Corriere della droga all'esordio e con due famiglie, l'adesione all'organizzazione è tutta da dimostrare

Assolutamente non sufficiente la fiducia riposta dai vertici, se non ci sono altri episodi. E bisogna anche tenere conto delle ristrettezze economiche che possono aver spinto ad accettare l'incarico.

Esordio da corriere per un'associazione a delinquere dedita al narcotraffico internazionale? Questo singolo elemento non è sufficiente per dedurre un'adesione alla struttura criminosa. Né bastano, in questo senso, la fiducia risposta nella persona dai vertici dell'associazione né il fatto che il corriere fosse, all'epoca, un carabiniere in servizio.Ecco perché la condanna emessa in Appello dovrà essere riveduta e corretta. Come chiede la Cassazione sentenza numero 33822, Prima Sezione Penale, depositata ieri . E fondamentale sarà valutare elementi ulteriori prima di poter considerare il corriere davvero come membro integrato dell'organizzazione.Bolivia-italia no stop un viaggio di fiducia. L'episodio incriminato è relativo all'importazione in Italia, dalla Bolivia, di oltre 650 grammi di cocaina. I due corrieri vengono fermati praticamente alla fine del viaggio, uno di questi è - era, all'epoca - un carabiniere in servizio. Condanne durissime arrivano sia in primo che in secondo grado.Per il corriere - ora protagonista del ricorso per cassazione - vengono stabiliti 13 anni di reclusione. Perché dal coinvolgimento nel singolo episodio discendeva la prova della responsabilità nel reato associativo, in quanto il compito di trasportare un carico di sostanza stupefacente presuppone un rapporto di assoluta fiducia e deve essere interpretato quale espressione dell'affectio societatis . In questa visione, gli altri componenti dell'associazione dovevano avere la massima garanzia di disporre del contributo di un soggetto sul quale riporre la massima fiducia , viene affermato nella sentenza d'Appello.Scelta obbligata. La scelta del ricorso in Cassazione è la strada intrapresa per vedere alleggerita la posizione del corriere. Che fissa la propria linea Maginot di difesa in pratica, trovandosi in ristrettezze economiche, in quanto aveva due famiglie da mantenere , non aveva avuto scelta e aveva accettato di compiere quell'unico viaggio come corriere dalla Spagna in Italia . Poi, però, non aveva avuto altro contatto con gli imputati, come è comprovato dalle indagini e dalle intercettazioni telefoniche .In questa ottica, viene anche fatto un richiamo alla giurisprudenza, affermando che non poteva essere configurato il reato associativo in relazione alla partecipazione dell'imputato a un solo episodio di importazione di sostanze stupefacenti .Come spiegare, allora, la scelta di affidare a lui quell'incarico? Perché, secondo i vertici dell'associazione, la sua appartenenza, all'epoca, all'Arma dei Carabinieri poteva comportare minori possibilità di controllo sia nella fase di importazione che nella fase di trasporto della cocaina .Radici solide? Da provare. Il nodo gordiano è rappresentato dal valore da dare alla figura del corriere, nella specifica vicenda. In primo e in secondo grado è stato affermato che la prova dell'inserimento nell'associazione emerge dalla natura dell'incarico, di assoluta fiducia, che gli era stato affidato, non essendo pensabile che un siffatto incarico potesse essere affidato a persona estranea all'organizzazione .Per i giudici di Cassazione, però, questa visione è troppo semplicistica. E, alla luce di diversi riferimenti giurisprudenziali, viene sancito che la motivazione appare carente , perché il riferimento alla fiducia non può essere considerato un elemento sufficiente a dimostrare logicamente l'inserimento nel sodalizio criminale .Ancora, andando nel profondo, se il dolo del delitto associativo è dato sia dalla consapevolezza del partecipe di agire nell'ambito di una struttura organizzata sia dalla disponibilità del medesimo soggetto a realizzare il programma dell'associazione, partecipando a un numero indefinito di reati , per i giudici non è accettabile il fatto che la sentenza non abbia considerato che l'imputato non pare sia rimasto coinvolto in altri episodi . Così come non è accettabile non aver tenuto presente che l'imputato aveva giustificato con le proprie ristrettezze economiche la scelta di accettare l'incarico di corriere.Troppi punti oscuri, secondo i giudici di piazza Cavour, sulle presunte radici dell'imputato all'interno dell'organizzazione criminale. Ecco perché la sentenza impugnata deve essere annullata, accogliendo il ricorso, e la questione deve essere riaffidata alla Corte d'Appello per una nuova complessa e più ampia valutazione.