Locazione e vendita di immobili pubblici, in assenza di norma espressa, valgono gli stessi criteri dell'assegnazione

I requisiti necessari per l'assegnazione devono sussistere anche al momento della eventuale vendita.

I giudici di legittimità – con la sentenza numero 6172/14 depositata il 17 marzo - hanno chiarito che l'impianto normativo complessivamente sotteso alla materia dell'edilizia residenziale pubblica ha la sua ratio guida nell'intento di tutelare e garantire l'accesso agevolato al diritto abitativo. Se non è diversamente disposto dalla norma, i requisiti previsti per l'assegnazione dei cespiti restano immutati ai fini dell'individuazione del/dei soggetti che possono procedere all'acquisto. Il caso. Un immobile destinato a civile abitazione, di proprietà di un ente pubblico veniva condotto in locazione da un soggetto privato. Il proprietario, intendendo vendere il cespite, chiedeva al conduttore se voleva esercitare il suo diritto di prelazione. La risposta era affermativa, tanto che il proprietario comunicava al promissario acquirente le condizioni della vendita, il conduttore accettava e versava a favore del proprietario una somma a titolo di caparra confirmatoria. Giunti al momento del rogito, si riscontrava che il promissario acquirente risultava essere solo domiciliato presso il comune del luogo in cui si trovava l'immobile, per l'effetto, l'ente proprietario si opponeva alla vendita. L'acquirente conveniva in giudizio l'ente affinché - ex articolo 2932 c.c. - fosse condannato al trasferimento coattivo del bene immobile. Il tribunale accoglieva la domanda, condannava il proprietario a trasferire il bene nonché a risarcire i danni arrecati, quantificati nei canoni di locazione pagati dall'inquino successivamente al diniego e sino al trasferimento del diritto di proprietà. Il giudice, chiariva che la residenza nel comune del luogo in cui si trovava l'immobile non era requisito essenziale, dunque, il diniego opposto dal promissario venditore risultava essere infondato ed illegittimo. La Corte territoriale confermava la sentenza di primo grado rigettando in toto le difese di parte convenuta. L'ente ha proposto ricorso per cassazione. Residenza nel comune del luogo in cui si trova l'immobile. L'ente pubblico ha sostenuto che l'assenza del requisito per la cessione dell'immobile scaturisce dalla mancanza dei requisiti necessari all'assegnazione originaria del cespite. Chiarisce parte ricorrente che l'assegnazione in locazione di un immobile di proprietà di un ente pubblico previdenziale può essere effettuata a favore di coloro che risiedono nel comune del luogo in cui è situato l'alloggio articolo 15. D.lgs. numero 104/1996 . Stesso requisito è richiamato dalla normativa che disciplina l'assegnazione degli alloggi di residenza pubblica. Una diversa interpretazione, ha osservato parte convenuta, finirebbe per agevolare intenti speculativi e risulterebbe certamente distante dal fine di consentire la realizzazione del diritto abitativo sia a titolo di locazione che a titolo di proprietà. L'interpretazione posta a fondamento della decisione assunta dalla Corte territoriale, ha osservato la Cassazione, si basa sulle dichiarazioni formalizzate dall'ente pubblico nella fase di trattativa finalizzata alla vendita. In tale frangente, ha osservato la Corte d'appello, proprio il promissario venditore ha individuato il conduttore come soggetto legittimato all'acquisto, dunque non poteva e non doveva sottrarsi alla cessione. La S.C. non ha condiviso l'interpretazione formulata dalla Corte distrettuale preferendo quella articolata dall'ente pubblico. Tutela del diritto abitativo. I giudici di legittimità hanno chiarito che l'impianto normativo complessivamente sotteso alla materia ha la sua ratio guida nell'intento di tutelare e garantire l'accesso agevolato al diritto abitativo. I principi che governano la materia non sono stati modificati dalla normativa che ha disciplinato la dismissione del patrimonio pubblico in questione. La residenza è requisito essenziale tanto della locazione quanto del diritto di prelazione. La S.C. ha statuito che il requisito della residenza del soggetto richiedente nel luogo in cui ha sede l'immobile è elemento indispensabile per l'assegnazione in locazione, quindi, individua i requisiti di merito indispensabili a valutare la concessione in locazione o vendita del cespite. Dunque, in assenza di una norma espressa, non