Spaventa i pazienti e chiede loro denaro per operarli personalmente: condannato chirurgo di fama

Stante la reputazione e l’esperienza del chirurgo, la richiesta ai pazienti di somme di denaro in cambio della promessa di operarli personalmente ha senza dubbio una forza di intimidazione notevole, specie se accompagnata da considerazioni preoccupanti sul loro stato di salute.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 11793/13, depositata il 12 marzo. Il caso. Un noto chirurgo di un ospedale siciliano viene riconosciuto colpevole dei reati di interruzione di un servizio di pubblica necessità articolo 340 c.p. per aver sospeso l’attività chirurgica in una sala operatoria, e di concussione, per aver chiesto denaro ai pazienti al fine di ottenere la personale esecuzione dell’intervento chirurgico. Il medico ricorre per cassazione. Il macchinario poteva essere usato? Quanto al primo dei reati contestati, il ricorrente lamenta la mancanza di prova di una compromissione tale da alterare significativamente le prestazioni dovute inoltre la sua decisione sarebbe stata determinata dalla segnalazione del capo tecnico che declinava ogni responsabilità riguardo all’utilizzo del macchinario cuore – polmone, a seguito della cessazione del rapporto con la ditta che ne curava l’assistenza. Sì l’interruzione non ha giustificazioni. A giudizio degli Ermellini, tuttavia, l’interruzione non può essere ritenuta giustificata, dal momento che il contratto non era scaduto e, se anche lo fosse stato, ciò avrebbe semplicemente comportato un maggiore aggravio di spesa a carico dell’azienda sanitaria in caso di eventuali malfunzionamenti, mentre non ci sarebbe stata nessuna conseguenza per l’attività medica la macchina, infatti, risultava all’epoca efficiente e perfettamente funzionante. Con la sua condotta, invece, il chirurgo ha determinato l’illegittimo rifiuto del ricovero di due pazienti ciò premesso, la Cassazione rileva tuttavia l’intervenuta prescrizione del reato. Chi vuole il medico bravo, deve pagare E’ stato poi accertato che il chirurgo era solito chiedere ai pazienti somme di denaro in contante per operare personalmente i pazienti, approfittando così della stima e dell’apprezzamento di cui godeva proprio in forza della delicatezza degli interventi di cardiochirurgia e dell’esperienza accumulata negli anni, la richiesta del professore assumeva senza dubbio una forza di intimidazione notevole nei confronti del paziente, il quale era ben consapevole che il rifiuto del pagamento avrebbe comportato il dover rinunciare alla bravura del chirurgo, affidando il rischioso intervento al meno esperto medico di turno. Il chirurgo approfittava della soggezione dei pazienti. Da tali circostanze i giudici di merito hanno desunto lo stato di soggezione dei pazienti rispetto alla posizione di preminenza del P.U. non si può infatti ritenere che nella fattispecie vi fosse un rapporto paritario tra medico e persona offesa. Secondo la S.C., infatti, costituisce massima di esperienza il fatto che nel contesto in cui la richiesta veniva formulata, magari accompagnata da considerazioni preoccupanti sullo stato di salute del paziente, lo spazio di libertà in capo al destinatario della proposta era talmente modesto da escludere una condizione psicologica riconducibile all’induzione in questo caso si versa invece in una realtà definibile come costrizione rilevante ex articolo 317 c.p Per questi motivi, ritenendo di non dover accogliere neppure la censura riguardante l’omesso riconoscimento delle attenuanti generiche, la Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’articolo 340 c.p., estinto per prescrizione, e rigetta nel resto il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 11 febbraio – 12 marzo 2013, numero 11793 Presidente Milo – Relatore Lanza Ritenuto in fatto e considerato in diritto A.M. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la sentenza 15 dicembre 2011 della Corte di appello di Catania, che, in riforma della sentenza del Giudice dell'Udienza Preliminare del Tribunale di Catania 6 novembre 2009, qualificato il reato di cui al capo C della rubrica come violazione dell'articolo 340 cp., ha revocato la condanna al pagamento in favore della parte civile della provvisionale di Euro 100 mila e condannato l'appellante al pagamento delle spese processuali confermando nel resto ha altresì condannato l'imputato a rimborsare alla parte civile costituita Azienda Ospedaliera omissis le spese del giudizio di secondo grado che ha liquidato in complessivi Euro 2500,00 oltre spese generali, iva e cpa 1.0 la contestazione del capo C, la motivazione della sentenza