Cleptomane storico, ma la rapina in seminario è fatto più complesso: nessuna incapacità

Il lieve ritardo ha provocato, in passato, piccoli furti. Ma, in questo caso, la condotta è molto più complessa non si può considerare la cleptomania come fattore scatenante. In altre parole, la cleptomania dell’imputato non è un problema tale da legittimare il riconoscimento dell’incapacità di intendere e di volere.

Cleptomania, ossia “tendenza impulsiva al furto, che può verificarsi in molteplici malattie mentali e nell’isteria” secondo la definizione fornita dal Dizionario Treccani . Ma, secondo la giustizia, non un problema tale da legittimare il riconoscimento della incapacità di volere Cassazione, sentenza numero 17086/2013, Seconda Sezione Penale, depositata oggi . Blitz malriuscito. Casus belli è la rapina – «impropria e aggravata», secondo l’accusa, con corredo di «lesioni personali» – tentata da un uomo all’interno di un seminario vescovile meridionale, ma conclusasi in malo modo difatti, una volta raggiunto il secondo piano e una volta infilatosi nell’appartamento del cappellano, l’uomo ha dovuto fare i conti coll’inaspettato rientro del ‘padrone di casa’ Nessun dubbio, quindi, sulla dinamica dell’episodio, e, per i giudici – sia di primo che di secondo grado –, nessun dubbio sulle responsabilità dell’uomo, condannato, difatti, a quasi 3 anni di reclusione e a pagare una multa di 600 euro. Ma la linea rigida adottata viene contestata dal legale dell’uomo, sulla base di un elemento preciso il «ritardo mentale» dell’autore della rapina e la sua propensione alla cleptomania. Perché, chiede il legale, non è stata effettuata una perizia per appurare la «infermità», totale o parziale, dell’uomo? Problema lieve. Tale perizia sarebbe stata superflua, secondo i giudici della Cassazione, i quali mostrano di condividere in toto il ragionamento delineato in secondo grado, e quindi la condanna. Ragionamento fondato su due elementi analisi «della consistenza del disturbo mentale», da un lato, e verifica del «nesso causale tra il fatto e la dedotta insufficienza di intendere e volere». Ebbene, evidenziano i giudici di Cassazione, è logica la valutazione compiuta in secondo grado, laddove si è ritenuto che «il disturbo psichico» dell’uomo, capace di condizionare «frequenti episodi di furti di piccole somme di denaro», in realtà «non fosse di consistenza tale da definire una patologica incapacità di intendere e valore». Proprio i requisiti necessari, ossia «consistenza, intensità e gravità» del «disturbo della personalità», mancano in questa vicenda piuttosto, si può parlare, secondo i giudici, di «anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità». E comunque, concludono i giudici, la mera cleptomania, che ha sì «dato causa, in precedenza, a semplici e modesti furti», non può essere considerato «fattore scatenante» per una «condotta complessa» come quella attribuita all’uomo, capace di «introdursi nel seminario vescovile, salire fino al secondo piano, introdursi, approfittando dell’assenza di persone, nella stanza del cappellano, quindi sottrarre una piccola somma di denaro» e poi «usare violenza e cagionare lesioni» sul cappellano, all’improvviso «rientrato nella stanza».