avrebbe alcun senso riconoscere il diritto all'acquisto agevolato dell'abitazione in favore di un soggetto privo di tali requisiti. D'altra parte, la fase delle trattative è necessaria a valutare l'esistenza dei requisiti nonché l'effettiva realizzabilità dell'affare quindi, la disponibilità alla vendita mostrata dall'ente non implicava obbligo incondizionato di vendere sicché bene aveva fatto la p.a., rilevata l'assenza dei requisiti di legge, a negare la cessione del cespite. In definitiva la residenza costituiva requisito essenziale tanto della locazione quanto del diritto di prelazione e conseguente alienazione. Con queste argomentazioni, la S.C. ha rinviato la causa ad altra Corte territoriale affinché accerti l'esistenza o meno del requisito della residenza.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 15 novembre 2013 – 17 marzo 2014, numero 6172 Presidente Bucciante – Relatore Parziale Svolgimento del processo 1. Così la sentenza impugnata riassume lo svolgimento del processo. “Con atto di citazione notificato in data 8-9.11.2001, R.L. conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Treviso l'I.N.A.I.L., esponendo di condurre in locazione un appartamento di proprietà dell'ente convenuto, sito a omissis , scala A. int. 24, e di avere ricevuto dall'Inail la lettera del 9.11.1999 con cui era stata avviata la procedura di vendita dell'immobile all'inquilina stessa, ai sensi degli articolo 6 co. 5 del D.Lgs. numero 104/1996 e 109 co. 109 della L. numero 662/1996, con invito alla conduttrice ad esercitare il diritto di prelazione che l'attrice aveva comunicato la sua intenzione di esercitare la prelazione e le era stata poi inviata dall'ente proprietario la lettera racc.ta in data 8.1.2001 con la proposta definitiva di vendita a questa missiva la R. aveva risposto, con lettera racc.ta a.r. ricevuta dall'Inail il 19.2.2001, con la quale aveva comunicato la dichiarazione di esercizio del diritto di opzione, provvedendo quindi al versamento dell'importo di L. 4.349.100 quale caparra confirmatoria, importo fissato dall'ente stesso che quest'ultimo le aveva poi segnalato il nome del notaio che avrebbe rogato l'atto e le aveva chiesto altri documenti, tra cui il certificato di residenza nel Comune di Mogliano Veneto poiché l'attrice era soltanto domiciliata, ma non aveva la residenza in quel Comune, l'Inail le aveva comunicato il proprio diniego alla stipulazione dell'atto di compravendita che il comportamento dell'Istituto era illegittimo e che a seguito dell'incontro delle volontà delle parti doveva considerarsi ormai perfezionato il contratto di vendita tanto premesso, l'attrice, offrendo di versare la residua parte del pretto, chiedeva l'accertamento della conclusione della compravendita, che si ordinasse ai sensi dell'articolo 2932 c.c. la trascrizione dell'emananda sentenza di accertamento e che il convenuto fosse condannato a risarcirle i danni. L'INAIL, costituitosi in giudizio, contestava la fondatezza della domanda e ne chiedeva il rigetto. Con sentenza pronunciata il 29.7 — 18.12.2002, il Tribunale accoglieva la domanda e trasferiva a R.L. , ai sensi dell'articolo 2932 c.c., la proprietà dell'appartamento di OMISSIS condannava l'inail al pagamento dei canoni di locazione ricevuti dall'attrice dall'11.1.2001, a titolo di risarcimento del danno, maggiorati di rivalutazione monetaria ed interessi legali dalle singole scadenze al saldo, oltre alle spese del giudizio. Osservava in proposito il giudice di prime cure che 1 l'articolo 3, comma 109 lett. a della legge numero 662/1996 prevedeva il diritto di prelazione in capo agli inquilini di immobili concessi in locazione dall'Inail 2 posto che la conduttrice R.L. aveva comunicato la sua volontà di avvalersi di quel diritto, l'esercizio della prelazione aveva determinato il conseguente obbligo delle parti di addivenire alla conclusione del contratto di compravendita 3 ciascuna parte, in caso di inadempimento dell'altra a tale obbligo, aveva facoltà di avvalersi dell'azione di esecuzione in forma specifica del preliminare, a norma dell'articolo 2932 c.c. 4 nessuna disposizione di legge richiedeva che il conduttore con diritto di opzione rectius di prelazione sull'immobile dimesso dall'ente pubblico dovesse risiedere nel Comune ove insisteva l'immobile stesso, con la conseguenza che il rifiuto dell'Inail di stipulare il contratto era illegittimo e configurava inadempimento 5 sussistevano i presupposti, dunque, per l'emissione della sentenza che tenesse luogo del contratto definitivo non concluso 6 il danno subito dall'attrice era costituito dai canoni di locazione che aveva dovuto versare dalla data di invio della diffida ad adempiere 11.10.2001 , maggiorati di rivalutazione ed interessi”. 