La responsabilità professionale dell’avvocato può scaturire anche da una scelta processuale che, pur di per se non erronea o controproducente, nondimeno ritardi la realizzazione della scelta del cliente.
Così ha deciso la Cassazione con l’ordinanza numero 18239/17, depositata il 24 luglio. Il caso. Il Tribunale di primo grado ingiungeva l’intimato al pagamento di somme all’avvocato a titolo di compensi per l’attività professionale svolta nel suo interesse. Avverso tale pronuncia l’assistito proponeva Appello, lamentando una violazione dei doveri di diligenza dell’avvocato. I Giudici di secondo grado riconoscevano l’insussistenza di alcun diritto al compenso per l’attività prestata dal legale. Avverso tale sentenza l’avvocato ricorreva in Cassazione. Responsabilità professionale dell’avvocato. Nel caso di specie, la Cassazione rileva la manifesta infondatezza delle doglianze del ricorrente. Infatti, con riguardo alla censura con la quale il ricorrente lamentava che la Corte territoriale avesse erroneamente ritenuto sussistente un difetto di diligenza dello stesso nell’adempimento delle proprie obbligazioni da momento che erano stati conseguiti dall’avvocato tutti i risultati per i quali gli era stato rilasciato il mandato, la Suprema Corte richiama la consolidata giurisprudenza secondo la quale «la responsabilità professionale dell’avvocato può scaturire anche da una scelta processuale che, pur di per se non erronea o controproducente, nondimeno ritardi la realizzazione della scelta del cliente». Nel caso di specie, è stata rilevato un ingiustificato ritardo nella realizzazione degli interessi del ricorrente per l’inescusabile colpa grave del professionista. Per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 15 giugno – 24 luglio 2017, numero 18239 Presidente Amendola – Relatore Dell’Utri Fatto e diritto rilevato che, con sentenza resa in data 25/1/2016, la Corte d’appello di Cagliari, in riforma della decisione del primo giudice, ha accolto l’opposizione proposta da S.M. avverso il decreto con il quale il Tribunale di Cagliari aveva ingiunto allo S. il pagamento, in favore di R.A. , di somme a titolo di compensi per l’attività professionale di avvocato svolta da quest’ultimo nell’interesse dello S. che, a sostegno della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato come il R. avesse gestito le controversie promosse nell’interesse dello S. in violazione dei doveri di diligenza sullo stesso incombenti, con la conseguente insussistenza di alcun diritto al compenso per l’attività prestata, se non limitatamente all’importo largamente inferiore a quello originariamente ingiunto riconosciuto dallo stesso S. che, avverso la sentenza d’appello, R.A. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di due motivi d’impugnazione che S.M. non ha svolto difese in questa sede che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c., il ricorrente ha presentato memoria considerata, preliminarmente, la manifesta infondatezza dell’eccezione di costituzionalità dell’articolo 380-bis c.p.c. nel testo introdotto dal d.l. numero 168 del 2016, conv., con modif., dalla I. numero 197 del 2016 sollevata dal ricorrente con la memoria depositata, condividendo il Collegio quanto sul punto già disposto da questa Corte sulla base di una motivazione da ritenersi in questa sede richiamata e integralmente riproposta cfr. Sez. 6 - 3, Ordinanza numero 395 del 10/01/2017, Rv. 642729 - 01 che, con il primo motivo, il R. censura la sentenza impugnata per violazione dell’articolo 1176 c.c. in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c. , per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto sussistente un difetto di diligenza del ricorrente nell’adempimento delle proprie obbligazioni, avendo lo S. conseguito, ad esito dei giudizi curati dal R. , tutti i risultati per i quali aveva rilasciato mandato a quest’ultimo che la censura è manifestamente infondata che, infatti, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte che il collegio condivide e fa proprio, ritenendo di doverne assicurare continuità , la responsabilità professionale dell’avvocato può scaturire anche da una scelta processuale che, pur di per sé non erronea o controproducente, nondimeno ritardi la realizzazione dell’interesse del cliente Sez. 6 - 3, Ordinanza numero 17506 del 26/07/2010, Rv. 614893 - 01 che, nel caso di specie, la corte territoriale - nel ritenere che l’erroneo mancato coinvolgimento, nel corso del giudizio di primo grado, dell’impresa indicata per il Fondo di garanzia per le vittime della strada con la conseguente impossibilità, per il giudice adito, di pronunciare alcuna condanna, in favore dello S. , per il conseguimento del credito risarcitorio contestualmente accertato , aveva ingiustificatamente ritardato la realizzazione degli interessi dell’avente diritto per l’inescusabile colpa grave del professionista ha accertato la responsabilità contrattuale di quest’ultimo, individuando coerentemente il danno patito dallo S. nell’imposta introduzione del giudizio d’appello al fine di ottenere il titolo necessario al conseguimento di quanto allo stesso spettante che tale decisione deve ritenersi adottata sulla base di una valutazione congruamente motivata sul piano logico e immune da vizi d’indole giuridica che, ciò facendo, la corte d’appello si è correttamente allineata al principio statuito nella giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale, non potendo il professionista garantire l’esito comunque favorevole auspicato dal cliente, il danno derivante da eventuali sue omissioni, in tanto è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato conseguito, secondo un’indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici e giuridici Sez. 2, Sentenza numero 6967 del 27/03/2006, Rv. 587540 - 01 Sez. 3, Sentenza numero 2836 del 26/02/2002, Rv. 552590 - 01 che, con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’articolo 51 numero 4 c.p.c. in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c. , per avere la corte territoriale deciso anche sulla base dell’apporto fornito dalla relatrice dott.ssa A.D. che aveva già deciso, in primo grado, uno dei giudizi introdotti nell’interesse dello S. , senza che detto magistrato avvertisse doverosamente il ricorso di gravi ragioni di convenienza per astenersi dalla partecipazione alla decisione di cui alla sentenza impugnata in questa sede che il motivo è inammissibile che infatti il ricorrente ha limitato la doglianza proposta alla denuncia del preteso errore consistito nella mancata astensione della dott.ssa A. dalla partecipazione al giudizio d’appello peraltro in violazione delle forme previste per il rilievo dei motivi di astensione o ricusazione del giudice , senza provvedere ad alcuna ulteriore articolazione critica nei confronti del ragionamento indicato dalla corte territoriale a fondamento della decisione assunta, in tal modo impedendo l’individuazione, in modo chiaro e univoco, degli eventuali vizi rinvenibili nell’iter logico seguito nella sentenza impugnata, o le premesse dell’eventuale errore di diritto denunciato che la sostanziale inidoneità della doglianza avanzata dal ricorrente a evidenziare il ricorso di alcun possibile vizio della sentenza impugnata vale a escludere la rituale integrazione del requisito di cui all’articolo 366 numero 4 c.p.c., non essendo ravvisabile il ricorso di effettivi motivi d’impugnazione del provvedimento sottoposto a censura che, infatti, in tema di ricorso per cassazione, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo che, in riferimento al ricorso per Cassazione, tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un non motivo , è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’articolo 366 numero 4 c.p.c. Sez. 3, Sentenza numero 359 del 11/01/2005, Rv. 579564 - 01 che, sulla base delle ragioni che precedono, dev’essere disposto il rigetto del ricorso che al rigetto non segue l’adozione di alcun provvedimento in ordine alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità, non avendo lo S. svolto difese in questa sede. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Nulla spese. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1-quater del d.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’articolo 1-bis, dello stesso articolo 13.