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 12 luglio - 13 settembre 2011, numero 33822 Presidente Chieffi - Relatore Caiazzo Ritenuto in fatto Con sentenza in data 13 maggio 2008 il Tribunale di Reggio Calabria condannava M.R.A. alla pena complessiva di anni 23 di reclusione per i delitti di cui al D.P.R. numero 309 del 1990, articolo 74 e 73 pena base per il delitto di cui all'articolo 74, nella qualità di organizzatore dell'associazione, anni 20, aumentata di un anno per l'aggravante di cui all'articolo 74, comma 3, ulteriormente aumentata di un anno per ciascuno dei delitti di cui ai capi 4 e 6 M. A.M. alla pena complessiva di anni 14 di reclusione pena base per il delitto di cui all'articolo 74, nella qualità di partecipe dell'associazione, anni 12, aumentata di un anno per l'aggravante di cui all'articolo 74, comma 3, ulteriormente aumentata di un anno per il delitto di cui al capo 6 C.A. alla pena di anni 12 di reclusione pena base per il delitto di cui all'articolo 74, nella qualità di partecipe dell'associazione, anni 11, aumentata di un anno per l'aggravante di cui all'articolo 74, comma 3 . Con sentenza in data 16 dicembre 2009 la Corte di appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della suddetta sentenza, assolveva M.R.A. dal delitto di cui al capo 4 per non aver commesso il fatto e rideterminava la pena in anni 22 di reclusione nei confronti di C.A., ritenuta la continuazione tra il delitto di cui al D.P.R. numero 309 del 1990, articolo 74 e quello già giudicato con sentenza del GUP del Tribunale di Reggio Calabria in data 12.2.2004, rideterminava la pena complessiva unitaria in anni 13 di reclusione pena base per il delitto di cui all'articolo 74 anni 11, aumentata ad anni 13 per effetto della continuazione con il delitto di cui al D.P.R. numero 309 del 1990, articolo 73, già giudicato confermava la sentenza nei confronti di M.A.M., e quindi confermava la condanna dello stesso alla pena complessiva di anni 14 di reclusione. Con riferimento alla eccezione di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni telefoniche, sollevata dalla difesa di M. R. e M.A. per asserita mancanza dei provvedimenti autorizzativi, la cui esistenza la suddetta difesa non era stata in condizioni di verificare, la Corte d'appello rilevava, in primo luogo, la genericità della censura difensiva, sollevata senza alcuna specificazione dei sub procedimenti concernenti le attività di captazione asseritamente invalide osservava, in secondo luogo, che l'esame di tutti i RIT ai quali aveva fatto riferimento la sentenza impugnata risultavano pienamente conformi alle procedure previste dall'articolo 267 c.p.p., con la emissione tanto di provvedimenti in via d'urgenza da parte del Pubblico Ministero quanto di provvedimenti di convalida del GIP, con le forme, nei termini e nella rigorosa osservanza dei presupposti legittimanti stabiliti dalla legge, in relazione a tutti i RIT numeri 1048/03, 1149/03, 1384/03, 1408/03, 1420/03, 1465/03, 1559/03, 242/04 e 299/04. Nel merito, la Corte d'appello ripercorreva il contenuto di numerose conversazioni telefoniche, intercorse nel mese di novembre dell'anno 2003 tra M.R., F.D., F.O., C. A. e M.A., attraverso le quali era stata ricostruita dal primo Giudice la vicenda di cui al capo 6 dell'imputazione, relativa all'importazione dalla Bolivia in Italia, attraverso la Spagna, di numero 66 cilindretti, contenenti ciascuno grammi dieci di cocaina, vicenda culminata con l'arresto di C. A. e Ca.Gu. il OMISSIS , mentre trasportavano in Calabria il predetto quantitativo di sostanza stupefacente. Il Giudice dell'appello riteneva che dal contenuto delle telefonate intercettate risultava chiaramente che M. R. era andato in Bolivia per organizzare la spedizione della droga, destinata