Da verificare se il mancato sostegno economico si sia verificato durante il periodo trascorso dietro le sbarre. Necessario anche capire se l’uomo abbia comunque provato ad ottenere un lavoro all’interno della struttura penitenziaria.
Diversi anni senza dare un euro alla moglie e ai figli. Logico pensare a una condanna per l’uomo venuto meno al proprio ruolo di capofamiglia. A salvarlo, però, può essere la sua posizione di detenuto. A patto che il periodo trascorso dietro le sbarre sia coinciso con quello del mancato sostegno economico alla coniuge e alla prole, e che durante quel periodo egli non sia riuscito a trovare una fonte di reddito, ossia un lavoro in carcere Cassazione, sentenza numero 2381, sez. VI Penale, depositata il 19 gennaio 2018 . La detenzione. Linea di pensiero comune per i giudici del Tribunale e per quelli della Corte d’Appello l’uomo sotto accusa viene ritenuto responsabile del reato di «violazione degli obblighi di assistenza familiare» e viene perciò condannato a «due mesi di reclusione e 200 euro di multa». Nessun dubbio sulla condotta contestata è emerso difatti che egli non ha versato per anni alla moglie «l’assegno mensile di 600 euro» fissato dal giudice civile nel procedimento di separazione. Il difensore dell’uomo sottolinea però in Cassazione un dettaglio che a suo parere è fondamentale e che i giudici di merito hanno trascurato lo «stato di detenzione» subito dal suo cliente per anni. Questo elemento, spiega il legale, avrebbe dovuto far parlare di «incolpevole impossibilità di adempiere agli obblighi familiari». Il lavoro. Per i magistrati del ‘Palazzaccio’ l’obiezione difensiva non è affatto peregrina, anche se va analizzata in dettaglio. In premessa viene chiarito che è plausibile ritenere che «lo stato di detenzione costituisce un limite alla rilevanza penale dell’inadempimento della prestazione dei mezzi di sussistenza», però «quando coincide con il periodo dei mancati versamenti» e, aggiungono i giudici, a patto che «l’obbligato non abbia percepito comunque redditi e non si sia attivato per procurarsi legittimamente dei proventi, in particolare mediante il lavoro all’interno o all’esterno del luogo di detenzione». Su quest’ultimo aspetto, poi, i magistrati spiegano che l’uomo costretto in carcere «non può reputarsi automaticamente colpevole per il mancato svolgimento di attività lavorativa in costanza del periodo di detenzione», poiché «l’ammissione al lavoro nella struttura penitenziaria, e ancor più all’esterno di essa, non è certo un diritto soggettivo incondizionato, ma è oggetto di concessione da parte dell’Amministrazione, all’esito di articolate valutazioni e sempre che ve ne sia la concreta possibilità fattuale», come conferma la legge, che prevede «la formazione di apposite graduatorie». L’onere di presentazione della domanda. In conclusione, «per non rispondere penalmente dell’inadempimento della prestazione dei mezzi di sussistenza», l’uomo in carcere ha l’onere «di presentare domanda all’Amministrazione penitenziaria per essere ammesso al lavoro», e solo se la richiesta non viene accolta, «non gli potrà essere addebitata la mancata percezione di guadagni». Applicando questa visione alla vicenda in esame, è necessario un nuovo giudizio in Corte d’Appello per stabilire «se il periodo di detenzione dell’uomo sia stato, o meno, coincidente con il periodo di inadempimento dell’obbligo» e poi per appurare «se durante il periodo di detenzione l’uomo abbia colpevolmente omesso di attivarsi per svolgere un lavoro».
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 15 dicembre 2017 – 19 gennaio 2018, numero 2381 Presidente Ippolito – Relatore Corbo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 31 maggio 2016, la Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza pronunciata in primo grado dal Tribunale di Benevento che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato L.M. per il delitto di cui agli articolo 570, secondo comma, numero 2, cod. penumero , per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori non versando l’assegno mensile di Euro 600,00, fissato dal giudice civile nel provvedimento di separazione, con condotta perdurante dal maggio 2008 la sentenza di primo grado è datata 1 giugno 2011 , e gli aveva irrogato la pena di due mesi di reclusione e 200,00 Euro di multa, previa applicazione della diminuente per il rito, ma con diniego delle circostanze attenuanti generiche. 2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe l’avvocato Nazareno Fiorenza, quale difensore di fiducia di L.M. , formulando un unico motivo, con il quale si lamenta violazione di legge, in riferimento all’articolo 570 cod. penumero , nonché vizio di motivazione, a norma dell’articolo 606, comma 1, lett. e , cod. proc. penumero , avendo riguardo alla configurabilità del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, in considerazione dello stato di detenzione dell’imputato al momento dell’inadempimento. Si deduce che lo stato di detenzione integra una situazione di incolpevole impossibilità di adempiere agli obblighi familiari, quanto meno sotto il profilo dell’elemento soggettivo si cita, a sostegno, Sez. 6, numero 4960 del 03/02/2016 . Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei limiti e per le ragioni di seguito precisati. 2. Presupposto per la violazione dell’obbligo di assistenza familiare, con riguardo al profilo dell’omessa prestazione dei mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, è la possibilità di adempiere. Tuttavia, non osta alla configurabilità del reato in questione una situazione di indisponibilità economica colpevolmente determinata e perdurante nel periodo in cui si verifica l’inadempimento significativamente, in giurisprudenza tende ad escludersi, in linea di principio, l’efficacia esimente sia dello stato di disoccupazione cfr. tra le altre, Sez. 6, numero 5751 del 14/12/2010, dep. 2011, P., Rv. 249339, e Sez. 6, numero 10085 del 15/02/2005, Pegno, Rv. 231453 , salvo a valutare la concreta situazione Sez. 6, numero 7372 del 29/01/2013, S., Rv. 254515 , sia, più in generale, della indisponibilità dei mezzi necessari, quando questa sia dovuta, anche parzialmente, a colpa dell’obbligato Sez. 6, numero 11696 del 03/03/2011, F., Rv. 249655 . Inoltre, come precisano alcune decisioni, l‘indisponibilità da parte dell’obbligato dei mezzi economici necessari ad adempiere si configura come scriminante soltanto se perdura per tutto il periodo di tempo in cui sono maturate le inadempienze e non è dovuta, anche solo parzialmente, a colpa dell’obbligato così, in particolare, Sez. 6, numero 41697 del 15/09/2016, B., Rv. 268301, relativa ad un obbligato che aveva addotto come causa di impossibilità lo stato detentivo, protrattosi per pochi mesi rispetto ad un periodo di inadempimento perdurato per oltre cinque anni . In questa prospettiva, risulta plausibile ritenere che lo stato di detenzione costituisce un limite alla rilevanza penale dell’inadempimento della prestazione dei mezzi di sussistenza quando coincide con il periodo dei mancati versamenti, sempre che l’obbligato non abbia percepito comunque redditi e non si sia attivato per procurarsi legittimamente dei proventi, in particolare mediante il lavoro all’interno o all’esterno del luogo di detenzione. In altri termini, l’obbligato non può reputarsi automaticamente colpevole per il mancato svolgimento di attività lavorativa in costanza del periodo di detenzione l’ammissione al lavoro nella struttura penitenziaria, e ancor più all’esterno di essa, non è certo un diritto soggettivo incondizionato, ma è oggetto di concessione da parte dell’Amministrazione, all’esito di articolate valutazioni e sempre che ve ne sia la concreta possibilità fattuale, come conferma anche l’articolo 20 della legge 26 luglio 1975, numero 354, il quale prevede la formazione di apposite graduatorie. È ragionevole, quindi, concludere che, per non rispondere penalmente dell’inadempimento della prestazione dei mezzi di sussistenza, l’obbligato in stato di detenzione abbia l’onere di presentare domanda all’amministrazione penitenziaria per essere ammesso al lavoro se, poi, la richiesta non è accolta, non potrà essere addebitata allo stesso la mancata percezione di guadagni. 3. La decisione di secondo grado evidenzia innanzitutto che il ricorrente non ha mai versato alcunché alla moglie ed alle figlie minori dall’8 maggio 2008, data di emissione dell’ordinanza con cui il giudice civile aveva imposto all’uomo di corrispondere un assegno mensile pari a 600,00 Euro, fino giugno 2011, data di pronuncia della sentenza penale di primo grado. Osserva, poi, muovendo dalla premessa secondo cui l’impossibilità di somministrazione dei mezzi di sussistenza deve essere incolpevole, che il lungo periodo di carcerazione sofferto non limita la responsabilità dell’imputato, in quanto lo stesso anche durante il regime di detenzione inframuraria ben avrebbe potuto svolgere attività lavorativa all’interno della struttura, effettuando almeno versamenti parziali della somma cui era tenuto . Così argomentando, la Corte d’appello addebita al ricorrente la responsabilità per il reato di cui all’articolo 570, secondo comma, numero 2, cod. penumero , per avere il medesimo omesso di svolgere attività lavorativa all’interno della struttura carceraria, senza però verificare se questa circostanza sia il risultato di un’inerzia colpevole, o, invece, di una impossibilità per cause estranee alla volontà dell’imputato. Di conseguenza, la Corte di merito, muovendo dalla petizione di principio secondo cui il mancato svolgimento di attività lavorativa in carcere è di per sé addebitabile alla colpevole inerzia del detenuto, illegittimamente ha ritenuto colpevole anche l‘indisponibilità, da parte del ricorrente, del denaro necessario per prestare, almeno in parte, i necessari mezzi di sussistenza ai discendenti ed al coniuge. 4. La sentenza impugnata deve essere quindi annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli per nuovo giudizio. Il nuovo giudizio dovrà esaminare, innanzitutto, se il periodo di detenzione del ricorrente sia stato, o meno, coincidente con il periodo di inadempimento dell’obbligo di prestazione di assistenza in contestazione, e, poi, in caso di sovrapponibilità piena o significativamente prevalente tra gli stessi, se, durante il periodo di detenzione, l’imputato abbia colpevolmente omesso di attivarsi per svolgere un lavoro, o, invece, la mancata esecuzione di attività lavorativa sia stata determinata da cause al medesimo non imputabili. In ogni caso, inoltre, il giudice del rinvio provvederà a verificare se risulti che il ricorrente, nel periodo in contestazione, abbia fruito di altri redditi. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli.