Somministrazione di alimenti e bevande: gli utenti di una sala scommesse hanno diritto di ristoro

E quindi è illegittimo il regolamento comunale che consente l'esercizio dell'attività di somministrazione soltanto nei locali in cui il pubblico ha accesso a pagamento. È quanto ha affermato il Consiglio di Stato, sez. V, con la decisione del 26 marzo 2012 numero 1722. Ma tale circostanza non è legata ai più recenti provvedimenti normativi licenziati dal Governo Monti che nei giorni scorsi hanno conseguito la conversione seppur con qualche limitata modifica ad opera del Parlamento bensì a quelli che il Governo aveva emanato già nel 2006 con il decreto legge numero 223/2006 conversione in legge numero 248/2006 .

È con tale decreto, infatti al quale aveva fatto subito dopo seguito il dl 7/2007 che era stata anticipata la rivoluzione che successivamente si è compiuta con il decreto legislativo 59/2010 di recepimento della direttiva Servizi 2006/123/CE. E questa circostanza risulta assolutamente palese dalla lettura della rubrica Regole di tutela della concorrenza nel settore della distribuzione commerciale e dall'inciso che introduce l'articolo 3, d.l. numero 223/2006, il quale, appunto, recita «1. Ai sensi delle disposizioni dell'ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi ed al fine di garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità all'acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi dell'articolo 117, comma secondo, lett. e ed m , della Costituzione, le attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, numero 114, e di somministrazione di alimenti e bevande, sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni - omissis». In sostanza, secondo il Giudice, l'attività amministrativa deve conformarsi al fatto che l'ordinamento contiene principi di massima apertura del mercato ed eliminazione delle barriere all’ingresso nello stesso che informano la disciplina legislativa, direttamente discendenti dalle «disposizioni dell'ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi». La disciplina di riferimento. Nonostante con la riforma del titolo V legge costituzionale 3/2001 alle regioni sia stata assegnata la potestà legislativa per la disciplina delle attività economiche, non tutte le regioni hanno provveduto a dotarsi di una propria normativa. E, sotto un certo punto di vista, ciò non è male, tenuto conto che nelle regioni laddove i consigli regionali sono intervenuti diventa adesso difficile sistematizzare la disciplina statale e regionale. A tale, proposito, infatti, va tenuto conto che con la legge 7 luglio 2009, numero 88 «Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2008. 09G0100 » pubblicata nella G.U. numero 161 del 14 luglio 2009, con l'articolo 41 Delega al Governo per l'attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno della legge 88/2009 è stato disposto, tra l'altro, che «1. Nella predisposizione dei decreti legislativi per l'attuazione della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, da adottare su proposta del Ministro per le politiche europee e del Ministro dello sviluppo economico ovvero del Ministro con competenza prevalente in materia, di concerto con i Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione e per la semplificazione normativa e con gli altri Ministri interessati, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, realizzando il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 2, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi [ ] e semplificare i procedimenti amministrativi per l'accesso alle attività di servizi, anche al fine di renderli uniformi sul piano nazionale, subordinando altresì la previsione di regimi autorizzatori al ricorrere dei presupposti di cui all'articolo 9 della direttiva e prevedendo che, per tali regimi, da elencare in allegato al decreto legislativo di cui al presente articolo, la dichiarazione di inizio attività rappresenti la regola generale salvo che motivate esigenze impongano il rilascio di un atto autorizzatorio esplicito». Per questo motivo l'eventuale disciplina regionale è stata sostituita da quella contenuta nel titolo II articolo 64 e ss. del decreto legislativo 59/2010, ed è questa che va applicata fino a quando, ai sensi dell'articolo 84, d.lgs. 59/2010, le regioni non recepiranno nel proprio ordinamento le novità ivi contenute. In sostanza, il Collegio non ha condiviso il parere del Giudice di primo grado, il quale aveva affermato che la previsione regolamentare di sottrarre alla programmazione soltanto la somministrazione svolta in locali in cui l'accesso è a pagamento risponde ad esigenze di programmazione nel rilascio delle licenze commerciali in tale ambito merceologico ed a finalità di contrasto di fenomeni distorsivi della concorrenza, che invece si determinerebbero se in locali quali quelli gestiti dalla società ricorrente fosse consentita la somministrazione di alimenti e bevande ad un pubblico non pagante, contrariamente a quanto avviene per la somministrazione in sale da ballo, sale da gioco, locali notturni e stabilimenti balneari, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lett. c , l. numero 287/91. Tale conclusione non sarebbe contraddetta – ha soggiunto il primo giudice – dall’avvento della liberalizzazione in materia commerciale avviata a partire dal c.d. decreto Bersani, d.l. numero 223/06, dovendosi ritenere che lo stesso abbia comportato «la perdurante efficacia di disposizioni limitative dettate da canoni di ragionevolezza». Secondo la Quinta sezione del Consiglio di Stato, invece, che in premessa ha anche richiamato quanto aveva anticipato nell’ordinanza con cui era stata disposta la sospensione dell’esecutività della sentenza appellata, l’articolo 3, d.l. numero 223/06, ha eliminato, per l’attività di somministrazione di alimenti e bevande, una serie di limiti, tra cui il possesso «di requisiti professionali soggettivi per l’esercizio di attività commerciali» ed «il rispetto di limiti riferiti a quote di mercato predefinite» comma 1, lett. a e d , contestualmente prevedendo l’abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari statali incompatibili comma 2 , ed imponendo alle regioni ed agli enti locali di adeguare «le proprie disposizioni legislative e regolamentari ai principi e alle disposizioni di cui al comma 1 entro il 1° gennaio 2007» comma 3 . Diversamente da quanto ritenuto dal Tar, quindi, la disposizione regolamentare censurata dall’odierna appellante è contraria ai principi di massima apertura del mercato ed eliminazione delle barriere all’ingresso nello stesso che informano la disciplina legislativa in esame, direttamente discendenti dalle «disposizioni dell'ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi» articolo 3, comma 1, cit. . Detta contrarietà è particolarmente evidente nell’effetto di sbarramento a nuovi ingressi e di salvaguardia delle posizioni di mercato già conseguite dagli operatori economici in attività che con essa si determina. Non giova poi richiamare considerazioni di ragionevolezza degli assetti esistenti, ha aggiunto la Sezione, poiché esse divengono recessive rispetto ai vincoli comunitari di apertura del mercato, potendo questi essere limitati unicamente da esigenze imperative di carattere generale, nel caso di specie non sussistenti. Ne consegue che, in conclusione, le disposizioni regolamentari che prevedono vincoli ovvero restrizioni all'esercizio dell'attività imprenditoriale, sono da considerarsi in contrasto con la normativa primaria sopravvenuta e che sono quindi illegittimi i dinieghi che su di esse si fondano. La svolta. Per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano. È diventato famoso questo aforisma di Giovanni Giolitti con poche pennellate disegnava un ritratto impietoso della burocrazia. Ebbene, si può certo affermare che tutto è cambiato la chiave di volta, infatti, è data non solo dal complesso, ovvero dallo spirito, delle più recenti novità normativa ma, specificatamente, dal comma 2 dell'articolo 1 del dl 1/2012, convertito con modificazioni dalla l. 24 marzo 2012, numero 27, il quale recita che «2. Le disposizioni recanti divieti, restrizioni, oneri o condizioni all'accesso ed all'esercizio delle attività economiche sono in ogni caso interpretate ed applicate in senso tassativo, restrittivo e ragionevolmente proporzionato alle perseguite finalità di interesse pubblico generale, alla stregua dei principi costituzionali per i quali l'iniziativa economica privata è libera secondo condizioni di piena concorrenza e pari opportunità tra tutti i soggetti, presenti e futuri, ed ammette solo i limiti, i programmi e i controlli necessari ad evitare possibili danni alla salute, all'ambiente, al paesaggio, al patrimonio artistico e culturale, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e possibili contrasti con l'utilità sociale, con l'ordine pubblico, con il sistema tributario e con gli obblighi comunitari ed internazionali della Repubblica».

Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 6 – 26 marzo 2012, numero 1722 Presidente Trovato – Relatore Franconiero Fatto La DAA di Distante Domenico e C. s.a.s. adiva il Tar Puglia – sez. staccata di Lecce per chiedere l’annullamento di due determinazioni dirigenziali, nnumero 20/2 e 26/3/2009, con le quali il responsabile dei servizi AA.PP. del Comune di Francavilla Fontana respingeva altrettante istanze di autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande tipologia C, ex articolo 5, comma 1, lett. c , della Legge 287/91 presso i propri locali, nei quali è svolta attività di raccolta di scommesse sportive. Nel contraddittorio con l’amministrazione comunale il Tar adito respingeva il ricorso. Appella la sentenza la DAA chiedendone la riforma. Si è costituito in resistenza il Comune di Francavilla Fontana. Disposta la sospensione dell’esecutività della sentenza, all’udienza del 6/3/2012 la causa è stata trattenuta in decisione. Diritto L’oggetto di giudizio verte sulla legittimità dei dinieghi opposti dall’amministrazione odierna appellata alle istanze autorizzative presentate dalla società ricorrente per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lett. c , della Legge 287/91. Le ragioni addotte dal Comune a sostegno delle determinazioni negative su dette richieste si fondano essenzialmente sulle previsioni del Piano di sviluppo commerciale del Comune di Francavilla Fontana, approvato con deliberazione di G.C. numero 371 del 19/11/2002 – gravato dalla ricorrente quale atto presupposto - ed in particolare sul disposto dell’articolo 11, a mente del quale “la somministrazione di alimenti e bevande può essere effettuata esclusivamente nei confronti di colui il quale accede, a pagamento, all’attività di intrattenimento e svago”, mentre nel caso dell’attività esercitata dalla società istante l’ingresso non è subordinato al pagamento da parte del pubblico. Il Tar ha reputato che la previsione regolamentare citata risponda ad esigenze di programmazione nel rilascio delle licenze commerciali in tale ambito merceologico ed a finalità di contrasto di fenomeni distorsivi della concorrenza, che invece si determinerebbero se in locali quali quelli gestiti dalla DAA fosse consentita la somministrazione di alimenti e bevande ad un pubblico non pagante, contrariamente a quanto avviene per la somministrazione in sale da ballo, sale da gioco, locali notturni e stabilimenti balneari, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lett. c , l. numero 287/91. Tale conclusione non sarebbe contraddetta – ha soggiunto il primo giudice – dall’avvento della liberalizzazione in materia commerciale avviata a partire dal c.d. decreto Bersani, d.l. numero 223/06, dovendosi ritenere che lo stesso abbia comportato “la perdurante efficacia di disposizioni limitative dettate da canoni di ragionevolezza”. Nel riproporre tutte le censure svolte nel ricorso di primo grado, la società appellante critica il ragionamento del primo giudice, qui sintetizzato, assumendo che il principio di pianficazione commerciale e contingentamento dell’offerta, proprio della Legge numero 287/91, sarebbe stato superato dalle liberalizzazioni introdotte nell’ordinamento con il citato d.l. numero 223/06, ed in particolare, per quanto concerne l’attività di somministrazione di alimenti e bevande, dall’articolo 3, che ha disposto l’abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari statali di disciplina del settore della distribuzione commerciale incompatibili con le disposizioni di apertura alla libera iniziativa economica introdotte. Preliminarmente va comunque dato atto che in sede di discussione il patrono di parte appellante ha dichiarato che con delibera di Giunta numero 73 del 6/2/2012 il Comune resistente ha avviato una iniziativa per la modifica del regolamento oggetto della presente impugnativa, manifestando comunque la persistenza dell’interesse al presente ricorso in ragione dell’incertezza sui tempi di perfezionamento del procedimento e di conseguente favorevole valutazione dell’istanza autorizzatoria per cui è giudizio. Pacifico, sulla base di quanto ora rilevato, il persistente interesse alla decisione di questo Collegio, risulta inoltre fondato l’appello. Come già anticipato nell’ordinanza con cui è stata disposta la sospensione dell’esecutività della sentenza appellata, l’articolo 3 del d.l. numero 223/06, ha eliminato, per l’attività di somministrazione di alimenti e bevande, una serie di limiti, tra cui il possesso “di requisiti professionali soggettivi per l’esercizio di attività commerciali” ed “il rispetto di limiti riferiti a quote di mercato predefinite” comma 1, lett. “a” e “d” , contestualmente prevedendo l’abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari statali incompatibili comma 2 , ed imponendo alle regioni ed agli enti locali di adeguare “le proprie disposizioni legislative e regolamentari ai principi e alle disposizioni di cui al comma 1 entro il 1° gennaio 2007” comma 3 . Diversamente da quanto ritenuto dal Tar, la disposizione regolamentare censurata dall’odierna appellante è contraria ai principi di massima apertura del mercato ed eliminazione delle barriere all’ingresso nello stesso che informano la disciplina legislativa in esame, direttamente discendenti dalle “disposizioni dell'ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi” comma 1 dell’articolo 3 cit. . Detta contrarietà è particolarmente evidente nell’effetto di sbarramento a nuovi ingressi e di salvaguardia delle posizioni di mercato già conseguite dagli operatori economici in attività che con essa si determina. Non giova poi richiamare considerazioni di ragionevolezza degli assetti esistenti, poiché esse divengono recessive rispetto ai vincoli comunitari di apertura del mercato, potendo questi essere limitati unicamente da esigenze imperative di carattere generale, nel caso di specie non sussistenti. Ne consegue che la disposizione regolamentare impugnata in primo grado dall’odierna appellante è contraria alla normativa primaria sopravvenuta e che sono del pari illegittimi i dinieghi che su di essa si fondano. In ragione di tutto quanto sopra, in riforma della sentenza appellata deve essere accolto il ricorso di primo grado, con conseguente annullamento degli atti impugnati. Si ravvisano giusti motivi per compensare integralmente le spese del doppio grado di giudizio, in considerazione della novità della questione e dell’avvio da parte dell’amministrazione comunale soccombente di un’iniziativa intesa ad adeguare la propria disciplina regolamentare delle attività commerciali alla normativa primaria sopra in questione. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado, annullando gli atti impugnati. Spese del doppio grado di giudizio integralmente compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.