a F.D., e che M.A. fungeva in Italia da punto di riferimento degli acquirenti, per conto del fratello R Metteva in evidenza che dall'analisi delle conversazioni tra M. R. e F.D., intercettate dopo il sequestro del suddetto quantitativo di cocaina, emergeva la capacità dell'organizzazione di superare il momento di grave difficoltà, creando nuovi contatti per mettere in atto una nuova fornitura e contenere così la perdita economica conseguente agli arresti e al sequestro del suddetto quantitativo di sostanza stupefacente. Nell'esame della fattispecie associativa contestata ai suddetti fratelli M., la Corte d'appello prendeva in considerazione, oltre al ruolo dagli stessi ricoperto nella descritta vicenda di cui al capo 6 dell'imputazione, una serie di conversazioni intercettate, nel periodo dal gennaio al giugno 2004, avvalorate da parallele indagini di Polizia Giudiziaria, dalle quali si poteva desumere che M.R., F.D., B.G., P. D. e M.A. erano coinvolti in un'intensa attività volta al reperimento e all'importazione in Italia di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti. Prendendo in esame la posizione di C.A. - secondo la difesa coinvolto esclusivamente nell'episodio di cui al capo 6 dell'imputazione, e quindi non partecipe della struttura associativa - la Corte d'appello, concordando con le conclusioni alle quali era pervenuto il primo giudice, ha ritenuto che dal coinvolgimento del C. nel suddetto episodio di cui al capo 6 dell'imputazione discendeva la prova della responsabilità nel reato associativo, in quanto il compito di trasportare un carico di sostanza stupefacente presuppone un rapporto di assoluta fiducia e deve essere interpretato quale espressione dell'affectio societatis. Era emerso dalle risultanze che C., all'epoca dei fatti carabiniere in servizio a Reggio Calabria, si era recato in Spagna per prelevare lo stupefacente e poi aveva trasportato detta sostanza in Italia, insieme a Ca.Gu., venendo poi bloccato ed arrestato mentre percorreva l'autostrada OMISSIS . Questa attività, secondo la Corte territoriale, era indicativa di un pregnante inserimento del C. all'interno dell'organizzazione, poichè gli altri componenti dell'associazione dovevano avere la massima garanzia di disporre del contributo di un soggetto sul quale riporre la massima fiducia. I difensori di M.R. e M.A. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza della Corte d'appello di Reggio Calabria, riproponendo preliminarmente l'eccezione di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni telefoniche con la quale hanno sostenuto che la Corte d'appello aveva omesso di rispondere alla stessa eccezione già proposta con i motivi d'appello. Il presente procedimento aveva tratto origine da attività di intercettazione, disposta nell'ambito di ricerche del latitante F.P.V., sull'utenza OMISSIS , installata presso un cali center gestito dai fratelli M. in OMISSIS . Su questa utenza era stata intercettata il 13.8.2003 una conversazione di M.R. che aveva portato ad estendere le operazioni di captazione anche sull'utenza cellulare numero OMISSIS riconducile allo stesso M. RIT 1048/03 . Nell'udienza del 26.2.2008 il maresciallo T., che aveva seguito tutta l'indagine, aveva affermato che l'intercettazione dell'utenza OMISSIS era stata disposta in via d'urgenza dal P.M. con un provvedimento che non era poi stato convalidato dal GIP. Secondo la difesa, essendo stati i primi indizi a carico di M. R. raccolti in un'attività di captazione non autorizzata dal giudice, anche i successivi provvedimenti di autorizzazione all'intercettazione erano invalidi, perchè basati su un patrimonio conoscitivo acquisito illegittimamente. Con memoria in data 26.5.2009 - allegata ai motivi di ricorso - era stato chiesto un breve rinvio concesso dalla Corte d'appello per esaminare i decreti autorizzativi delle intercettazioni disposte sulle utenze OMISSIS , ma i decreti autorizzativi non erano mai stati reperiti nell'incarto del processo, neppure dopo il deposito della sentenza d'appello, come peraltro aveva attestato il responsabile della Cancelleria attestazione allegata al ricorso . Non era stata data risposta alla doglianza contenuta nei motivi d'appello