizione della consulenza tecnica sulle trascrizioni delle registrazioni dei colloqui intercorsi tra la ricorrente e le coppie sottoposte alla sua valutazione consulenza che dalla sentenza impugnata si evince essere stata richiesta nel corso del giudizio di primo grado da parte della associazione datrice di lavoro ad ulteriore conferma della correttezza del suo operato . È in tale specifico contesto che la corte territoriale ha ritenuto che fosse onere della parte che aveva interesse a scardinare le prove già ritenute sufficienti a dimostrare la legittimità del recesso, quantomeno chiedere l'esibizione della documentazione ritenuta idonea ad incrinare la prova già acquisita, a maggior ragione nel caso in cui tale documentazione avrebbe dovuto costituire l'oggetto di un accertamento peritale che confermasse le capacità necessarie allo svolgimento dei compiti propri della qualifica rivestita dalla M. . Nessuna inversione dell'onere probatorio, dunque, ma mera applicazione del principio in base al quale chi eccepisce l'insussistenza di un fatto la cui prova sia stata acquisita è tenuto ad allegare e provare con i mezzi a sua disposizione il fatto contrario. Correttamente allora la corte territoriale ha sottolineato che, nella specifica e peculiare situazione di fatto esaminata, era onere della appellante dimostrare da un canto di non essere in possesso della documentazione sulla quale compiere gli approfondimenti tecnici eventualmente ritenuti necessari e dall'altro, quanto meno, chiederne tempestivamente l'esibizione al giudice avuto riguardo ai limiti di ordinaria ostensibilità dei documenti in ragione della sensibilità dei dati in essi contenuti e del loro elevato grado di riservatezza, superabile solo per effetto di un' indispensabile necessità istruttoria che, nella specie, il giudice non ha ravvisato sussistere. Tale ultimo apprezzamento, in mancanza di una allegazione di fatti specifici e decisivi di segno contrario ed in presenza di una motivazione coerente, logica e corrispondente alle risultanze probatorie acquisite, non è censurabile da parte di questa Corte. Anche le censure formulate nel terzo motivo di ricorso tendono, all'evidenza, ad un riesame dei fatti oggetto di indagine da parte della corte di merito. Ancora una volta si deve ribadire, viceversa, che il giudice d'appello è addivenuto alle sue conclusioni in esito ad una ricostruzione, logica ed esauriente delle circostanze allegate e del materiale probatorio acquisito, che non si espone alle critiche che vengono formulate le quali non evidenziano il mancato esame di specifiche circostanze di fatto decisive per una diversa soluzione della controversia. Quanto all'ultima delle censure formulate - relativa ad una pretesa violazione 2119 c.c. in relazione alla ingiustificata sproporzione della risoluzione in tronco del rapporto protrattosi per lungo tempo, senza alcuna sospensione dal servizio, nonostante le ripetute contestazioni mosse dalla parte datoriale - si tratta di deduzione che risulta sollevata tardivamente solo nel presente giudizio. Ove, poi, la si volesse ritenere espressione di una violazione formale del procedimento di intimazione del licenziamento, il che non risulta esplicitamente dal presente ricorso, si deve rilevare che dalla sentenza della Corte d'appello emerge con chiarezza che l'odierna ricorrente allora appellante aveva dichiarato di rinunciare alla proposizione di tutte le censure attinenti all'apetto formale del licenziamento e dunque, all'evidenza anche ad un'eventuale eccezione di tardività della contestazione o della sanzione. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza ex articolo 91 cod. proc. civ. e sono liquidate, a norma del D.M. 20 luglio 2012, numero 140, tenuto conto dello scaglione di riferimento della causa e considerati i parametri generali indicati nell'articolo 4 del D.M. e delle tre fasi previste per il giudizio di cassazione fase di studio, fase introduttiva e fase decisoria nella allegata Tabella A, quanto ai compensi nella misura omnicomprensiva di Euro 3.000,00 mentre per esborsi vanno riconosciuti Euro 50,00. Oltre agli accessori previsti per legge. P.Q.M. La Corte respinge il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio liquidate in Euro 3,500,00 per compensi professionali ed in Euro 50,00 per esborsi oltre IVA e CPA.