2. La Corte territoriale rigettava l'appello dell'Istituto. In particolare la Corte di appello rilevava che “con il primo motivo di gravame l'appellante ha escluso che dall'invio in data 8.1.2000 della proposta definitiva di acquisto dell'appartamento di OMISSIS , e dalla successiva ricezione dell'accettazione della proposta trasmessa dalla locataria R.L. con lettera racc.ta del 12.2.2001, unitamente alla ricevuta del versamento della caparra confirmatoria di L. 4.349.100, sia derivato a suo carico alcun obbligo di stipulare l'atto di vendita della proprietà dell'immobile alla predetta, essendone conseguito soltanto il suo obbligo, nel caso avesse deciso di alienare il bene, di preferire la R. rispetto ad altri acquirenti”. Riteneva la Corte infondato tale motivo, posto che, avendo l'Istituto riconosciuto di “avere agito sul piano privatistico nella trattativa intercorsa con l'appellata, e quindi su un piano di parità, la prima lettera del 9.11.1999, definita quale lettera d'intenti, e maggiormente quella successiva dell'8.1.2001, definita proposta definitiva d'acquisto, hanno assunto, in base al contenuto ed al significato letterale del testo, il valore di una chiara ed univoca comunicazione dell'offerta alla conduttrice di esercitare la prelazione sull'immobile condotto in locazione ed offerto in vendita”. Di conseguenza, secondo la Corte di merito “L’adesione a tale comunicazione, trasmessa dall'interessata entro il termine assegnato e con l'allegata ricevuta di versamento della richiesta caparra, ha configurato da parte della R. la manifestazione di esercitare detta prelazione e ha determinato la conclusione tra le parti, se non della vendita essendo richiesto a tal fine l'espletamento di ulteriori formalità da parte dell'istituto, tra cui la verifica della regolarità del versamento dei canoni e degli oneri accessori , dell'accordo di procedere al trasferimento di proprietà tra le parti stesse, avente natura di contratto preliminare”. Una volta ricevuta l'accettazione della destinataria della proposta, prosegue la Corte “è sorto per l'appellante l'obbligo giuridico di trasferire alla R. quell'appartamento salvo l'esito delle verifiche , senza alcuna possibilità di sottrarsi a propria discrezione e unilateralmente a quell'impegno, se non contravvenendo alla detta pattuizione. Si e in presenta, quindi, di una fattispecie senz'altro assimilabile alla previsione di cui all'articolo 38 legge 27.7.1978 numero 392 sull'equo canone, dovendo ritenersi che la denuntiatio prelationis che l'ente locatore ha effettuato ai sensi dell'articolo 109 L. numero 662f 96 ha integrato, non una proposta contrattuale, ma un atto dovuto di interpello e la dichiarazione della conduttrice di esercizio del diritto di prelazione non ha costituito accettazione della proposta e non ha comportato l'immediato acquisto dell'immobile, ma ha determinato l'insorgenza dell'obbligo a carico di entrambe le parti di pervenire alla conclusione del contratto, con possibilità di tutela ex articolo 2932 c.c.”. La Corte territoriale ha ritenuto infondato anche il secondo motivo di appello, col quale l'Inail ha lamentato che “la vendita doveva ritenersi subordinata al requisito della residenza, come stabilito dall'articolo 6 co. 5 del D.Lgs. numero 104/1996, che per le categorie di appartamenti occupati dall'attrice prevede che il diritto di prelazione può essere esercitato soltanto da conduttori privi di altra abitazione di proprietà adeguata alle esigenze del nucleo familiare nel comune di residenza”. Ha osservato la Corte di merito che della condizione relativa alla residenza, “nella proposta di acquisto - sulla quale a seguito dell'accettazione da parte della conduttrice si e formato il consenso delle parti sull'obbligo a contrarre — non è fatta menzione”, concludendo che “deve escludersi che la residenza dell'appellata in luogo diverso da quello dell'immobile offerto in prelazione possa impedire l'insorgenza o pregiudicare il diritto ormai da lei acquisito di addivenire alla stipulazione dell'atto di compravendita dell'immobile stesso”. 