riguardante il mancato accertamento di un programma criminoso generico e di un pactum sceleris tra i presunti associati. Avverso la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria hanno proposto ricorso per cassazione anche il difensore di C. A. e personalmente lo stesso imputato. Il difensore, con un primo motivo, ha dedotto carenza e illogicità della motivazione nonchè mancata assunzione di una prova decisiva. L'imputato, per il trasporto di g. 660 di cocaina era stato arrestato il 20 novembre 2003 e condannato con sentenza ex articolo 444 c.p.p. del GUP del Tribunale di Reggio Calabria in data 12.2.2004 alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 13.400,00 di multa. Al momento dell'arresto aveva dichiarato che, trovandosi in ristrettezze economiche in quanto aveva due famiglie da mantenere, aveva accettato di compiere quell'unico viaggio come corriere dalla Spagna in Italia. Non aveva avuto alcun altro contatto con gli imputati, come è comprovato dalle indagini e dalle intercettazioni telefoniche, nelle quali compare solo in relazione al suddetto trasporto di cocaina in Italia. Per giurisprudenza costante non poteva essere configurato il reato associativo in relazione alla partecipazione dell'imputato a un solo episodio di importazione di sostanze stupefacenti. Con un secondo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione del principio della reformatio in peius, poichè, in mancanza dell'appello del Pubblico Ministero, era stata inflitta al C. una pena superiore a quella inflitta dal giudice di primo grado. L'imputato, nei motivi di ricorso, ha denunciato l'illogicità della sentenza nella parte in cui aveva ritenuto di poter trarre dalla partecipazione a un solo episodio di importazione la prova del carattere stabile e continuativo, sia sotto il profilo materiale che sotto il profilo psicologico, della adesione al pactum sceleris. La fiducia che i coimputati gli avevano accordato doveva essere ricondotta a rapporti di natura diversa e non alla appartenenza alla medesima organizzazione. I coimputati, in effetti, si erano rivolti a lui, perchè la sua appartenenza all'epoca all'Arma dei Carabinieri poteva comportare minori possibilità di controllo sia nella fase dell'importazione che nella fase del trasporto della cocaina. L'imputato ha anche denunciato come sfornita di motivazione sia la scelta di non riconoscergli le attenuanti generiche sia l'aumento di pena per la continuazione, in misura sproporzionata all'entità del fatto. Per i suddetti motivi ha quindi chiesto l'annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto Nell'udienza in data 8.3.2011 questa Corte, per verificare se fosse fondata la doglianza della difesa di M.R.A. e M.A.M. - che si era lamentata di non aver reperito negli atti processuali i decreti autorizzativi delle intercettazioni di cui al presente processo - ha disposto l'acquisizione di tutto l'incarto processuale, rinviando il processo all'udienza del 12.7.2011. All'odierna udienza, preso atto che il richiesto incarto processuale non era pervenuto nella sua interezza, è stato disposto lo stralcio dal processo della posizione di M.R.A. e di M. A.M. e si è quindi decisa la sola posizione di C. A., accogliendo il primo motivo di ricorso proposto dalla difesa e riproposto, con argomentazioni analoghe, dallo stesso imputato. Dalla motivazione della sentenza impugnata risulta che C. A., all'epoca dei fatti carabiniere in servizio a Reggio Calabria, aveva partecipato all'episodio di importazione in Italia dalla Bolivia di g. 660 di cocaina, contenuti in sessantasei cilindretti, recandosi in Spagna su incarico di coimputati nel delitto associativo, prendendo in consegna detta sostanza stupefacente e trasportandola fino a OMISSIS , dove è stato arrestato il 20 novembre 2003 in flagranza di reato. Il fatto è stato seguito in tutta la sua evoluzione dalla Polizia Giudiziaria, in quanto i telefoni cellulari in uso agli imputati erano sottoposti a controllo, e l'intercettazione delle loro conversazioni ha anche consentito l'arresto in flagranza del predetto imputato, che viaggiava in macchina insieme a Ca.Gu Per il suddetto episodio di importazione di cocaina al Carini, su richiesta dello stesso, è