Il divieto previsto dall’articolo 58 – quater, comma 2, della l. numero 354/75 di concessione di benefici penitenziari al condannato nei confronti del quale sia stata disposta la revoca di misura alternativa, opera anche nel caso di affidamento in prova per i casi particolari? Il dilemma irrisolto della Cassazione.
È quanto risulta dalla sentenza della Corte di Cassazione numero 6287/15 depositata il 12 febbraio. L’articolo 58 – quater, comma 2 della l. numero 354/75. Il tenore della norma appare davvero semplicissimo “L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio, l’affidamento in prova al servizio sociale nei casi previsti dall’articolo 47, la detenzione domiciliare e la semilibertà non possono essere concessi al condannato per uno dei delitti previsti nel comma 1 dell’articolo 4 - bis , che abbia posto in essere una condotta punibile a norma dell’articolo 385 del codice penale evasione . La disposizione del comma 1 si applica anche al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una misura alternativa, ai sensi dell’articolo 47, comma 11, dell’articolo 47 - ter , comma 6, o dell’articolo 51, primo comma”, di talché appare davvero difficile comprendere le ragioni di un simile, e protratto contrasto giurisprudenziale. Non è fatta menzione alcuna di applicabilità della misura restrittiva, ovvero dell’impossibilità di dar corso all’applicazione di una misura alternativa nel caso di affidamento in prova relativo a quelli che la legge definisce essere casi particolari. Casi particolari che, poi, finiscono con l’essere ricompresi e contenuti nella disciplina dettata dal d.p.r. 309/90. Versandosi in ipotesi di norma speciale, quella relativa all’affidamento in prova riferito ai casi particolari, rispetto alla norma generale, la misura alternativa concedibile a quelli che potremmo definire condannati tout court , parrebbe sufficiente il richiamo alle ben note categoria dogmatiche e teoriche dettate in tema di deroga e prevalenza tra legge speciale e legge generale, per risolvere la vexata quaestio . Invece no. Oppure, ove si preferisca percorrere altra via, versandosi in tema di norma avente carattere restrittivo, ovvero dotata di portato di maggior afflittività per il reo, far ricorso ai criteri interpretativi dettati in tema di analogia, per escluderne nuovamente l’applicabilità ai casi di affidamento particolare condannati definiti non “particolari”. E invece no. La Corte di Cassazione manifesta aperto e forte contrasto in punto alla definizione da attribuirsi alla norma e, conseguentemente, alla sua portata e, last but not least , agli effetti che essa può concretamente svolgere nei confronti del condannato. E così, a seconda della sorte, vera artefice del destino del reo, che si manifesta nella casualità della sezione e della composizione della Corte cui è demandata la decisione, il condannato può vedersi concedere o negare un beneficio che ha, effettivamente natura e portata tali dall’influire concretamente e pesantemente sulla qualità e natura della pena. L’articolo 94, d.p.r. 309/90 la clausola del comma 6. Il sesto comma dell’articolo 94 d.p.r. 309/90 recita “Si applica, per quanto non diversamente stabilito, la disciplina prevista dalla legge 26 luglio 1975, numero 354, come modificata dalla legge 10 giugno 1986, numero 663”. Si tratta di una vera e proprio clausola di salvaguardia o, come dice la prima sezione penale della Suprema Corte nella pronuncia in commento, «di salvezza», ovvero di una disposizione che, facendo salva l’applicazione della norma generale solo in ragione di quanto non espressamente previsto dalla norma speciale, ne rende inapplicabili le misure, ed i conseguenti effetti, che con essa contrastino. Ovvero rende inconferente, rispetto alle vicende inerenti gli affidamenti in casi particolari, il potere limitativo ed ostativo indicato e concesso con l’articolo 58 della legge sull’ordinamento penitenziario. La lettura sistemica