impugnata e le ragioni della decisione di questa Corte di legittimità. L'addebito del capo “C , violazione dell'articolo 340 cod. penumero originariamente contestato come violazione dell'articolo 331 cod. penumero interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità , trae origine dalla sospensione dell'attività chirurgica in una delle due sale operatorie del omissis , disposta dall'imputato - direttore dell'unità operativa di cardiochirurgia - con nota del 1 febbraio 2005, sulla base della segnalazione giunta dal capo tecnico della divisione . con la quale quest'ultimo, a seguito dell'interruzione del servizio di assistenza, declinava ogni responsabilità che potesse derivare dall'uso ulteriore di tale macchina. Il Giudice di primo grado e la corte distrettuale ha ribadito il fatto riqualificandolo , ha affermato la responsabilità dell'A. , assumendo che la cessata interruzione del rapporto con la ditta che curava l'assistenza della macchina non comportava un aumento del rischio per il malfunzionamento, ma solo eventuali aggravi economici nel caso di problemi di natura manutentiva, problemi non di competenza dell'A. . 1.1 i motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa Corte sul capo C. Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta illogicità e mancanza di motivazione con riferimento al solo capo C, qualificato come interruzione di pubblico servizio. In particolare si lamenta I che sia mancata la prova di una compromissione tale da alterare significativamente le prestazioni dovute e gli effettivi disagi per i pazienti nella specie V.D. e S F. II che non si sia valorizzata la nota del tecnico T. che declinava ogni responsabilità dall'uso ulteriore della macchina attestazione questa che obbligava l'imputato ad astenersi dall'utilizzare la sala operatoria per l'ipotizzato malfunzionamento della macchina. Il motivo non ha fondamento. La corte distrettuale, ribadendo le argomentazioni del primo giudice, ha concluso nel senso che l'imputato aveva dolosamente interrotto il funzionamento della sala operatoria per 16 giorni consecutivi, dal 1 al 16 febbraio 2005, interruzione da ritenersi per più profili arbitraria ed ingiustificata, in quanto a il contratto di manutenzione non era affatto scaduto b anche lo fosse stato, il professor A. non sarebbe stato ugualmente giustificato a chiudere la sala operatoria, perché il macchinario cuore-polmone era all'epoca efficiente e perfettamente funzionante, considerato anche che lo strumento era stato oggetto di un intervento di manutenzione pochi giorni prima della sospensione dell'attività chirurgica c in ogni caso la scadenza del contratto di manutenzione avrebbe comportato soltanto un maggiore aggravio di spese a carico dell'azienda sanitaria, ove si fossero verificati malfunzionamenti e nessuna conseguenza sarebbe derivata all'attività dell'A. , il quale disponeva di un macchinario perfettamente funzionante. d la condotta dell'imputato aveva così determinato l'illegittimo rifiuto di ricovero del paziente V.D. e della paziente F.S. . La gravata sentenza ha correttamente inquadrato tale condotta nella norma di cui all'articolo 340 c.p. in quanto il professor A. aveva interrotto per più di due settimane un servizio di pubblica necessità, senza alcuna giustificazione, pur essendo consapevole della sua delicatezza e della sua evidente importanza un servizio da cui dipendeva la vita dei pazienti come dimostrato dai casi relativi al cuore dirottato verso le strutture ospedaliere di XXXXXX e da quello del rifiuto del ricovero della paziente affetta da aneurisma all'aorta. Per tale tipologia di illecito risulta peraltro maturato il termine massimo di prescrizione in data 1 novembre 2012. Tanto premesso, avuto riguardo alla regola per cui la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla dichiarazione di improcedibilità per prescrizione del reato soltanto nel caso in cui sia rilevabile, con una mera attività ricognitiva, l'assoluta assenza della prova di colpevolezza o, per contro, la prova positiva dell'innocenza dell'imputato Cass. penumero sez. Unite 35490/2009, Tettamanti va ora verificato se tale ultima evenienza sia agevolmente rilevabile nella fattispecie. Il giudizio non può che essere negativo, attesa la narrativa in fatto e le corrispondenti argomentazioni in diritto, ineccepibilmente formulate nella gravata sentenza e dianzi riprese, tali comunque da impedire la favorevole conclusione di cui al capoverso dell'articolo 129 cod. proc. penumero . La sentenza della Corte di appello va quindi annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui all'articolo 340 cod. penumero , perché estinto per prescrizione. 