Responsabilità amministrativa degli Enti: la Cassazione indica i parametri cui debbono rispondere le condotte riparative

Per aversi risarcimento del danno da parte dell’ente occorre che questi abbia posto in essere la diretta consegna alle persone danneggiate delle somme costitutive del risarcimento del danno prodotto, ovvero con modalità che garantiscano la presa materiale della somma su iniziativa del danneggiato senza la necessità di una ulteriore collaborazione per la traditio dell’ente risarcente.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 326, depositata l’8 gennaio 2014. 3 condizioni devono necessariamente concorrere sia al fine di evitare l’applicazione delle sanzioni interdittive che per giustificarne la revoca. Le condotte atte a riparare le conseguenze del reato – ha chiarito la S.C. - debbono necessariamente rispondere a tre condizioni che devono essere adempiute prime della apertura del dibattimento e concorrere tutte. Le tre condizioni sono che l’ente abbia risarcito integralmente il danno ed abbia eliminato le conseguenze dannose del reato ovvero si sia comunque efficacemente adoperato in questo senso che abbia eliminato le carenze che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi che abbia messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca. Il caso la responsabilità degli Enti e le sanzioni interdittive. La vicenda trae le mosse dall’applicazione ad un ente, nel caso di specie ad una s.p.a., della sanzione interdittiva del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione. La sanzione, irrogata in via cautelare, veniva revocata dal GIP del tribunale di Pistoia che aveva ritenuto atte ad integrare il disposto degli artt. 49 e 17 d.lgs. n. 231/2001 le condotte riparatorie poste in essere dalla S.p.a ritenuta responsabile dell’illecito amministrativo. Dette condotte erano identificate nell’avere l’ente previsto in bilancio la costituzione di un fondo di accantonamento nelle forme della riserva indisponibile certificata dal collegio sindacale, adottato procedure e protocolli organizzativi idonei a prevenire i reati della specie di quelli verificatosi, aver accantonato una somma pari al 10% degli importi fatturati ed incassati dall’ente per l’esecuzione dei lavori appaltati, del tutto corrispondente al profitto conseguito ai fini della confisca, profitto in questa prospettiva da intendersi in senso stretto costitutivo dell’utile netto ricavato. Avverso l’ordinanza formulava ricorso il Procuratore Generale, per ottenerne l’annullamento con rinvio. La Corte ha accolto il ricorso con motivazione interessante e, per grande parte, difforme rispetto a quella proposta dal ricorrente. L’utile netto ricavato può essere considerato ‘profitto’. Appare, intanto, di certo interesse osservare come la Corte, in una motivazione assai ampia ed articolata, non ritenga di doversi occupare poi molto dell’adempimento della terza condizione richiesta, ovvero circa la effettiva messa a disposizione del profitto conseguito ai fini della confisca. Ciò autorizza l’interprete a considerare come la nozione di profitto da prendere in considerazione ai fini dell’adempimento della condizione richiesta o ai fini dell’esecuzione della confisca in esito al procedimento penale instaurato nei confronti del responsabile amministrativo, debba e possa essere considerato quale utile netto ricavato dall’impresa, escludendo dunque che questi possa essere assimilato ad altre tipologie quali il corrispettivo incasso o l’utile lordo. Del resto in senso conforme vi era già stata una pronuncia della Sesta Sezione del Collegio 21.03.2013 2548419 cui la Seconda Sezione dimostra di volersi richiamare. Resta, pacifica, l’esigenza di porre la somma destinata a ‘confisca’ sotto il diretto controllo e la disponibilità del Collegio Sindacale ex art. 84 d.lgs. n. 231/01 sottraendola a qualsiasi possibilità di utilizzo e/o destinazione da parte dell’ente. Adozione di misure idonee. La Corte interviene anche in relazione ala seconda condizione di cui è necessario l’avverarsi ai fini della revoca o della non applicabilità delle misure interdittive, ovvero l’adozione dei protocolli e dei modelli organizzativi atti ed idonei a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi. La Corte effettua in tal senso un richiamo, formalmente corretto, alla propria impossibilità di intervenire in merito all’effettiva idoneità dei modelli e