stata applicata dal GUP del Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza in data 12.2.2004, la pena di anni quattro di reclusione ed Euro 13.400,00 di multa. Nel presente processo C.A. risponde solo del delitto di cui al D.P.R. numero 309 del 1990, articolo 74 per aver partecipato alla stessa associazione di cui, fra gli altri, hanno fatto parte i fratelli M.R. e A. e, a giudizio dei giudici di merito, la prova dell'inserimento del C. nell'associazione di cui trattasi emerge dalla natura dell'incarico, di assoluta fiducia, che gli era stato affidato, non essendo pensabile che un siffatto incarico potesse essere affidato a persona estranea all'organizzazione. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, L'appartenenza di un soggetto ad un sodalizio criminale può essere ritenuta anche in base alla partecipazione ad un solo reato fine in tale caso, peraltro, è necessario che il ruolo svolto e le modalità dell'azione siano tali da evidenziare la sussistenza del vincolo e ciò può verificarsi solo quando detto ruolo non avrebbe potuto essere affidato a soggetti estranei oppure quando l'autore del singolo reato impieghi mezzi e sistemi propri del sodalizio V. Sez. 5 sent. numero 2838 del 9.12.2002, Rv. 224916 Sez. 1 sent. numero 6308 del 20.1.2010, Rv. 246115 . Si è anche precisato nella giurisprudenza di questa Corte che il dolo del delitto di associazione per delinquere è dato dalla coscienza e volontà di partecipare attivamente alla realizzazione dell'accordo e quindi del programma delinquenziale in modo stabile e permanente. Quando la condotta si esaurisca nella partecipazione ad un solo episodio criminoso, non è esclusa la responsabilità per il reato associativo, ma la prova della volontà di partecipare alla associazione deve essere particolarmente puntuale e rigorosa V. Sez. 6 sent. numero numero 5970 del 23.1.1997, Rv. 208306 . Nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata appare carente, poichè non da una puntuale e rigorosa dimostrazione del fatto che la partecipazione del C. all'indicato episodio di importazione in Italia di un quantitativo di stupefacente avrebbe caratteristiche tali da provare la partecipazione del predetto all'associazione, non essendo il riferimento alla fiducia che indubbiamente i mandanti dell'operazione riponevano nell'imputato un elemento sufficiente a dimostrare logicamente il di lui inserimento nel sodalizio criminale. Il dolo del delitto associativo è dato sia dalla consapevolezza del partecipe di agire nell'ambito di una struttura organizzata sia dalla disponibilità del medesimo soggetto a realizzare il programma dell'associazione, partecipando a un numero indefinito di reati fine. La sentenza impugnata non spiega perchè il compito svolto dall'odierno imputato non poteva essere affidato a un soggetto estraneo all'associazione e soprattutto non considera il fatto che l'imputato non pare che sia rimasto coinvolto in altri episodi, neppure a livello preparatorio, sebbene le utenze delle persone interessate al traffico siano state sotto controllo per un lungo periodo di tempo, nè chiarisce quali rapporti abbia intrattenuto con membri dell'associazione, e neppure prende in considerazione, almeno per smentirla, la giustificazione data fin dal primo momento dall'imputato di aver accettato la proposta di compiere quell'unico viaggio perchè si era trovato in ristrettezze economiche. Pertanto la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di C. A. e il giudice del rinvio dovrà riesaminarne la posizione al fine di stabilire se, sulla base degli elementi raccolti, possa affermarsi o meno che sussista la prova della di lui partecipazione all'organizzazione criminosa di cui trattasi. Appare comunque infondato il secondo motivo di ricorso del difensore dell'imputato, con il quale si è denunciata la violazione del principio del divieto di reformatio in peius, poichè per il delitto associativo, in primo grado, erano stati inflitti anni 12 di reclusione, mentre in appello, per lo stesso delitto, la pena è stata determinata in anni undici di reclusione. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata nei confronti di C.A. e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria.