In tema di previdenza integrativa aziendale, le maggiori competenze spettanti in seguito allo svolgimento di fatto di mansioni superiori non possono essere considerate utili e, dunque, non vanno assoggettate a contribuzione.
Sul punto la Corte di Cassazione con ordinanza numero 13536/19, depositata il 20 maggio. La vicenda. Un ex dirigente INPS conveniva in giudizio l’Istituto per chiedere che venisse accertato il proprio diritto, dalla data di collocamento a riposo, alla riliquidazione del trattamento integrativo di pensione a carico del Fondo di previdenza del personale INPS con l’aggiunta delle voci retributive utili da dirigente. Per la cassazione della sentenza emessa successivamente dalla Corte territoriale, l’INPS propone ricorso in Cassazione. Il trattamento previdenziale dei dipendenti INPS. Secondo la difesa dell’INPS per retribuzione utile ai fini del calcolo delle prestazioni erogate dal Fondo INPS di previdenza integrativa doveva ritenersi solo lo stipendio lordo, eventuali assegni personali e altre competenze a carattere fisso e continuativo. Al riguardo la Suprema Corte ribadisce che in tema di previdenza integrativa aziendale, nonostante il regolamento per il trattamento previdenziale del personale INPS preveda che le pensioni a carico del Fondo in corso di godimento siano riliquidate assumendo come base la nuova retribuzione prevista per la qualifica e la posizione in cui il soggetto si trovava all’atto di fine servizio, le maggiori competenze spettanti in seguito allo svolgimento di fatto di mansioni superiori non possono essere considerate utili e, dunque, non vanno assoggettate a contribuzione. Inoltre, in tema di base di calcolo della pensione integrativa dei dipendenti INPS, ai fini della computabilità nella pensione integrativa già erogata dal Fondo dell’ente è sufficiente che le voci retributive siano fisse e continuative. Sulla base di tali principi richiamati dalla giurisprudenza di legittimità il Supremo Collegio accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 21 marzo – 20 maggio 2019, numero 13536 Presidente D’Antonio – Relatore Fernandes Rilevato in fatto che 1. P.V. - premesso che, con sentenze del Tribunale di Roma numero 4541/2004 del 5 marzo 2004 e della Corte d’appello di Roma numero 6264 del 30 novembre 2006, l’INPS era stato condannato al pagamento in favore di esso istante delle differenze retributive per le funzioni dirigenziali svolte nel periodo dal 1.8.1998 al 7.1.2011 oltre accessori - conveniva in giudizio innanzi al Tribunale capitolino l’istituto chiedendo che venisse accertato il proprio diritto, dalla data di collocamento a riposo, alla riliquidazione del trattamento integrativo di pensione a carico del Fondo di Previdenza del personale INPS includendo, nella base di computo per il calcolo della prestazione, anche le voci retributive utili da dirigente ovvero le differenze retributive relative alla superiore posizione dirigenziale , riconosciute dalle predette sentenze nnumero 4541/2004 ‘e 6264/2006 nel ricorso venivano specificamente quantificate le somme richieste 2. l’adito giudice rigettava la domanda e tale decisione, sul gravame proposto dal P. , con sentenza del 7 dicembre 2012, veniva riformata dalla Corte d’appello di Roma che condannava l’INPS al pagamento in favore dell’appellante della somma di Euro 35.082,69 a titolo di differenze tra il trattamento di previdenza a carico del Fondo di Previdenza del personale INPS corrisposto e quello spettante calcolato sulla base delle voci retributive pensionabili di cui alla menzionate sentenze nnumero 4541/2004 e 6264/2006 3. ad avviso della Corte territoriale dalla lettura delle disposizioni di cui agli articolo 5, 27 e 33 del Regolamento del Fondo di previdenza integrativa e stante la piena operatività anche nel settore del lavoro pubblico dei principi costituzionali di proporzionalità ed efficienza della retribuzione espressi dall’articolo 36 Cost., le maggiori competenze spettanti in seguito allo svolgimento di fatto di mansioni superiori dovevano essere considerate come componenti fisse dello stipendio e, dunque, diversamente da quanto opinato dal primo giudice, erano utili ai fini della previdenza integrativa aziendale 4. per la cassazione di tale decisione propone ricorso l’INPS affidato a tre motivi cui resiste con controricorso il P. illustrato da memoria ex articolo 380 bis c.p.c Considerato in diritto che 5. con i tre motivi di ricorso l’INPS denuncia la violazione e falsa applicazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 degli articolo 5, 21, 27 e 33 del Regolamento per il trattamento di previdenza e di quiescenza del personale INPS primo motivo del D.Lgs. 30 marzo 2001, numero 165, articolo 52, secondo motivo della L. 17 maggio 1999, numero 144, articolo 64, terzo motivo . La difesa dell’Istituto evidenzia che, ai sensi dell’articolo 5 del Regolamento del Fondo interno, per retribuzione utile ai fini del calcolo delle prestazioni erogate dal Fondo INPS di previdenza integrativa, doveva intendersi unicamente lo stipendio lordo, eventuali assegni personali ed altre competenze a carattere fisso e continuativo che l’espressione stipendio, ai sensi dell’articolo 5 Regolamento, definiva solo quella parte della retribuzione complessiva collegata alla qualifica stipendio tabellare ed all’anzianità effettivamente possedute costituenti l’intoccabile trattamento fondamentale , senza comprendere tutte le indennità ed i compensi corrisposti a titolo di trattamento accessorio che le differenze retributive per mansioni superiori non erano emolumenti collegati alla qualifica di appartenenza ed all’anzianità ma erano voci retributive autonome, collegate alla effettività ed alla durata della prestazione, di fatto, di determinate mansioni superiori. Pertanto tali voci non potevano rientrare nel concetto di retribuzione pensionabile ai sensi degli articolo 5 e 21 che faceva riferimento alla retribuzione propria della qualifica di effettivo inquadramento rivestita dal dipendente alla cessazione del rapporto, nel caso de quo il P. , dopo il 7 novembre 2001 non aveva più svolto le mansioni superiori , 27 che richiamava la retribuzione spettante da individuarsi con i criteri di cui all’articolo 5 . e con riferimento alla qualifica di appartenenza e 33. Inoltre, risultava illegittimamente ampliata la portata del D.Lgs. numero 165 del 2001, articolo 52, aspetto questo del tutto pretermesso dalla Corte territoriale che, in pratica, era giunta a riconoscere in via definitiva la qualifica superiore dirigenziale e la relativa retribuzione. Infine, la Corte d’appello aveva considerato nel ricalcolo, errando, anche le differenze retributive per mansioni superiori anche per il periodo successivo alla soppressione del Fondo avvenuta a decorrere dal 1 ottobre 1999 ad opera della L. numero 144 del 1999, articolo 64, comma 2 6. i tre motivi, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono fondati. La questione posta dal ricorso dell’istituto è già stata esaminata da questa Corte Cass. numero 8081 del 21 aprile 2016 Cass. numero 10378 del 20 maggio 2015 Cass. numero 19296 del 14 luglio 2008 che ha affermato che in tema di previdenza integrativa aziendale, benché il regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza del personale impiegatizio dell’INPS - che costituisce atto di normazione secondaria ed è pertanto interpretabile direttamente dalla Corte di cassazione - preveda che le pensioni a carico del Fondo in corso di godimento siano riliquidate assumendo come base la nuova retribuzione prevista per la qualifica e la posizione in cui l’impiegato si trovava all’atto della cessazione dal servizio, le maggiori competenze spettanti in seguito allo svolgimento di fatto di mansioni superiori in quanto emolumenti non fissi né continuativi non possono essere considerate utili e, di conseguenza, non vanno assoggettate a contribuzione. Tanto anche sulla scorta di quanto affermato dalle sezioni unite Cass., sez. unumero , 25 marzo 2010, numero 7154 secondo cui, in tema di base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici del c.d. parastato, la L. 20 marzo 1975, numero 70, articolo 13, di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro del relativo personale, detta una disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto rimasta in vigore, pur dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, per i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995 che non abbiano optato per il trattamento di fine rapporto di cui all’articolo 2120 c.c. , non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un’indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, lasciando all’autonomia regolamentare dei singoli enti solo l’eventuale disciplina della facoltà per il dipendente di riscattare, a totale suo carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio. Il riferimento quale base di calcolo allo stipendio complessivo annuo ha valenza tecnico-giuridica, sicché deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari nella specie, l’indennità di funzione della L. numero 88 del 1989, ex articolo 15, comma 2, il salario di professionalità o assegno di garanzia retribuzione e l’indennità particolari compiti di vigilanza per i dipendenti dell’INPS e devono ritenersi, abrogate o illegittime, e comunque non applicabili, le disposizioni di regolamenti come quello dell’Inps, prevedenti, ai fini del trattamento di fine rapporto o di quiescenza comunque denominato, il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo . Ed hanno ribadito, in particolare, che in tema di base di calcolo della pensione integrativa dei dipendenti dell’INPS, ai sensi dell’articolo 5 del Regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza dell’ente, adottato con Delib. 12 giugno 1970 e successivamente modificato con Delib. 30 aprile 1982, ai fini della computabilità nella pensione integrativa già erogata dal fondo istituito dall’ente e ancora transitoriamente prevista a favore dei soggetti già iscritti al fondo, nei limiti dettati dalla L. 17 maggio 1999, numero 144 è sufficiente che le voci retributive siano fisse e continuative, dovendosi escludere la necessità di una apposita deliberazione che ne disponga l’espressa inclusione. Non osta che l’elemento retributivo sia attribuito in relazione allo svolgimento di determinate funzioni o mansioni, anche se queste, e la relativa indennità, possano in futuro venire meno, mentre non può ritenersi fisso e continuativo un compenso la cui erogazione sia collegata ad eventi specifici di durata predeterminata oppure sia condizionata al raggiungimento di taluni risultati e quindi sia intrinsecamente incerto . Ed anche successivamente le sezioni unite sono nuovamente intervenute Cass., sez. unumero , 14 maggio 2014, numero 10413 in generale affermando che nel regime dell’indennità di buonuscita spettante, ai sensi del D.P.R. 29 dicembre 1973, numero 1032, articolo 3 e 38 al pubblico dipendente, che non abbia conseguito la qualifica di dirigente e che sia cessato dal servizio nell’esercizio di mansioni superiori in ragione dell’affidamento di un incarico dirigenziale temporaneo di reggenza ai sensi del D.Lgs. numero 165 del 2001, articolo 52, nella base di calcolo dell’indennità va considerato lo stipendio relativo alla qualifica di appartenenza e non quello corrisposto per il temporaneo esercizio delle superiori mansioni di dirigente 7. pertanto, il ricorso va accolto, l’impugnata sentenza cassata con decisione nel merito - ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto - con il rigetto dell’originaria domanda 8. le spese dei gradi di merito considerato il loro diverso esito vanno compensate tra le parti quelle relative al presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore dell’INPS come da dispositivo. P.Q.M. La Corte, accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda compensa tra le parti le spese-di lite relativamente ai gradi di merito condanna P.V. alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.