delle procedure adottate dall’ente, essendo, ex lege art. 52 d.lgs. n. 231/2001 il proprio sindacato in tema limitato alla mera legittimità. Occorre però leggere attentamente la motivazione della Corte per potersi accorgere, almeno così sembra a chi commenta, che la valutazione effettuata in punto dal Giudice del merito non appaia soddisfare le aspettative degli Ermellini. In punto, da umile interprete, mi pare di poter affermare che la mera sostituzione del responsabile con altro soggetto, peraltro legato da stretti vincoli di parentela con colui che è ritenuto agente apicale nel procedimento, non possa dirsi soddisfare l’esigenza richiesta dall’articolo 17 della norma in questione. La definizione di ‘opinabili’ regalata ai criteri di valutazione seguiti ad adottati dal Giudice del merito pare essere ben più che indice della valutazione che di essi la Corte effettua. La Seconda Sezione della Corte lascia però spazio, quasi fosse un obiter dictum , ad una valutazione procedurale che deve essere attentamente considerata dal difensore. Recita la sentenza - omissis – la valutazione della adeguatezza o meno di un sistema che, a prescindere che certi poteri siano o meno delegati, garantisca l’effettiva e concreta ripartizione dei compiti all’interno dell’impresa, tale dal consentire una scoperta immediata, ed una altrettanto immediata segnalazione, degli eventuali illeciti societari, di regola, richiede competenze tecniche di individuazione e rilevazione del rischio e delle misure idonee a prevenirlo, incompatibili con i giudizi costretti e ristretti dai rigorosi limiti segnati dalla verifica della mancanza di motivazione o di una motivazione meramente apparente ovvero ancora di una manifestazione talmente affetta da vizi e carenze da doversi ritenere mancante , il che significa che ai fini di compiere detta valutazione è necessario possedere competenze di individuazione e rilevazione del rischio e delle misure idonee a prevenirlo che non formano ordinario patrimonio del Giudicante. Che, a ben vedere, altro non può indicare se non la necessità per il difensore di dotarsi ed adottare un consulenze tecnico di parte uno o più in ragione delle necessità che sia in grado di dar atto delle fondate ragioni per cui il MOG adottato sia da considerarsi idoneo e di come detta idoneità, o meglio la dedotta sua inidoneità debba essere sostenuta e dimostrata da soggetti dotati di competenze quantomeno analoghe a quelle possedute dai redattori ed estensori del MOG. Dunque una vera e propria ‘apertura’ rispetto alla necessità di formare ‘specialisti’ in tema che, lo dicono da tempo gli interpreti e gli operatori, dovranno agire sotto la supervisione di un avvocato penalista che consideri e valuti le soluzioni tecniche prospettate sotto un’ottica necessariamente orientata alle esigenze ed alle regole ermeneutiche d euristiche del processo penale. Il risarcimento del danno si considera effettuato quando il danneggiato abbia la materiale e totale disponibilità della somma lui spettante. La Corte accoglie il ricorso formulato dal Procura sotto il profilo del mancato risarcimento del danno dando corso a due distinte considerazioni. Una di natura per così dire fattuale ed una di natura giuridica. In relazione alla prima delle due considerazioni la Corte rileva come il risarcimento del danno debba e possa considerarsi effettuato solo allorché il danneggiato abbia la materiale e totale disponibilità della somma lui spettante. Ovvero che esso possa accedervi comodamente e senza dover dar corso ad attività assoggettate alla necessaria collaborazione del danneggiante. A ben vedere non si tratta affatto di un concetto nuovo per gli operatori del diritto penale che lo conoscono persino con riferimento alle vicende assoggettate alla suprema giurisdizione dei Giudice di Pace ed in tema di condotte riparatorie. Forse lo strumento è un po’ meno noto a chi affronta le questioni societarie sotto altro e diverso profilo, con ciò dimostrandosi come sia impossibile in subjecta materia fare a meno dell’avvocato penalista. La seconda condizione, di natura più giuridica, riguarda invece il novero dei soggetti che hanno, o possono, avere diritto al risarcimento del danno. Ancora una volta occorre far riferimento alle nozioni possedute e condivise in tema di danno, soggetti legittimati a richiedere il risarcimento e condotte risarcitorie. Il danneggiato dal reato non coincide sempre con la persona offesa dal medesimo. La persona offesa non è obbligata a costituirsi parte civile nel procedimento penale, anzi, alcuni io fra questi reputano che le questioni civilistiche dovrebbe restare al di fuori del recinto seganto dal procedimento penale. Rebus sic stanti bus l’individuazione effettuata dall’ente tra danneggiato dal reato e eprsona offesa indciata nell’incolpazione provvisoria non poteva e non può essere accettata. Ed infatti gli Ermellini possono chiosare, in tutta tranquillità, affermando per l’effettività ed ancor più per l’integralità del risarcimento e delle condotte funzionali a realizzarlo occorrerà che – omissis – la società si impegni ad individuare le persone offese e danneggiate dal reato, a prescindere anche dalla costituzione di parte civile nel giudizio, se instaurato, nei confronti della persona fisica imputata, ed a risarcirne, ove sussistente,il danno . Attribuendo l’onere all’ente stesso di dar corso e provocare i contatti con gli interessati al risarcimento che possano valere a dimostrare di essa l’effettiva intenzione riparatoria . A ben vedere si tratta di condotte e di istituti, anche figli di elaborazione giurisprudenziale, ben noti in tema di risarcimento cui viene fatto riferimento in relazione all’applicazione di criteri di una responsabilità amministrativa cui di penale” manca solo il nomen .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 28 novembre 2013 – 8 gennaio 2014, n. 326 Presidente Petti – Relatore Iannelli Fatto e diritto -1- Il P.M. di Pistoia ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale di Pistoia in data 10.7.2013 che,in sede di appello, annullava l’ordinanza emessa dal gip della stessa città, datata 31.5.2013, che, ripristinava la già disposta misura cautelare interdittiva nei confronti della Vescovi Renzo s.p.a. del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione per sette mesi nelle regioni della Toscana e della Liguria, misura conseguente al ravvisato illecito amministrativo di cui agli artt. 5, comma 1 lett. a , 21 e 25 D.Lgs. n. 231/2001 correlato ai reati di cui agli artt. 81 cpv, 110, 319, 319 bis, 321 e 1353 comma 2 c.p. contestati a V.R. , quale socio di maggioranza ed institore della predetta società. Era accaduto che il gip del tribunale di Pistoia, dopo la sospensione, alla predetta società per azioni, delle misure cautelari ex art. 49 D.Lgs. per un periodo di sette mesi al fine di consentirle di poter adempiere alla tre condizioni ostative alla applicazione delle misure cautelari interdittive elencate nell'art. 17 del D.Lgs. n. 231/2001, le riteneva non adempiute, ripristinava la misura che però veniva annullata dal giudice di appello con il provvedimento oggetto di ricorso. -2- In breve il discorso giustificativo del giudice di appello che, oltre che annullare la citata ordinanza, disponeva altresì la restituzione della somma di Euro 250.000,00 in precedenza prestata a titolo di fideiussione ai sensi dell'art. 49 D.Lgs. cit. in adempimento della prima condizione prevista dalla,lett. a del citato art. 17 il tribunale ha ritenuto che, nella impossibilità di determinare l’entità del danno cagionato dagli amministratori della società a fronte dell’incolpazione provvisoria, l'avere però previsto in bilancio la costituzione di un fondo di accantonamento di Euro 120.000,00 rectius 118.000.00 informando della operazione i Comuni in tesi danneggiati dal reato - Pistoia e Piteglio - si traduceva in buona sostanza nell'adempimento della prestazione alternativa al risarcimento integrale del danno ovvero alla eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose da reato, prestazione alternativa tradottasi nell’essersi la società efficacemente adoperata per garantirne, del risarcimento e della eliminazione dell’conseguenze predette, il futuro adempimento. Non riteneva il giudice di appello che allo stato potessero profilarsi ulteriori fronti danneggiati, quali le ditte che avevano partecipato alla gara illecita per l’impossibilità di ravvisare un danno alle predette tant'è che le stesse non si erano costituite parti civili nel dibattimento in corso contro l’imputato. Peraltro la società avrebbe adempiuto anche alla seconda condizione ostativa alla applicazione di sanzioni interdittive, per aver adottato procedure e protocolli organizzativi idonei a prevenire i reati della specie di quello verificatosi. In proposito veniva richiamato il profilo oggettivo delle condizioni riparatorie richieste dalla legge per rilevare che nessun rilievo negativo poteva attribuirsi al fatto che amministratore unico era stato nominato V.T. , collegato per stretti vincoli familiari a V.R. che si era reso responsabile, in tesi, dei reati per i quali si procedeva. Anche la terza condizione ostativa alla applicazione delle sanzioni interdittive si sarebbe realizzata per doversi ritenere l’accantonamento di una seconda somma di Euro 120.00,00 rectius 118.000 , pari al 10% degli importi fatturati ed incassati dalla società per i lavori relativi allegare in contestazione, del tutto corrispondente al profitto conseguito ai fini della confisca, profitto in questa prospettiva da intendersi in senso stretto costitutivo dell’utile netto ricavato. -3 - Articolato e diffuso il ricorso del P.M. che sottolinea, per escludere che l'ente si sia adoperato efficacemente per risarcire il danno, l’esiguità, il ritardo, alla scadenza del periodo di sospensione, e l’inconcludenza del mero accantonamento, in ogni momento revocabile, della somma messa a disposizione ai fini della confisca, peraltro considerata solo ai fini del risarcimento del danno subito dai Comuni, e non invece anche dalle ditte partecipanti alla gara di appalto, alterate dalla condotta costitutiva del reato ex art. 353 c.p Le violazioni di legge, come sopra denunciate, riguarderebbero anche l’omessa predisposizione di moduli organizzativi funzionali a prevenire futuri illeciti dello stesso tipo di quello commesso. Da qui, ad avviso del ricorrente la denuncia di una motivazione giudiziale affetta da vizi così radicali da rendere l'apparato argomentativo mancante, apparente o illogico. -4- Il ricorso del P.M. è fondato, ma non per tutte le argomentazioni svolte con riferimento a tutti i profili afferenti alle dedotta mancanza delle tre e condizioni previste dall'art. 17 D.Lgs. n. 231/2001 come ostative alla applicazione delle misure interdittive. È fondato il ricorso per l’assorbente ed esaustivo profilo di non essersi la società efficacemente , come impone l'art. 17 lett. a D.Lgs. n. 231/2001, adoperata a risarcire integralmente il danno, ad eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato Si deve premettere che l'art. 50 del D.Lgs. n. 231 del 2001 prevede la revoca delle sanzioni interdittive disposte ai sensi del precedente art. 45, quando le correlative esigenze cautelari risultino mancanti anche per fatti sopravvenuti non tipizzati dalla norma , ovvero in presenza delle ipotesi previste dall'art. 17, disposizione che disciplina la riparazione delle conseguenze del reato prevedendo che essa possa ritenersi attuata nella concorrenza di tre condizioni, che devono essere adempiute prima dell'apertura del dibattimento di primo grado e concorrere tutte, le seguenti a che l'ente abbia risarcito integralmente il danno e abbia eliminato le conseguenze dannose del reato, ovvero si sia comunque efficacemente adoperato in questo senso b che abbia eliminato le carenze che hanno determinato il reato mediante l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi c che abbia messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca. Dette condizioni devono peraltro necessariamente concorrere sia al fine di evitare la stessa applicazione delle sanzioni interdittive che per giustificarne la revoca. -5- Vi è da premettere, ancora, che il ricorso per cassazione de quo, in forza del disposto dell'art. 52 comma 2 D.Lgs cit, è consentito per violazione di legge, e non per manifesta illogicità della motivazione. Sul versante motivazionale, la violazione di legge, per giurisprudenza che non registra arresti di sorta, potrà ricorrere solo quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l 'iter logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato. Una tale limitazione di indagine preclude al giudice di legittimità di prendere posizione sulla asserita violazione della necessità di predisporre validi compilance programs o valide messe a disposizione del profitto funzionale alla confisca e tanto meno la congruità del valore del profitto accantonato. Sul punto il tribunale ha redatto una motivazione, quale che sia il suo valore euristico sul piano del merito, che esiste, costitutiva di criteri di ragione, anche se opinabili, che impediscono alla corte di tracimare i rigidi steccati posti dalla legge alla sua competenza conoscitiva. Così, ai fini della decisione, non è possibile, nel caso di specie, prendere posizione, sul versante della predisposizione dei modelli organizzativi finalizzata alla prevenzione, della nomina quale amministratore unico di V.T. , figlio di V.R. e fratello di V.M. , a fronte di predisposte barriere a carattere oggettivo funzionali allo scopo, dal momento che sarebbe azzardato dare rilevanza di per sé, isolandolo dal più generale ed oggettivo contesto organizzativo, ai meri collegamenti personali, non ulteriormente caratterizzati da elementi di disvalore, tra gli amministratori e soci della società prima e dopo la commissione del reato. E peraltro la valutazione della adeguatezza o meno di un sistema che, a prescindere che certi poteri siano o non siano formalmente delegati, garantisca l’effettiva e concreta ripartizione dei compiti all’interno della impresa,tale da consentire una scoperta immediata, ed una altrettanto immediata segnalazione, degli eventuali illeciti societari, di regola, richiede competenze tecniche di individuazione e rilevazione del rischio e delle misure idonee a prevenirlo, incompatibili con i giudizi costretti e ristretti dai i rigorosi limiti segnati dalla verifica della mancanza di motivazione o di una motivazione meramente apparente ovvero ancora di una manifestazione talmente affetta da vizi e carenze da doversi ritenere mancante. Parimenti sfugge di regola al giudizio di legittimità la valutazione in merito alla quantificazione della somme dovute a titolo di risarcimento ovvero costitutive del profitto funzionali alla confisca laddove siano stati indicati parametri non manifestamente illogici per la correlata individuazione, peraltro condizionata,nella fase delle indagini preliminari, dalla maggiore o minore concludenza degli esiti probatori ancora in movimento . Sul punto la ricorrente ha prodotto una relazione tecnico - contabile alla quale ha fatto riferimento il tribunale il cui ragionamento si è svolto sullo sfondo di una concezione del profitto finalizzato alla confisca del tutto plausibile nella misura in cui viene parametrato sull’utile netto ricavato dalla società da intendere come immediata ed effettiva conseguenza economica dell'azione criminosa. Ed ancora deve ritenersi, alla stregua della puntuale lettera della legge, che il profitto funzionale alla confisca, come supportato da una motivazione giudiziale del tutto plausibile, è stato messo a disposizione con una operazione,seria anche se non stringente, costituita, non certo da un accantonamento prudenziale costitutivo di una voce del passivo dello stato patrimoniale, ma da una riserva indisponibile, voce dell'attivo dello stato patrimoniale, posta sotto il controllo del collegio sindacale alla stregua dell’art. 84 D.Lgs. n. 231/2001. Ed ancora non si traduce di certo in una violazione di legge l'adesione giudiziale ad un concetto di profitto funzionale alla confisca commisurato all’utile netto conseguito dalla società in seguito alla aggiudicazione, pur illecita della gara in tal senso, Sez. 6, 19/21.3.2013, Soc. coop. CMSAm Rv. 2548419 . -6 - Il ricorso rinviene la sua più piana soluzione, invece, nella registrazione di una violazione di legge sul versante del risarcimento del danno che, a prescindere dalla sua determinazione quantitativa, contestata genericamente dal P.M, è stato ritenuto dai giudici di merito effettivo attraverso la costituzione di un accantonamento costitutivo di una riserva indisponibile, certificata dal collegio sindacale, accantonamento comunicato agli enti comunali, persone danneggiate dal reato, solo dieci giorni prima della scadenza del periodo di sospensione di sette mesi come concesso dal gip. Correttamente il P.M. ricorrente contesta che si sia realizzata la condizione imposta dalla legge perché si possa dar luogo alla revoca della misura interdittiva. Invero il sistema punitivo della responsabilità da reato degli enti assume un carattere prettamente preventivo, volto a prescegliere sanzioni e misure cautelari funzionali a prevenire per il futuro la commissione dei reati attraverso la strutturazione regolati va dell’organizzazione capace di controllare, da sé, se stessa. Ne consegue che le disposizioni funzionali alla regolarizzazione, attraverso schemi rigorosi, dell’organizzazione dell'ente tali da impedire la reiterazione dei reati,devono essere interpretate con