della norma. La norma dettata dal Legislatore del 1990 si inserisce in un particolarissimo contesto sociale che era, ed è volto, a privilegiare le finalità di carattere riabilitativo , rieducativo e terapeutico del trattamento penitenziario, costruendo un vero e proprio sistema di misure autonome ed indipendente rispetto a quello generale dettato e descritto nella normativa sull’ordinamento penitenziario, in assoluta armonia e nel rispetto dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale con le pronunce ordinanza numero 367/95 e sentenza numero 377/97 ai sensi delle quali l’affidamento in prova in casi particolari apparterebbe come specie al genus dell’affidamento in prova generale ma, proprio a cagione della sua singolarità e della particolarità dei soggetti cui la misura è destinata, rappresenterebbe una «risposta differenziata dell’ordinamento penale», quindi una vera e propria, autonoma ed indipendente, misura alternativa alla detenzione normata e disciplinata in modo distinto e differente rispetto a quella prevista in generale. Il ragionamento seguito pare essere convincente e sostenuto da costrutti teorici ed ermeneutici significativi e dirimenti. Ovviamente per la prima sezione penale della Corte. Quindi? Quindi non resta che attendere la risposta al quesito che necessariamente dovranno fornire le Sezioni Unite, a meno di imprevisti ed imprevedibili arretramenti del contrastante orientamento giurisprudenziale. Nel frattempo c’è da sperare che la ruota della fortuna arresti il proprio corso sulla casella relativa alla I sezione penale della Corte di Cassazione. In ossequio al principio della certezza del diritto vivente o morente che sia ma soprattutto dei diritti del condannato.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 23 ottobre 2014 – 12 febbraio 2015, numero 6287 Presidente Giordano – Relatore Casa Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 4.12.2013, il Tribunale di Sorveglianza di Catania dichiarava inammissibile l'istanza di ammissione all'affidamento terapeutico ex articolo 94 D.P.R. numero 309/90, avanzata da S.S., in quanto era stata precedentemente revocata, nei confronti dell'istante, la misura alternativa della semilibertà. 2. Ricorre per cassazione S.S. per il tramite del difensore di fiducia, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articolo 58-quater, comma 2, O.P. e 94 D.P.R. numero 309/90. Richiamando giurisprudenza costituzionale e di legittimità a supporto, il difensore ricorrente sostiene la tesi secondo la quale il divieto di concessione dei benefici stabilito dall'articolo 58-quater, comma 2, O.P. in caso di revoca di una misura alternativa ai sensi dell'articolo 47, comma 11, dell'articolo 47-ter, comma 6, o dell'articolo 51, primo comma non opera per l'affidamento ex articolo 94 D.P.R. numero 309/90, non essendo tale misura espressamente menzionata nelle disposizioni ostative della norma stessa opinare diversamente significava porsi in contrasto sia con il principio della funzione risocializzante della pena articolo 27, comma 1, Cost. che con il diritto fondamentale alla tutela della salute articolo 32 Cost. . 3. II Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata, con trasmissione degli atti al Giudice a quo per l'ulteriore corso, condividendo le motivazioni del ricorrente. Considerato in diritto Il ricorso è fondato. 1. Sulla questione oggetto del ricorso - se il divieto previsto dall'articolo 58-quater, comma 2, l. numero 354 dei 1975 e successive modifiche, di concessione di benefici penitenziari al condannato nei cui confronti sia stata disposta la revoca di una misura alternativa, operi o meno anche per l'affidamento in prova in casi particolari articolo 94 D.P.R. numero 309 dei 1990 - si registra un contrasto interpretativo. Secondo il più recente e maggioritario indirizzo, detta misura alternativa alla detenzione non è espressamente menzionata tra quelle per cui si applica la previsione ostativa di cui al citato articolo 58-quater, che, per il suo carattere restrittivo, non è suscettibile di interpretazione analogica Sez. 1, 25/11/2009, Bonillo Sez. 1, 3/3/2010, Silva, Rv. 246833 Sez. 1, 27/5/2010, Senato, Rv. 247580 Sez. 1, 10/12/2010, dep. 12/1/2011, Ferrante, Rv. 249441 . Di contro, in alcune precedenti decisioni Sez. 1, 10/3/2009, Rv. 243497 Sez. 1, 6/7/2007, Rv. 237332 si è affermato che il divieto di concessione di benefici penitenziari al condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una misura alternativa alla detenzione ai sensi degli articolo 47, comma 11, e 58 quater, comma 2, legge 26 luglio 1975, numero 354, opera anche nell'ipotesi di affidamento in prova in casi particolari di cui all'articolo 94 D.P.R. 309/90, in forza del rinvio effettuato dal comma sesto di tale norma alle disposizioni dell'ordinamento penitenziario. 2. Tale secondo orientamento esegetico non pare condivisibile per una molteplicità di ragioni. Innanzitutto occorre sottolineare che dall'interpretazione letterale e logico sistematica dell'articolo 94 citato si evince che in esso è contenuta, al sesto comma, una clausola di chiusura che opera un generico rinvio, per quanto non diversamente stabilito , alla disciplina prevista dalla legge 26 luglio 1975 numero 354 e successive modifiche. Tale clausola di salvezza non può intendersi limitata a norme particolari contenute nel D.P.R. numero 309 del 1990 e deve intendersi estesa ad ogni disposizione dello stesso ordinamento penitenziario che faccia specifico riferimento a singoli e diversi istituti in coerenza con il principio che la legge speciale deroga a quella generale, laddove il contrario non sia espressamente stabilito. Ne consegue che l'affidamento terapeutico ex articolo 94 D.P.R. numero 309 del 1990, per quanto non espressamente previsto dal citato testo unico in materia di stupefacenti, trova la sua fonte di disciplina nell'articolo 47 I. numero 354 del 1975 e successive modifiche. Tale conclusione, peraltro, non consente di affermare che, in virtù del rinvio operato dal sesto comma dell'articolo 94 D.P.R. numero 309 del 1990 alle norme di ordinamento penitenziario per quanto non diversamente stabilito , comprenda anche l'estensione degli effetti impeditivi derivanti dalla revoca di altra misura alternativa previsti dall'articolo 58-quater, comma 2, legge numero 354 dei 1975. Tali effetti sono, infatti, espressamente limitati, ai sensi del comB. disposto del secondo e del primo comma del citato articolo 58-quater, all'affidamento in prova al servizio sociale articolo 47 , alla detenzione domiciliare articolo 47-ter e alla semilibertà articolo 51 . L'espresso rinvio all'affidamento in prova al servizio sociale nei casi previsti dall'articolo 47 , presente nell'articolo 58-quater, comma 1, sin dal testo originario introdotto con il d.l. numero 152 del 1991 è obiettivamente e univocamente indicativo della espressa esclusione dell'affidamento in prova terapeutico, già previsto nell'articolo 47-bis e, successivamente, trasfuso nell'articolo 94 D.P.R. numero 309 del 1990, atteso che l'ordinamento penitenziario non prevede ulteriori e diverse forme di affidamento in prova. Depone in tal senso anche l'interpretazione letterale e logico sistematica del comma 7 bis introdotto dalla i. numero 251 del 2005 dell'articolo 58-quater che, analogamente a quanto previsto dal primo comma riscritto dall'articolo 7 della I. numero 251 del 2005 , menziona espressamente solo l'affidamento in prova al servizio sociale nei casi previsti dall'articolo 47 . 