Il divieto di restituzione fissato dall’articolo 324, comma 7, c.p.p. trova applicazione anche al di fuori del procedimento di riesame, non potendo i beni di cui all’articolo 240, comma 2, c.p. rientrare nella disponibilità di colui che vanti su di essi un diritto reale o un potere di fatto perché oggetto della misura di sicurezza obbligatoria.
Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza numero 12405/20, depositata il 17 aprile. Il fatto. Il Tribunale di Foggia confermava il decreto con cui il PM aveva rigettato la richiesta del liquidatore di una s.r.l. di restituzione dei beni attinti da sequestro probatorio, richiesta presentata in qualità di soggetto terzo rispetto al reato di sottrazione al pagamento delle accise contestato all’indagato. Secondo il Tribunale, l’assoggettabilità dei beni gasolio ad uso agricolo e cisterne interrate di contenimento, colonnina con pistola erogratrice e botola con leve dei due quadri elettrici a confisca obbligatoria precludeva l’accoglimento della richiesta non potendo l’esaurimento delle finalità istruttorie pregiudicare l’attuazione della misura. La decisione è stata impugnata con ricorso per cassazione. Divieto di restituzione. Il Collegio richiama l’arresto giurisprudenziale con cui le Sezioni Unite numero 40847/19 hanno affermato che il divieto di restituzione previsto dall’articolo 324, comma 7, c.p.p. per i beni soggetti a confisca obbligatoria opera non solo in caso di sequestro preventivo, ma anche in caso di annullamento del decreto di sequestro probatorio. I beni attinti dalla misura non possono dunque in nessun caso essere restituiti all’interessato nemmeno dopo che siano cessate le esigenze probatorie per le quali era stato disposto il sequestro. Fermo restando tale principio, la Corte sottolinea che l’affermazione richiamata riguarda solo le cose soggette a confisca obbligatoria ex articolo 240, comma 2, c.p., restando escluse quelle soggette a confisca obbligatoria ai sensi di previsioni speciali salvo che esse richiamino la norma citata o comunque si riferiscano al prezzo del reato o a cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato. Sorge dunque la necessità di valutare se tale divieto sia operante nella specifica ipotesi in esame riconducibile alla confisca obbligatoria ex articolo 44 d.lgs. numero 504/1995. Analizzando le disposizioni del Testo Unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, la Corte sottolinea che «malgrado la finalità immanente al sequestro probatorio di mantenere immutate le caratteristiche dei beni attinti per il tempo necessario all’accertamento dei fatti, la disposizione di cui all’articolo 324, comma 7, c.p.p. prevale comunque sulle esigenze latu sensu istruttorie» in virtù della ratio della norma di impedire che l’autore dell’illecito possa rientrare in possesso della cosa e commettere nuovamente il reato. Di conseguenza «il divieto di restituzione fissato dall’articolo 324, comma 7, c.p.p. deve trovare applicazione anche al di fuori del procedimento di riesame, pur in mancanza di una espressa previsione in tal senso, non potendo i beni di cui all’articolo 240, comma 2, c.p. rientrare nella disponibilità di colui che vanti su di essi un diritto reale o un potere di fatto perché oggetto della misura di sicurezza obbligatoria, in conseguenza della loro particolare natura». Per questi motivi, il ricorso viene rigettato.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 dicembre 2019 – 17 aprile 2020, numero 12405 Presidente Ramacci – Relatore Galterio Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 19.9.2018 il Tribunale di Foggia ha confermato il decreto del Pubblico Ministero che aveva rigettato la richiesta svolta dal liquidatore della Carburo s.r.l. in liquidazione, soggetto terzo rispetto al sequestro probatorio disposto a carico di C.A. , indagato per il reato di cui al D.Lgs. numero 504 del 1995, articolo 40, comma 1, lett. b , per sottrazione al pagamento delle accise, di restituzione dei beni attinti dalla misura, ovverosia del gasolio ad uso agricolo e di sette cisterne interrate che lo contenevano, oltre alla colonnina con pistola erogatrice ed alla botola con leve dei due quadri elettrici. Il Tribunale ha ritenuto che l’assoggettabilità di detti beni a confisca obbligatoria precludesse, trattandosi di un principio generale applicabile non solo in sede di riesame ma altresì nell’ambito del procedimento ex articolo 263 c.p.p., l’accoglimento della richiesta non potendo l’esaurimento delle finalità istruttorie ed il conseguente venir meno del vincolo di indisponibilità sulla res pregiudicare l’attuazione della misura di sicurezza. 2. Avverso il suddetto provvedimento la società istante ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando un unico motivo con il quale contesta in primo luogo la mancanza di motivazione sulla persistenza di esigenze probatorie che giustificassero il mantenimento del vincolo. Deduce in ogni caso il vizio di violazione di legge riferito agli articolo 262 e 263 c.p.p., e articolo 324 c.p.p., comma 7, sul rilievo che, essendo venute meno le specifiche esigenze probatorie che giustificavano l’apposizione del vincolo per essere state accertate dai finanzieri, sulla base del bilancio societario, anch’esso oggetto di sequestro, deficienze di carburante inferiori alla soglia di rilevanza penale ed occorrendo comunque procedere in concreto alla liquidazione della società, nessuna rilevanza può spiegare nel caso di specie la natura obbligatoria della confisca D.Lgs. numero 504 del 1995, ex articolo 44, in assenza di un provvedimento di sequestro preventivo. Invoca al riguardo la sentenza di questa Corte numero 58050/2017, secondo la quale è inapplicabile al sequestro probatorio la disposizione dettata dall’articolo 324 c.p.p., comma 7 per il sequestro preventivo, richiamata dall’articolo 355 c.p.p., solo in quanto compatibile atteso che la disposizione suddetta prevede il mantenimento della confisca obbligatoria nell’ipotesi di revoca del sequestro preventivo. Considerato in diritto La contestazione preliminare devoluta con il presente ricorso relativa all’assunta cessazione delle esigenze probatorie sottese alla misura in esame di cui peraltro si lamenta l’omessa pronuncia da parte del Tribunale, deve ritenersi definitivamente superata dalla recente sentenza pronunciata dalle Sezioni Unite che, nel dipanare il contrasto insorto in seno a questa Corte sul quale fanno leva le stesse successive doglianze difensive, ha definitivamente chiarito che il divieto di restituzione previsto dall’articolo 324 c.p.p., comma 7, per i beni soggetti a confisca obbligatoria opera, oltre che con riguardo al sequestro preventivo, anche in caso di annullamento del decreto di sequestro probatorio Sez. U, numero 40847 del 30/05/2019 - dep. 04/10/2019, BELLUCCI MARIO, Rv. 276690 . Deriva infatti dal suddetto principio, che questo Collegio in conformità all’orientamento in precedenza già affermato dalla Sezione intende ribadire, che i beni attinti dalla misura non possano in nessun caso essere restituiti all’interessato neppure quando siano venute meno le esigenze probatorie per le quali sia stato disposto il sequestro con finalità di ricerca della prova. Dal momento tuttavia che la stessa pronuncia citata afferma l’ulteriore principio secondo cui il divieto in questione riguarda soltanto le cose soggette a confisca obbligatoria ai sensi dell’articolo 240 c.p., comma 2, restando escluse quelle soggette a confisca obbligatoria ai sensi di previsioni speciali, salvo che tali previsioni richiamino il predetto articolo 240 c.p., comma 2 o, comunque, si riferiscano al prezzo del reato o a cose la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato, si tratta di valutare se tale divieto sia operante nella specifica ipotesi di confisca obbligatoria disposta ai sensi del D.Lgs. numero 504 del 1995, articolo 44, costituente norma speciale rispetto alla previsione generale contenuta nell’articolo 240 c.p., comma 2. Secondo quanto previsto dal D.Lgs. numero 504 del 1995, articolo 44, anche a seguito