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 27 marzo – 15 aprile 2013, numero 17086 Presidente Petti – Relatore Iannelli In fatto e diritto P.L., già condannato, in abbreviato, con sentenza di primo e secondo grado gip del tribunale di Catanzaro in data 27.10.2011 e corte di appello della stessa città in data 21.6/19.9.2012 alla pena di anni due, mesi otto di reclusione ed euro 600,00 di multa per i delitti, in continuazione, di rapina impropria aggravata e lesioni personali ex articolo 81 cpv. e 628 cpv. c.p., ricorre avverso la seconda decisione, denunciando la carenza di motivazione in ordine alla adozione della perizia volta al riconoscimento o meno della infermità totale e/o parziale del prevenuto al momento del fatto, nonché in ordine al trattamento sanzionatorio per il diniego della attenuanti generiche e per l’indebito aumento collegato alla contestata recidiva reiterata specifica infra-quinquennale. Il ricorso è inammissibile per svolgere censure sul piano del merito, per un verso, e per essere manifestamente infondato, per altro verso. In relazione al primo motivo di ricorso, non può che ribadirsi in questa sede la regola secondo cui in virtù del rinvio dell’articolo 443, quarto comma, cod. proc. penumero all’articolo 599 dello stesso codice e, per ciò stesso, al comma terzo di tale articolo che, a sua volta rinvia al successivo articolo 603, è possibile, anche nell’ambito del rito abbreviato semplice, non condizionato, entro certi limiti e cioè quando il giudice di appello lo ritiene assolutamente necessario ai fini della decisione procedere all’assunzione, di ufficio di nuove prove o alla riassunzione delle prove già acquisite agli atti. Ma nei caso di specie il giudice di merito ha ritenuto non assolutamente necessario l’accertamento peritale richiesto proprio prendendo spunto dalla consulenza di parte agli atti, nella quale si attestava un ritardo mentale di grave lieve moderato dell’imputato, propenso alla “cleptomania” e quindi, secondo il giudizio di parte, incapace di volere al momento del fatto. Ora il ragionamento del giudice di appello si svolge lungo una duplice direzione da un lato attraverso l’analisi della consistenza e gravità del disturbo mentale, dall’altro attraverso il sondaggio volto a verificare il nesso causale tra il fatto come contestato e la dedotta insufficienza di intendere e volere del prevenuto. Invero il vizio di mente deriva da uno stato morboso, a sua volta dipendente da una alterazione patologica tale da rendere certo che l’imputato, nel momento della commissione del reato, è per infermità in uno stato mentale da scemare grandemente o da escludere la capacità di intendere e di volere. Ne consegue che solo in presenza di un simile stato soggettivo il giudice di merito deve ritenere sussistente il vizio di mente nonché il concorso di gravi e fondanti indizi per dar luogo alla perizia psichiatrica. Nel caso di specie il giudice di merito, con valutazione non manifestamente illogica e nell’ambito dei suoi poteri valutativi sul piano della legittimità, ha ritenuto che il disturbo psichico del prevenuto un ritardo mentale lieve che aveva in passato condizionato frequenti episodi di furti di piccole somme di denaro, non fosse di consistenza tale da definire una incapacità o semi incapacità di intendere e volere da potersi definire patologica. Anche se ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, perfino i “disturbi della personalità” possono rientrare nel concetto di “infermità”, essi devono presentarsi di consistenza, intensità gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e, ancora devono porsi in nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, in modo tale che il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale in tal senso, S.U. 25.1/8.3.2005, Rago, Rv 230317 Sez. 2,22.5/20.6.2012, Bonadio, Rv 253079 . Ne consegue che nessun rilievo, ai fini dell’imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati. E nel caso di specie il giudice correttamente, anche a prescindere dalla rilevanza o irrilevanza del disturbo mentale, ha escluso il nesso causale, che cioè il disturbo definito di mera “cleptomania” e che aveva dato in precedenza causa a semplici e modesti furti, potesse inserirsi quale fattore scatenante una condotta articolata e complessa quale quella di specie introdursi nel seminario vescovile di Catanzaro, salire fino al secondo piano, introdursi, approfittando dell’assenza di persone, nella stanza del cappellano militare, S.G., quindi sottrarre una piccola somma di denaro ed usare violenza e cagionare lesioni, al fine di garantirsi l’impunità, alla persona offesa rientrato nella stanza nella quale sorprendeva il prevenuto. La diversa ricostruzione della difesa, nel senso che la violenza era stata usata per sottrarsi alle divisate avance sessuali del sacerdote, uscito dal bagno seminudo, e circostanza nuova, non esposta nei motivi di appello e comunque sfornita di qualsiasi supporto di prova. Manifestamente infondata poi è la doglianza relativa al trattamento sanzionatorio per il fatto che il giudice avrebbe ingiustificatamente escluso le attenuanti generiche e calcolato un aumento per la contestata recidiva specifica reiterata infra-quinquennale. Invero la pena è stata determinata, pur illegittimamente ma a favore del condannato, nel minimo impossibile, una volta correttamente esclusa la meritevolezza della concessione delle generiche “per la personalità negativa dell’imputato desunta oltre che, dalle modalità della condotta dalla pessima biografia penale” dell’imputato, ed ancora una volta correttamente non applicando l’aumento di pena per la contestata recidiva perché ritenuta equivalente alla attenuante della speciale tenuità del danno, ma scorrettamente determinata per l’omesso aumento per la continuazione sulla pena base del reato di rapina aggravata ex articolo 628 comma 3 bis c.p., così individuata per il disposto del quarto comma dell’articolo 628 cit. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto, deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa delle ammende.