il massimo rigore per poter perseguire la massima efficacia. Il che si traduce nella diretta consegna alle persone danneggiate, nella specie agli enti locali danneggiati dalla attività di corruzione, della somme costitutive del risarcimento del danno prodotto ovvero con modalità che garantiscano la presa materiale della somma risarcita su iniziativa del danneggiato senza la necessità di una ulteriore collaborazione per la traditio dell'ente risarcente. Con argomento a contrario, poi, può rilevarsi che mentre per il profitto funzionale alla confisca la disposizione di legge prescrive la messa a disposizione del danneggiato, per l’integrale risarcimento non impone la medesima modalità di condotta, ma rimarca che la sua prestazione sia efficace, come efficace l’attività tesa al suo adempimento. Ora la previsione nel bilancio della società di un fondo di accantonamento di Euro 120.000 Euro, anche nella forma di riserva indisponibile certificata dal collegio sindacale, non garantisce certo l’ efficacia del risarcimento per le possibili incerte vicende societarie tanto che la somma accantonata, ma rimasta sempre nel possesso materiale e nella disponibilità, pur condizionata, dell'ente, potrebbe, in caso di perdita o di decozione della società, volatizzarsi, ridursi, esemplificando in caso di fallimento, per i concorrenti crediti di altri. In tali casi verrebbe frustrata la volontà della legge che pretende, per la revoca della misura interdittiva, la effettiva, attuale integrale, hic ed nunc, condotta risarcitoria. E nel caso di specie può dirsi di più il risarcimento del danno è misura che, nell’impossibilità, come nel caso di specie di una determinazione ancorata a parametri rigidi, presuppone una condotta comunicativa con il danneggiato il quale potrebbe aderire all’offerta oppure rifiutarla allegando motivazioni non pretestuose ma oggettive e meritevoli di ogni seria considerazione. In proposito l’art. 17 lett. a cit richiede, per non dar luogo o revocare le misure interdittive, non solo che si sia risarcito integralmente il danno, ma che anche si siano eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato e comunque di essersi efficacemente adoperato in tal senso. Il che presuppone gioco forza una determinazione del danno e delle conseguenze non per iniziative unilaterali, ma in virtù di una collaborazione o comunque contatto tra parti contrapposte, tale da doversi ritenere efficace l'essersi adoperato preteso dalla disposizione richiamata. Nel caso di specie la condotta della società è consistita nell’offrire dieci giorni prima della scadenza del tempo di sospensione della misura una somma determinata unilateralmente, senza alcuna possibile interferenza da parte degli enti territoriali danneggiati dalla condotta costitutiva di reato. -7- Ed ancora, portando alle più doverose conseguenze, giuste le indicazione tassative della disposizione più volte sopra richiamata, per l’effettività, ed ancor più per l'integralità del risarcimento e delle condotte funzionali a realizzarlo, occorrerà che, in relazione al reato per cui si procede contro la persona fisica, la società si impegni ad individuare le persone offese e danneggiate dal reato, a prescindere anche dalla costituzione di parte civile nel giudizio se instaurato, nei confronti della persona fisica imputata, ed a risarcirne, ove sussistente, il danno. Ed occorrerà ancora che, in caso di difficile determinazione dello stesso, la società dia prova di essersi adoperata per risarcirlo quanto meno attraverso contatti con gli interessati al risarcimento che possano valere a dimostrare di essa l’effettiva intenzione riparatoria. Ora la responsabilità da reato e stata contestata anche con riferimento al delitto di turbata libertà degli incanti di cui all'art. 353 comma 2 c.p. ne consegue che in relazione a tale tipologia criminosa il privato che assume di essere, anche se non persona offesa che è solo la P.A., danneggiato dal reato, deve quanto meno se individuato, essere destinatario del risarcimento subito e comunque essere contattato dalla società se questa vuole dare prova di essersi adoperata a risarcire integralmente il danno ed a eliminare le conseguenze dannose o pericolose del reato. Alla verifica degli impegni come sopra individuati dovrà dedicarsi il giudice del rinvio. P.Q.M. Annulla il provvedimento impugnato con rinvio al tribunale di Pistoia per nuovo esame.