L’amministratore, anche quando è mero prestanome, ha doveri di vigilanza e controllo

Il reato di bancarotta semplice è configurabile quando l’amministratore, pure estraneo alla gestione dell’azienda, abbia omesso, anche per colpa, di esercitare il controllo sulla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili, poiché l’accettazione della carica di amministratore, anche quando si tratti di mero prestanome, comporta l’assunzione di doveri di vigilanza e di controllo.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 10416, depositata l’11 marzo 2015. Il fatto. L’imputata ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, qualificava diversamente il fatto attribuitole in termini di bancarotta semplice documentale, anziché fraudolenta. La ricorrente lamenta vizi motivazionali della sentenza impugnata, in quanto, dalla prova testimoniale di una dipendente della società fallita, era emerso che era il padre dell’imputata a gestire l’attività sociale, con la conseguenza che la Corte d’appello non aveva evidenziato con precisione il profilo di colpa nella sua condotta, mera amministratrice di fatto. Il reato di bancarotta semplice. Tale motivo di ricorso è ritenuto dal Collegio inammissibile per manifesta infondatezza, ricordando sul punto come sia configurabile il reato di bancarotta semplice quando l’amministratore, pure estraneo alla gestione dell’azienda esclusivamente riconducibile all’amministratore di fatto abbia omesso, anche per colpa, di esercitare il controllo sulla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili, poiché l’accettazione della carica di amministratore, anche quando si tratti di mero prestanome, comporta l’assunzione di doveri di vigilanza e di controllo. Il Collegio ritiene che la Corte territoriale si sia correttamente uniformata a tali principi, e che, con adeguata motivazione, abbia sottolineato il «disinteresse manifestato dall’imputata per la mancata tenuta delle scritture contabili e il conseguente mancato controllo sull’operato dell’amministratore di fatto». Per tali motivi, la S.C. ha dichiarato il ricorso inammissibile e condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 28 gennaio – 11 marzo 2015, numero 10416 Presidente Nappi – Relatore De Marzo Ritenuto in fatto 1. Per quanto ancora rileva, con sentenza del 08/04/2013 la Corte d'appello di L'Aquila, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha diversamente qualificato il fatto attribuito a D.N. in termini di bancarotta semplice documentale, anziché fraudolenta e ha rideterminato la pena. 2. Nell'interesse dell'imputata è stato proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. 2.1. Con il primo motivo, si lamentano vizi motivazionali, nonché erronea applicazione dell'articolo 217 I. fall. e degli articolo 42 e 43 cod. penumero , rilevando che dalla prova testimoniale di una dipendente della società fallita era emerso che era il padre dell'imputata a gestire l'attività sociale, con la conseguenza che la Corte territoriale, per un verso, non aveva evidenziato con sufficiente precisione il profilo di colpa ravvisato nella condotta dell'imputata, amministratrice di diritto, e, per altro verso, aveva trascurato di considerare il legittimo affidamento riposto dalla prima nel comportamento del padre, esperto di affari commerciali e contabili e reale gestore dell'attività imprenditoriale. 2.2. Con il secondo motivo, si lamenta violazione del principio di correlazione tra contestazione e sentenza, giacché l'iniziale imputazione di bancarotta fraudolenta aveva impedito alla difesa di sviluppare gli argomenti idonei ad escludere la sussistenza del diverso reato ritenuto dai giudici di secondo grado. Considerato in diritto 1. II secondo motivo, da esaminare preliminarmente per ragioni di pregiudizialità logica, è inammissibile per manifesta infondatezza, giacché la garanzia del contraddittorio - prevista dall'articolo 111 Cost. e dall'articolo 6 CEDU così come interpretato dalla Corte EDU - assume rilievo quando il mutamento della qualificazione giuridica del fatto avvenga senza che la parte abbia avuto la possibilità di interloquire sul punto, mentre, nel caso di specie, era stata proprio l'imputata a sollecitare con l'atto di appello la più favorevole qualificazione dei fatto recepita dalla sentenza di secondo grado, taiché non si riesce ad intendere quale sorpresa per le garanzie difensive abbia rappresentato la soluzione accolta dalla Corte territoriale. 2. II primo motivo è, del pari, inammissibile per manifesta infondatezza, giacché è configurabile il reato di bancarotta semplice allorché l'amministratore, pure estraneo alla gestione dell'azienda - esclusivamente riconducibile all'amministratore di fatto - abbia omesso, anche per colpa, di esercitare il controllo sulla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili, poiché l'accettazione della carica di amministratore, anche quando si tratti di mero prestanome, comporta l'assunzione dei doveri di vigilanza e di controllo di cui all'articolo 2932 cod. civ. v., ad es., Sez. 5, numero 31885 dei 23/06/2009, Mazzara, Rv. 244497 . A tali principi si è uniformata la Corte d'appello, che ha sottolineato, con motivazione razionale, il disinteresse manifestato dalla N. per la mancata tenuta delle scritture contabili e il conseguente mancato controllo sull'operato dell'amministratore di fatto. 3. II presente ricorso, in conclusione, va dichiarato inammissibile e tale situazione, implicando il mancato perfezionamento del rapporto processuale, cristallizza in via definitiva la sentenza impugnata, precludendo in radice la possibilità di rilevare di ufficio l'estinzione del reato per prescrizione intervenuta successivamente alla pronuncia in grado di appello Cfr., tra le altre, Sez. U, numero 21 dell'11/11/1994, Cresci, Rv. 199903 Sez. 3, numero 18046 del 09/02/2011, Morra, Rv. 250328, in motivazione . 4. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex articolo 616 cod. proc. penumero , la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende