Treno in ritardo, niente risarcimento per il pendolare

Respinta definitivamente la richiesta di un docente che utilizzava il convoglio ferroviario per recarsi quotidianamente a scuola. Secondo i Giudici, è mancata la prova definitiva del disagio esistenziale subito dal viaggiatore.

Niente risarcimento per il pendolare vittima dei ripetuti ritardi del convoglio ferroviario che lo porta ogni giorno al lavoro. Manca la prova decisiva che il disagio abbia provocato in concreto un danno esistenziale Cassazione, sez. III Civile, ordinanza numero 16495/17, depositata oggi . Ritardo. Protagonista della battaglia è un docente, che chiede – e ottiene, grazie alla decisione del Giudice di Pace – il «risarcimento dei danni» causatigli da Trenitalia per «i continui ritardi del treno da lui utilizzato sulla tratta Genova-Brignole-Milano per raggiungere il posto di lavoro». La cifra è ovviamente minima, appena 600 euro, eppure ritenuta sufficiente per dare soddisfazione al professore e compensare «i ripetuti ritardi» di cui è stato vittima, assieme ad altri pendolari. Di parere opposto, invece, i Giudici del Tribunale, che, accogliendo l’appello di Trenitalia, negano il «risarcimento» a favore del docente. Ciò perché considerano non provato il «danno esistenziale da ritardo» lamentato dall’uomo, essendo «limitatissimo il danno da lui denunciato». Danno. A chiudere la vicenda sono ora i Giudici della Cassazione, che confermano la decisione presa in Tribunale. Di conseguenza, il docente può dire addio definitivamente all’ipotesi di un ristoro economico per il disagio vissuto a causa dei ritardi del treno da lui preso quotidianamente per recarsi a scuola. Secondo i Magistrati del Palazzaccio è corretto affermare che «non vi è stata una concreta dimostrazione del danno esistenziale» o di «danno correlato al ritardo». Senza dimenticare, poi, che «nessun testimone ha riferito di particolari condizioni di stress, ansia e disagio psico-fisico» vissute dal docente. Vittoria definitiva, quindi, per Trenitalia, che evita di dover versare al professore pendolare i 600 euro stabiliti dal Giudice di pace.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 21 aprile – 5 luglio 2017, numero 16495 Presidente Spirito – Relatore Pellecchia Fatti di causa 1. Nel novembre 2008 il prof. Ma. convenne in giudizio Trenitalia s.p.a. per sentirla condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dall'istante, a causa dei continui ritardi del treno da questi utilizzato quotidianamente per raggiungere il posto di lavoro. Il Giudice di Pace di Genova con sentenza numero 1305 del 2011 condannò Trenitalia al risarcimento del danno equitativamente quantificato in Euro 600 per i ripetuti ritardi subiti dal prof. Ma., nel periodo di validità del proprio abbonamento annuale, per la tratta Genova-Brignole Milano. 2. Proponeva appello Trenitalia s.p.a. chiedendo l'integrale riforma della sentenza resa in primo grado lamentando, con tre motivi di doglianza, l'errata qualificazione del rapporto intercorrente tra il Ma. e Trenitalia non come contratto di trasporto bensì come contratto di servizio e, di conseguenza la differente disciplina applicabile in materia di responsabilità l'applicabilità degli standard di puntualità previsti nell'accordo di servizio concluso tra la Trenitalia e la Regione l'erroneo riconoscimento di un danno esistenziale. Il Tribunale di Genova, con la sentenza numero 4164 del 31 dicembre 2013, ha riformato la decisione escludendo il danno esistenziale da ritardo riconosciuto al Ma. dal giudice di prime cure, in quanto non suffragato dagli elementi probatori circa l'an del lamentato pregiudizio, non ritenendosi soddisfacenti le dichiarazioni pervenute dai testimoni di parte ed essendo limitatissimo il danno denunciato dall'attore. Aggiungeva inoltre, del tutto ultroneamente, che in ogni caso la disciplina applicabile al rapporto intercorso tra il Ma. e la Trenitalia, lo si intenda qualificare come contratto diretto o anche come contratto di servizio ferroviario, andava comunque rinvenuta nelle norme contenute al Regio Decreto Legge numero 1948 del 1934. 3. Avverso tale pronunzia Ma. Mi. propone ricorso in Cassazione con due motivi. 3.1. Resiste con controricorso illustrato da memoria Trenitalia S.p.a 4. Il collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata. Ragioni della decisione 5.1. Con il primo motivo articolato in più censure il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 116 c.p.c. in relazione all'articolo 132 c.p.c. Si duole che il giudice dell'appello nella sentenza impugnata ha immotivatamente escluso l'inadempimento di Trenitalia ed ha ritenuto che il danno non patrimoniale non sarebbe stato provato. Secondo il Ma. il giudice dell'appello avrebbe errato perché il danno di cui si chiede il risarcimento è un danno in re ipsa modifica delle abitudini di vita, stress e disagio quotidiano . Il ricorrente ha chiesto di riconoscere un valore risarcitorio al disagio insito nel ritardo giornaliero che lo costringe a prendere ogni mattina il treno precedente, perché altrimenti arriverebbe in ritardo alle lezioni che è chiamato a svolgere. Lamenta che la prova che il giudice ritiene non fornita sarebbe stata necessaria se avesse patito un esaurimento nervoso. 5.2. Con il secondo motivo deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia violazione e falsa applicazione del Regio Decreto 11 ottobre numero 1948 del 1934 in relazione all'articolo 1680 c.c Il giudice dell'appello avrebbe errato perché oltre ad aver riformato una sentenza astrattamente inimpugnabile in quanto decisa sulla base dell'equità, oltre ad aver considerato carente una prova invece del tutto esistente e fornita, si è spinto a sostenere che in ogni caso la fattispecie, in quanto regolata dal regio decreto 11 ottobre 1934 numero 1948, non avrebbe potuto essere oggetto di una 'tradizionale' domanda di risarcimento. I due motivi possono essere congiuntamente esaminati e sono entrambi inammissibili. Il ricorso non scalfisce i due accertamenti relativi all'esistenza dell'illecito e del danno su cui si fonda la sentenza impugnata. Infatti il giudice dell'appello ha ritenuto che nel caso concreto non c'è stata una dimostrazione del danno esistenziale, nessun testimone ha riferito di particolari condizioni di stress, ansia, disagio psicofisico del Ma Né di alcun danno correlato ritardo. Neanche si è raggiunta la prova di ritardi gravi e ripetuti nel periodo in cui viaggiava l'attore. Né, tantomeno, risulta fornita la prova di alcun danno patrimoniale subito dal ricorrente. Tutte le altre considerazioni sono superflue perché si confrontano con un obiter della sentenza. Il Giudice dell'Appello evidenzia infatti che del tutto ultroneamente anche sotto questo profilo la sentenza in realtà sarebbe erronea, perché non ha applicato la disciplina del Regio Decreto. Peraltro la mancata prova in fatto esclude la necessità di approfondire gli aspetti giuridici sopra indicati come essi meriterebbero . E' chiaro come la decisione finale non sia stata condizionata affatto dalla disciplina puntualizzata dall'Organo giudicante, quanto piuttosto ed in via principale dalla mancanza di prove circa il danno non patrimoniale lamentato, non risarcibile ex se ma, come già ampiamente sottolineato, quale conseguenza pregiudizievole dell'interesse leso. Occorre in ogni caso chiarire che, in materia di responsabilità dall'amministrazione ferroviaria, il danno alla persona del viaggiatore da ritardi o interruzioni è risarcibile, in deroga all'articolo 1681 c.c. ed in forza di quanto previsto dall'articolo 1680 c.c., alle condizioni stabilite dall'articolo 11 del R.d.l. numero 1948 del 1934, convertito nella legge numero 911 del 1935, norma tuttora applicabile. Ne consegue che il risarcimento del danno derivato al viaggiatore dal ritardo, dalla soppressione del treno, dalla mancata coincidenza o da interruzioni del servizio, deve avvenire alle condizioni prescritte agli articolo 9 e 10 del medesimo R.d.l. ossia, avvalendosi di un treno successivo per effettuare o proseguire il viaggio oppure rimborsando il prezzo corrisposto. Cass. numero 9312/2015 Cass. numero 2608/1980 6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. P.Q.M. la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del d.P.R. numero 115 del 2002, inserito dall'articolo 1, comma 17 della 1. numero 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato articolo