3. Significative del diverso trattamento riservato dal legislatore all'affidamento in prova al servizio sociale articolo 47 ord. penumero e all'affidamento terapeutico articolo 94 D.P.R. numero 309 del 1990 sono anche le vicende legislative concernenti quest'ultima misura. La legge 5 dicembre 2005 numero 251, nella versione originaria, introduceva nel D.P.R. numero 309 del 1990 l'articolo 94-bis, contenente restrizioni - sempre in maniera diversa rispetto alla disciplina di ordinamento penitenziario - per l'accesso al beneficio per i condannati cui fosse stata applicata la recidiva ex articolo 99, comma 4, c. p L'articolo 94 bis ed i correlati inasprimenti del regime per i condannati tossicodipendenti venivano, peraltro, poco dopo soppressi ad opera del d.l. 30 dicembre 2005 numero 272 e l'abrogazione veniva mantenuta dalla legge numero 49 del 2006 che introduceva il divieto della sospensione dell'esecuzione della pena nei confronti dei recidivi cui fosse stata applicata la recidiva ex articolo 99, comma 4, c.p. articolo 656, comma 9, lett. c , c.p.p. e, contemporaneamente, escludeva l'operatività del divieto nei confronti di coloro che si trovavano agli arresti domiciliare disposti nell'ambito di un programma terapeutico ai sensi dell'articolo 89 D.P.R. numero 309 del 1990. Il complesso dei predetti interventi normativi è significativo dell'autonomia delle due misure alternative e del conseguente diverso trattamento che il legislatore ha voluto riservare per l'accesso a ciascuna di esse, con lo scopo finale di sottrarre l'affidamento terapeutico alla nuova e più severa disciplina, mantenendo nel contempo le generale regola limitativa di cui al quinto comma dell'articolo 94 D.P.R. numero 309 dei 1990. 4. Tale approdo ermeneutico appare coerente con i principi enunciati dalla Corte Costituzionale ordinanza numero 367 del 1995 e sentenza numero 377 del 1997 secondo cui l'affidamento in prova in casi particolari, pur inserendosi come species del genus dell'affidamento in prova già previsto dall'ordinamento penitenziario, rappresenta una risposta . differenziata dell'ordinamento penale che trova la sua giustificazione nella singolarità della situazione dei suoi destinatari , ossia le persone tossicodipendenti o alcooldipendenti. Nell'affidamento in prova terapeutico, fondato su presupposti specifici ed autonomi accertato stato di tossicodipendenza ed idoneità del programma terapeutico ai tini del recupero del condannato assume, quindi, un rilievo preminente la cura dello stato di tossicodipendenza ed il recupero da tale condizione. 5. In tale contesto ed avuto riguardo alla preminente finalità di recupero sottesa all'istituto disciplinato dall'articolo 94 D.P.R. numero 309 del 1990 si spiega la scelta legislativa di non attribuire rilievo all'esito negativo di un'altra misura che, a differenza dell'affidamento terapeutico, non sia modulata sullo stato di tossicodipendenza. Assume, quindi, peculiare rilievo il divieto di disporre per più di due volte l'affidamento terapeutico, sancito dal sesto comma dell'articolo 94 D.P.R. numero 309 del 1990, a dimostrazione, ancora una volta, del fatto che il legislatore ha ritenuto necessario, con specifico riguardo a tale misura, un autonomo giudizio di bilanciamento ed ha attribuito preminente rilievo allo scopo terapeutico rispetto alla dimostrata inidoneità di un'altra misura analoga, volto a conseguire l'effetto di risocializzazione perseguito. 6. Conclusivamente, è possibile affermare che il divieto di concessione di benefici penitenziari al condannato nei cui confronti sia stata disposta la revoca di una misura alternativa, previsto dall'articolo 58 quater, comma 2, I. numero 354 del 1975 e successive modifiche, non opera per l'affidamento in prova in casi particolari articolo 94 D.P.R. numero 309 del 1990 , atteso che tale misura alternativa alla detenzione non è espressamente menzionata tra quelle per cui si applica la previsione ostativa di cui al citato articolo 58-quater, che, per il suo carattere restrittivo, non è suscettibile di interpretazione analogica. 7. Per tutte queste ragioni, s'impone l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con conseguente rinvio per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Catania. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Catania.