delle modifiche apportate dal D.L. 26 ottobre 2019, numero 124 i prodotti, le materie prime ed i mezzi comunque utilizzati per commettere le violazioni di cui agli articolo 40, 41 e 43 sono soggetti a confisca secondo le disposizioni legislative vigenti in materia doganale . L’equivocità ingenerata dal termine prodotti con la formulazione dell’articolo 240 c.p., comma 1 che disciplina la confisca facoltativa, avente ad oggetto le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e le cose che ne sono il prodotto o il profitto è, a ben guardare soltanto apparente, risultando ad un’attenta lettura che il termine impiegato dal legislatore del Testo Unico in materia di imposte sulla produzione e sui consumi non si riferisce al prodotto del reato, inteso come il risultato empirico dell’attività delittuosa, cioè le cose create, trasformate, adulterate o acquisite mediante il reato, e dunque, in altri termini il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita Sez. U, numero 9149 del 03/07/1996 - dep. 17/10/1996, Chabni, Rv. 205707 , ma è invece riferito al termine secondo l’accezione lessicale corrente, come attesta lo stesso uso del plurale, ovverosia ai prodotti petroliferi sottoposti ad accisa. Il gasolio agricolo agevolato destinato ad uso diverso da quello consentito, oggetto del disposto sequestro, fuoriesce pertanto dall’ambito della confisca facoltativa e rientra invece in quella obbligatoria tra i beni il cui uso costituisce reato , ricompresi nella disciplina di cui all’articolo 240 c.p., comma 2, numero 2 Sez. 3, numero 40532 del 12/10/2007 - dep. 06/11/2007, Scarparo, Rv. 237996 la stessa sorte seguono le cisterne interrate ed i relativi dispositivi trattandosi delle cose servite per attuare il mutamento di destinazione del prodotto in tutto o in parte esente dall’accisa Sez. U, numero 14287 del 11/04/2006 - dep. 21/04/2006, Calvio, Rv. 233249 Sez. 3, numero 18843 del 24/01/2019 - dep. 06/05/2019, Saccomanno, Rv. 275741 . Del resto il rinvio testuale da parte dell’articolo 44. T.U. alla confisca secondo le norme vigenti in materia doganale, comporta la conseguente applicabilità del D.P.R. 23 gennaio 1973, numero 43, articolo 301, come sostituito dalla L. 30 dicembre 1991, numero 413, articolo 11, comma 19, secondo cui la confisca debba essere sempre ordinata, anche in assenza di una pronuncia di condanna Sez. 3, numero 22001 del 13/03/2018 - dep. 18/05/2018, Innusa, Rv. 273662 . Deve quindi, in conclusione, ritenersi che malgrado la finalità immanente al sequestro probatorio di mantenere immutate le caratteristiche dei beni attinti per il tempo necessario all’accertamento dei fatti, la disposizione di cui all’articolo 324 c.p.p., comma 7, prevalga comunque sulle esigenze lato sensu istruttorie, trovando la ratio della previsione normativa giustificazione nella finalità di impedire che, rientrando l’autore dell’illecito nella disponibilità della res, possa nuovamente commettere il reato rispetto al quale l’ablazione della medesima costituisce, nella valutazione discrezionale del legislatore, lo strumento più idoneo per ripristinare l’ordine giuridico violato ed attuare la potestà punitiva dello Stato, attesa la indubbia natura sanzionatoria della confisca de qua, e ciò indipendentemente dalle ragioni che abbiano originariamente determinato l’adozione della misura. Discende del resto da tale finalità il principio in forza del quale cui il divieto di restituzione fissato dall’articolo 324 c.p.p., comma 7, debba trovare applicazione anche al di fuori del procedimento di riesame, pur in mancanza di una espressa previsione in tal senso, non potendo i beni di cui all’articolo 240 c.p., comma 2, rientrare nella disponibilità di colui che vanti su di essi un diritto reale o un potere di fatto perché oggetto della misura di sicurezza obbligatoria, in conseguenza della loro particolare natura. Il ricorso deve essere pertanto rigettato, seguendo a tale esito la condanna del ricorrente, a norma dell’articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.