2.1 Le concussioni e le tentate concussioni. Tutte le condotte illecite addebitate al prof. A. , già definitivamente condannato per sostanziali identici comportamenti Cass. penumero Sez. 6, 17234/2010 - rigetta in parte, App. Catania, 10 febbraio 2009 irrevocabile il 22 aprile 2010 , hanno come unico comune denominatore la dazione o la promessa di denaro, ottenuta al fine di ottenere, da parte del detto autorevole specialista, la personale esecuzione dell'indilazionabile intervento chirurgico. Va peraltro precisato, avuto riguardo alla recente novella di cui alla legge 190/2012, che nelle condotte di cui ai capi D , “E ed F è contestata la costrizione o comunque l'induzione , mentre nei capi, concernenti la concussione tentata, e cioè nei capi sub G ed H l'espressione utilizzata ed oggetto di addebito è soltanto la costrizione . 2.2 la motivazione della Corte di appello sulle concussioni. Per la Corte di appello l'abuso delle proprie funzioni, alla luce delle chiare deposizioni di numerosissimi testi, appare assolutamente evidente essendo esso consistito nel chiedere una somma di denaro in contanti per operare personalmente i pazienti la forza di intimidazione derivava dal fatto che lo stesso professor A. godeva di una incondizionata stima ed apprezzamento da parte dell'utenza dell'azienda ospedaliera. Sostiene la gravata sentenza che, trattandosi di interventi il più delle volte molto delicati al cuore, tutti i pazienti preferivano per ovvi motivi che fosse l'odierno imputato ad operarli. Anche perché il professor A. aveva acquisito negli anni una esperienza invidiabile né va taciuto il fatto che sia stato il primo a procedere ad un trapianto di cuore in questa città. Ecco perché la richiesta di denaro, accompagnata dalla promessa di operare personalmente, assumeva una forza di intimidazione notevole specie se si considera la posizione subalterna dei pazienti, i quali avrebbero dovuto subire un rischioso intervento al cuore. Rifiutare il pagamento della somma significava in definitiva dover rinunciare alla bravura ed all'esperienza del professor A. ed a tentare quindi la sorte affidandosi al medico di turno. La conclusione dei giudici di merito è stata quindi nel senso che molti pazienti, per sottrarsi al pericolo di essere affidati a mani inesperte, avevano ceduto alle richieste di denaro specie se queste erano precedute da considerazioni molto preoccupanti in ordine alla salute dei pazienti da operare, ritenuti in gravissime condizioni di salute. Le pretese del professor A. erano peraltro temperate da frasi rassicuranti e quindi persuasive aventi ad oggetto la destinazione ad opere di beneficenza della somma incassata. Non solo. Il professor A. aveva avuto anche l'ardire di spiegare ai suoi interlocutori che le sue richieste economiche erano di gran lunga inferiori al costo di un intervento intramoenia che si aggirava intorno ai Euro 12.000,00. Da tali circostanze la Corte di appello ha desunto lo stato di soggezione dei pazienti rispetto alla posizione di preminenza del P.U. il quale, consapevole della sua fama, aveva come unico fine quello di monetizzare la sua indubbia perizia ed esperienza chiedendo un compenso illecito per garantire la sua presenza all'intervento chirurgico. 2.3 i motivi di impugnazione sulle concussioni e le ragioni della decisione di questa Corte. Con un secondo motivo la difesa del prof. A. lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, per illogicità e mancanza, sulle fattispecie di concussione, considerato che l'imputato avrebbe richiesto i pagamenti contestatigli per l'esecuzione di interventi chirurgici oltre l'orario, cui era contrattualmente tenuto, e che la soluzione argomentativa scelta dalla Corte di appello risulterebbe decettiva e cioè fallace ed ingannevole, in relazione al protocollo di intesa tra Regione Sicilia e Università di Catania 18 novembre 2003. Nella specie si sostiene a la mancanza di una più approfondita verifica, per accertare se quella offerta alle parti offese fosse per legge dovuta perché compresa nel debito ospedaliere delle 19 ore settimanali oppure fosse oltre tali tempi stabiliti dall'ordinamento, e, con essa, l'omissione della sussistenza della soggettività richiesta dal delitto in questione b la diversa realtà che il prof. A. rappresentò l'intervento intra moenia come unica condizione per garantire la sua personale qualità di operatore, con costi aggiuntivi rispetto a quelli proposti, ma mai subordinò la dazione di denaro alla prospettazione di un pericolo, nel caso in cui non si fosse accondiscesi alle sue pretese, essendosi nella specie trattato di un rapporto paritetico chirurgo persona offesa c il condizionamento esercitato dal parallelo procedimento a carico del ricorrente e dalla relativa definitiva decisione di condanna a titolo di concussione d l'ipotizzabilità della diversa previsione delittuosa della truffa, mancando un nesso causale tra la pretesa del ricorrente e il danno delle vittime. Tali critiche non possono essere accolte, sia per la loro infondatezza, sia per la loro palese inammissibilità. Invero sulle coordinate temporali degli interventi, vi è ragionevole risposta da parte dei giudici di merito, in questa sede non sindacabile. Sulla pretesa pariteticità del rapporto inoltre, la censura formulata è viziata da genericità, in quanto non si confronta affatto con le chiare ed ineccepibili argomentazioni della Corte di appello sul punto. Il ricorso inoltre sembra non voler considerare, la massima di comune esperienza, conseguente ad un'usuale lettura della realtà, che, nei contesti in cui la richiesta veniva formulata dal “luminare , nella sua qualità di Direttore dell'unità operativa di cardiochirurgia .paziente in condizioni di tale gravità da esigere un indilazionabile intervento chirurgico .con prospettazione di imminente pericolo di vita , lo spazio di libertà in capo ai parenti , destinatari della proposta, era di tale modesta ampiezza e spessore da escludere, in radice, ogni e qualsiasi corrispondente condizione psicologica, equiparabile alla induzione , versandosi invece in una realtà suscettibile di definizione sotto la specie della costrizione , rilevante ex articolo 317 cod. penumero anche nella nuova formulazione normativa. Conclusione questa che, non solo rende irrilevante quoad poenam la novella 190/2012, ma esclude pure l'ipotizzabilità del delitto di truffa. Quanto al lamentato condizionamento , esercitato dalla precedente condanna, trattasi di critica non consentita nel nostro sistema in quanto non concerne i motivi della decisione espressi nella sentenza e censurabili ex articolo 606 comma 1 lettera e cod. proc. penumero , ma tende ad aggredire i motivi personali del decidente in altre parole, il pregiudizio di colpevolezza nella psiche del giudice, derivato dalla conoscenza della precedente condanna dell'imputato, condanna peraltro correttamente valorizzabile e nella specie opportunamente valorizzata dai giudici di merito in quanto segnale indiscutibile della personalità del reo e della sua vita anteatta articolo 133 comma 2 numero 2 cod. penumero . Con un terzo motivo si prospetta violazione di legge e vizio di motivazione per l'omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, tra l'altro fondato dai giudici di merito sulla precedente condanna irrevocabile Corte di Cassazione sentenza 17234/2010 per analoghi reati. La doglianza, al limite dell'inammissibilità, è inaccoglibile. La sussistenza di attenuanti generiche è infatti oggetto di un giudizio di fatto, e può essere esclusa dal Giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, per cui la motivazione, purché congrua e non contraddittoria - come nella specie - non può essere sindacata in Cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell'interesse dell'imputato Cass. Penale sez. IV, 12915/2006 Billeci e tenuto conto che, nella specie, non è stata valorizzata una semplice precedente pronuncia di responsabilità, ma una puntuale recente decisione che ha sanzionato irrevocabilmente identiche condotte lesive dei medesimi beni giuridici, oggi nuovamente reiterate. Il ricorso pertanto, quanto alle concussioni ed alla sanzione inflitta, risulta infondato, valutata la conformità del provvedimento alle norme stabilite, nonché apprezzata la tenuta logica e coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata. Per concludere, la gravata sentenza va annullata senza rinvio, limitatamente al reato di cui all'articolo 340 cod. penumero , perché estinto per prescrizione, con eliminazione della corrispondente pena finale di mesi 2 di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso con condanna del ricorrente a rifondere alla parte civile, Azienda ospedaliera universitaria policlinico omissis , le spese sostenute in questo grado e liquidate in Euro 4.500.00 oltre i.v.a. e c.p.a P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all'articolo 340 cod. penumero perché estinto per prescrizione ed elimina la corrispondente pena di mesi 2 di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso. Condanna il ricorrente a rifondere alla parte civile Azienda ospedaliera universitaria policlinico Vittorio Emanuele di Catania, le spese sostenute in questo grado e liquidate in Euro. 4.500.00 oltre i.v.a. e c.p.a