3. Impugna tale decisione l'Istituto che formula un unico articolato motivo di ricorso. Resiste con controricorso la parte intimata, che ha depositato memoria. Motivi della decisione 1. I motivi del ricorso. 1.1 Con l'unico motivo di ricorso si deduce “Violazione e falsa applicazione della norma di cui all'articolo 6 comma 5 del D.L. 104 del 16.2.1996, con riferimento all'articolo 3 co. 109 della L. 662/1996, in relazione all'articolo 360 numero 3 cod. proc. civ.”. Osserva il ricorrente, una volta ricostruita la normativa in materia, che la Corte di appello ha violato l'articolo 6 co. 5 Divo 104/96 che testualmente reca “Agli attuali conduttori delle unità immobiliari ad uso residenziale è riconosciuto il diritto di prelazione, che può essere esercitato dagli stessi, se in regola con il pagamento dei canoni e degli oneri accessori, individualmente o collettivamente e sempre che non sia stata accertata in via definitiva l'illegittimità dell'assegnazione dell'immobile a suo tempo effettuata. Nel caso di acquisto di immobili il cui prezzo di vendita sia stato determinato ai sensi del comma 2, lettera a , tale diritto può essere esercitato da conduttori privi di altra abitazione di proprietà adeguata alle esigenze del nucleo familiare nel comune di residenza”. Evidenzia l'Istituto che occorre necessariamente mettere in relazione la regolarità dell'assegnazione dell'alloggio e la possibilità di esercitare il diritto di prelazione. In tal senso la circolare del Ministero del Lavoro, emanata in attuazione dell'articolo 15 Dlvo 104/1996 sopracitato, che al punto 1.2 prevede che Possono chiedere l'assegnazione in locazione di un alloggio di proprietà di un ente previdenziale pubblico tutti coloro che hanno la residenza o risiedono, per documentati motivi di lavoro, nel territorio del comune dove è situato l'alloggio o nei comuni limitrofi . Conseguentemente il requisito della residenza è “indispensabile per avere l'assegnazione di un alloggio” e “la legittimità nell'assegnazione di un alloggio e uno degli elementi necessari per poter successivamente esercitare il diritto di prelazione articolo 6, 5 comma DL 104/1996 ”. Inoltre, ad avviso dell'Istituto “il requisito della residenza ha continuato ad essere un elemento implicito, ma scontato, anche nell'evolversi successivo della normativa, tanto è vero che nel DL 2001/351, come pubblicato nel testo della G.U. serie generale del 24.11.2001 numero 274, è riportato nelle note dei riferimenti normativi pag.47 per il requisito della residente si applica quanto disposto dall'articolo 2, lettera b del decreto del Presidente della Repubblica 30.12.1972,numero 1035 che testualmente recita Può conseguire l'assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica chi abbia la residenza nel comune in cui si trovano gli alloggi”. Né, secondo il ricorrente, può essere condivisa l'interpretazione dei giudici veneziani, “non ravvisandosi nella fattispecie, alcuna abrogazione, né espressa né tacita. 1m norma successiva, contenuta nella legge finanziaria del '96, numero 662 non contiene, infatti, né una dichiarazione formale, né una qualche disposizione incompatibile con quelle precedenti semplicemente non menziona, tra i requisiti, la esigenza di non possedere altra abitazione di proprietà adeguata alle esigenze del nucleo familiare, nel comune di residenza”. Conclude il ricorrente osservando che “ratio della normativa in questione non è certo quella di incoraggiare intenti speculativi degli aventi diritto, come invece potrebbe ritenersi per chi acquista una casa in luogo non di residenza, bensì quella di favorire l'acquisto della casa per le proprie necessità abitative e del proprio nucleo familiare”. Vengono formulati i seguenti quesiti “se, ai fini dell'esercizio del diritto di opzione previsto dall'articolo 6 comma 5 del D.L. 104 del 16.2.1996, sia necessario o meno il requisito della residenza nel comune ove e collocato l'immobile che si intende acquistare se la norma prevista dall'articolo 3 co. 109 della L. 662/1996 abbia abrogato l'articolo 6 co 5 del DL 104/1996”. 2. Occorre in primo luogo esaminare l'eccezione d'inammissibilità del ricorso, avanzata dalla controricorrente con la memoria tempestivamente depositata. L'eccezione è infondata, posto che i quesiti formulati ai sensi dell'articolo 366 bis c.p.c. appaiono, seppure concisamente esposti, idonei ad individuare le questioni sulle quali questa Corte è chiamata a pronunciarsi e la cui soluzione, positiva o negativa, è idonea ad incidere sulla decisione impugnata. Si tratta, nel caso in questione, di valutare se, per l'effetto della normativa succedutasi nel tempo ed applicabile al caso concreto, specificamente indicata nei quesiti, sia tuttora vigente ed applicabile, in sede di vendita dell'immobile, il requisito della residenza, specificamente indicato dalla normativa ai fini della concessione in locazione dell'alloggio. 3. Prima di esaminare il motivo di ricorso, appare opportuno riportare di seguito la motivazione della Corte territoriale sul punto, che è la seguente “Nella prima lettera del 9.1.1999 l'Inail aveva comunicato alla R. che era stata avviata la procedura di vendita del patrimonio immobiliare dell'ente ad uso abitativo in applicazione delle disposizioni normative dettate dal D.Lgs. 16.2.1996, numero 104, come modificato dalla L. 23.12.1996, numero 662 e successive modificazioni e integrazioni, espressamente richiamando gli articolo 6 co. 5 del D.Lgs. numero 104/1996 e 3 co. 109 lett. a della L. numero 662/1996, e tra gli aventi diritto all'acquisto e ad esercitare il diritto di prelazione ha compreso i titolari dei contratti di locazione, anche scaduti o non rinnovati, sempre che non sia stata accertata in via definitiva l'illegittimità dell'assegnazione dell'immobile a suo tempo effettuata ed a condizione che, all'atto della sottoscrizione della proposta definitiva di acquisto, siano in regola con il pagamento dei canoni e degli oneri accessori. Questa previsione corrisponde esattamente a quella di cui all'articolo 3 co. 109 lett. a della legge numero 662/1996 nel testo anteriore alle modifiche disposte dall'articolo 2, L. 23.12.1999, numero 488 , secondo cui le amministrazioni pubbliche procedono alla dismissione del loro patrimonio immobiliare con le seguenti modalità a e garantito, nel caso di vendita frazionata, il diritto di prelazione ai titolari dei contratti di locazione in corso ovvero di contratti scaduti e non ancora rinnovati purché si trovino nella detenzione dell'immobile, e ai loro familiari conviventi, sempre che siano in regola coni pagamenti al momento della presentazione della domanda di acquisto. La norma richiamata nella proposta d'acquisto, inoltre, non fa riferimento ad alcuna ulteriore condizione fissata per l'esercizio del diritto di prelazione offerto, né può affermarsi che la necessità che l'immobile offerto in vendita si trovasse nel luogo di residenza dell1 affittuario derivava dalla disposizione di cui all'articolo 6 co. 5 del D.Lgs. 16.2.1996, numero 104 nel caso di acquisto di immobili il cui prezzo di vendita sia stato determinato ai sensi del comma 2, lettera a , tale diritto può essere esercitato da conduttori privi di altra abitazione di proprietà adeguata alle esigenze del nucleo familiare nel comune di residenza , non essendo stata detta previsione ribadita dall'articolo 3 L. numero 662/1996 che, come precisato dall'Inail nelle lettere del 9.11.99 e 8.1.2001, ha modificato il D.Lgs. numero 104/1996 dettando le modalità per la dismissione del patrimonio immobiliare delle amministrazioni pubbliche diverso dagli allogai di edilizia residenziale pubblica L. 24.12.1993, numero 560 ”. 4. Il ricorso è fondato e va accolto. Questo Collegio ritiene che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di merito, la normativa applicabile al caso in questione debba essere interpretata così come prospettato dall'Istituto ricorrente, condividendosi integralmente tutti i passaggi argomentativi esposti. Infatti, la normativa sulla dismissione degli immobili in questione, pur avendo l'indubbia finalità di favorire l'acquisizione di nuove ed ulteriori entrate al bilancio dello Stato, non ha disciplinato ex novo anche la procedura di assegnazione degli immobili in questione, ma si è limitata a dettare criteri per la dismissione del patrimonio, definendo specifici requisiti per individuare il diritto di prelazione previsto in favore del locatario. Tra tali requisiti la normativa del 1996 non ha espressamente richiamato quello relativo alla residenza o quello alternativo, previsto dall'articolo 2 del DPR 1972 numero 1035 della prestazione di attività lavorativa nel comune , necessario invece ai fini di concedere in locazione l'immobile. Secondo i giudici di merito, il mancato espresso richiamo da parte della normativa successiva di tale requisito ne escluderebbe l'applicazione ai fini del riconoscimento o meno del