Ciò che conta è il criterio della proporzionalità tra sostanze, redditi e capacità professionali dei due genitori. Assolutamente irrilevante la considerazione di elementi quali il potere di acquisto della moneta e i differenti stipendi percepiti nei due Paesi.
Paternità messa ‘nero su bianco’ grazie alla decisione di un giudice. Eppoi ancora battaglia per l’affidamento e per il mantenimento del figlio. Che viene consegnato esclusivamente alle cure della madre – in Ucraina –, lontano oltre duemila chilometri dal padre – in Italia –, obbligato anche a provvedere al quantum dell’assegno di mantenimento. Quantum che non può essere messo in discussione neanche richiamando le differenze economiche tra i due Paesi Cassazione, ordinanza numero 12192/2013, Sesta Sezione Civile, depositata oggi . Economia in secondo piano. Nessun dubbio sulla paternità, dichiarata «giudizialmente», ma proprio per questo lo scontro tra madre e padre concerne ora l’affidamento del figlio, e, soprattutto, la parte economica, ossia il contributo posto a carico dell’uomo. Nessun dubbio, innanzitutto, sulla scelta dell’«affidamento monogenitoriale alla madre», su cui i giudici di Cassazione concordano con quanto deciso in secondo grado, soprattutto alla luce del «totale disinteresse del padre» nonché della «distanza geografica il figlio vive in Ucraina con la madre » e delle «difficoltà oggettive di eventuali spostamenti e di assunzione di decisioni comuni». E da confermare, infine, è, sempre secondo i giudici, anche la decisione sull’assegno a carico del padre. Ciò perché vanno valutate non solo «sostanze e redditi dei coniugi» ma anche «capacità di lavoro professionale e casalingo». Punto di riferimento, quindi, è «il principio di proporzionalità, considerando le risorse economiche dei genitori», principio che, nonostante le osservazioni dell’uomo, non può essere modificato richiamando le differenze economiche tra i due Paesi, ossia «potere di acquisto della moneta ucraina rispetto all’euro» e «importi degli stipendi in Italia e in Ucraina».
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 23 gennaio – 20 maggio 2013, numero 12192 Presidente Di Palma – Relatore Dogliotti Fatto e diritto La Corte di Appello di Bari, con sentenza in data 9 giugno 2011, confermava la sentenza di primo grado che aveva dichiarato giudizialmente la paternità di D.R.G.M. sul figlio minore C.V. Ricorre per Cassazione il D.R. Resiste con controricorso C.V.Y., madre esercente la potestà sul minore. Non si ravvisa violazione alcuna di legge il Giudice a quo ha fornito una motivazione adeguata e non illogica. Applicando correttamente l’articolo 155 bis c.c., la sentenza impugnata, ha disposto l’affidamento monogenitoriale alla madre, richiamando, il totale disinteresse del padre nonché la distanza geografica tra le parti il figlio vive in Ucraina con la madre , per le difficoltà oggettive di eventuali spostamenti e - si poteva aggiungere - di assunzione di decisioni comuni . Quanto all’importo dell’assegno per il figlio, ancora una volta, il Giudice a quo pronuncia nel pieno rispetto della normativa l’articolo 148 c.c. tratta di “proporzionalità” tra le sostanze - e i redditi - dei coniugi, ma pure l’articolo 155 c.c. novellato precisa che l’assegno di mantenimento del figlio è previsto in proporzione alle sostanze dei genitori e al loro reddito, ma anche alla capacità, di lavoro professionale e casalingo, e ciò spiega la sussistenza dell’obbligo, anche se momentaneamente uno dei genitori sia privo di reddito ancora - secondo il predetto articolo l’assegno va corrisposto proprio per realizzare il principio di proporzionalità, considerando le “risorse economiche” dei genitori. Del resto - osserva la sentenza impugnata l’odierno ricorrente aveva chiesto l’affidamento esclusivo, lasciando intendere che avrebbe mantenuto il minore. Correttamente nessun rilievo attribuisce la sentenza impugnata al divario del potere di acquisto della moneta ucraina rispetto all’euro e agli importi degli stipendi in Italia e in Ucraina. Quanto al rimborso alla madre delle spese di mantenimento del figlio, a decorrere dalla sua nascita per tutte, Cass. 15756/2006 , la richiesta - chiarisce il giudice a quo - era stata proposta in tutti gli atti difensivi, anche se non quantificata. Correttamente la sentenza impugnata richiama giurisprudenza consolidata di questa Corte, per cui nel caso in cui non sia possibile pervenire ad una esatta determinazione dell’importo è legittimo il ricorso all’equità, trattandosi di criterio di valutazione del pregiudizio anche per i crediti di natura indennitaria Cass. numero 3991 del 2010 . Quanto alle spese, correttamente il giudice a quo richiama la soccombenza dell’odierno ricorrente che si è verificata nel grado, essendo stato rigettato il suo appello ed accolto quello della madre del minore. Va pertanto rigettato il ricorso, siccome manifestamente infondato. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in €. 1.700,00, comprensive di €. 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere generalità ed atti identificativi, a norma dell’articolo 52 D.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.