diritto di prelazione. Pur dovendosi riconoscere le difficoltà interpretative che l'impianto normativo applicabile pone all'interprete, questo collegio ritiene che la normativa del 1996, qui richiamata, seppure finalizzata al soddisfacimento di primarie esigenze finanziarie dello Stato, in mancanza di una specifica indicazione al riguardo, non appare orientata a modificare espressamente la complessiva ratio che, nel tempo, ha accompagnato l'emanazione della normativa di favore finalizzata al soddisfacimento dell'esigenza pubblica di rendere disponibile un'adeguata abitazione a cittadini in particolari condizioni, soggettive ed oggettive. Proprio perché si tratta di normativa di favore, che riguarda sia il momento della locazione che quello successivo del riconoscimento del diritto di prelazione ai fini dell'acquisto in proprietà , diritto quest'ultimo necessariamente e direttamente conseguente ad una locazione effettuata sul presupposto dell'esistenza di specifici requisiti e tra questi la residenza o l'attività lavorativa svolta nel Comune , ritiene il collegio che non possa non procedersi ad un'interpretazione sistematica della intera normativa. In primo luogo, allora, occorre rilevare che la normativa del 1996 è applicabile al rapporto di cui è causa, perché ancora in corso al momento dell'entrata in vigore delle norme vedi Cass. 2008 numero 9972 . Di conseguenza, dovendosi procedere alla verifica della sussistenza di tutti i requisiti necessari per il riconoscimento del diritto di prelazione per un alloggio dato in locazione sulla base di requisiti non del tutto coincidenti con quelli indicati ai fini della prelazione, in assenza di una previsione espressa che escluda quello relativo alla residenza o attività lavorativa nel Comune , previsto dalla normativa precedente, occorreva valutare se tale ultimo requisito, in quanto necessario per rendere legittima la procedura di concessione in locazione di un alloggio, costituisse anche implicito presupposto di legittimità del provvedimento di riconoscimento del diritto di prelazione, prodromico a consentire la trasformazione dell'originario beneficio ricevuto, limitato alla locazione, nel più ampio diritto di proprietà, seppure realizzabile attraverso il pagamento del prezzo, pure individuato attraverso condizioni di favore. Deve cioè concordarsi con la prospettiva interpretativa dell'Istituto ricorrente, secondo la quale la ratio complessiva della normativa in questione, anche interpretata in senso costituzionalmente orientato, non può tradursi nella previsione di ingiustificate condizioni di favore, ai fini dell'acquisto, per coloro che non fossero nelle condizioni di poter beneficiare della concessione in locazione. Conseguentemente, il requisito della residenza o quello alternativo, previsto dal medesimo articolo 2 del DPR 1972 numero 1035 della prestazione di attività lavorativa nel Comune , non poteva che costituire un presupposto implicito di legittimità dell'atto di riconoscimento del diritto di prelazione, come tale accertabile in qualunque momento, purché prima della stipula definitiva. In tal senso, le lettere di intenti, che hanno accompagnato la procedura e nelle quali si fa richiamo alla normativa del 1996 non possono essere intese come preclusione per l'ente quanto all'accertamento di tale requisito implicito, per il quale in effetti fu chiesta una specifica documentazione. In definitiva, la Corte territoriale, a fronte dello specifico motivo di appello, avrebbe dovuto accertare la presenza o meno del requisito della residenza o di quello alternativo, previsto dall'articolo 2 del DPR 1972 numero 1035 della prestazione di attività lavorativa nel Comune , in capo all'assegnataria, requisito questo che costituiva condizione di legittimità dell'assegnazione in locazione e presupposto del riconoscimento del diritto di prelazione. 3. La sentenza impugnata va quindi cassata e rinviata per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Venezia, che è chiamata a valutare la sussistenza o meno, al momento e ai fini del riconoscimento del diritto di prelazione, del presupposto implicito della residenza o di quello alternativo, previsto dall'articolo 2 del DPR 1972 numero 1035 della prestazione di attività lavorativa nel Comune . A tale Corte è rimessa anche la determinazione delle spese dell'intero giudizio. P.T.M. LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Venezia anche per le spese.