La nozione non è limitata ai soli reati societari nell’ambito dei reati fallimentari, infatti, l’amministratore “di fatto” della società fallita è gravato dagli stessi doveri dell’omologo “di diritto”. Con una vasta gamma di comportamenti addebitabili in caso di dissesto.
Lo ha ribadito la Suprema Corte Penale nella sentenza numero 39535/12 dell’8 ottobre. Analogia in malam partem? La Corte d’Appello di L’Aquila rideterminava in maniera più favorevole la pena applicata a uomo. Gli addebiti? Responsabilità per bancarotta fraudolenta documentale e, in concorso con un altro soggetto, per bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione al fallimento di una televisione. Il difensore dell’imputato ricorre per cassazione deducendo erronea applicazione della legge fallimentare, in particolare dell’articolo 223. La nozione di amministratore, in base alla l. numero 61/2002, sarebbe limitata ai soli reati societari ritenere la figura sussistente con riferimento ai reati fallimentari costituirebbe un’indebita applicazione di analogia in malam partem, mai consentita dal diritto penale. L’analisi dell’articolo 2639 c.c. L’amministratore di fatto – equiparato dalla norma a chi è «tenuto a svolgere la stessa funzione» e anche a chi «esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici» - non è una figura che possa presentarsi unicamente in relazione alle disposizioni del precetto civilistico. Nell’ambito dei reati fallimentari, quindi, anche in ossequio all’istituto del concorso nel reato proprio, il soggetto continua a essere quello individuato dalla giurisprudenza. Interpretazione nelle sentenze. Proprio la Suprema Corte Cass. numero 39353/2011 non ha mai dubitato che l’amministratore di fatto della società fallita sia «da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”» ecco il motivo dell’assunzione della responsabilità penale per tutti i comportamenti addebitabili. Vana, infine, la doglianza che prospetterebbe un coinvolgimento minore dell’uomo nei meccanismi della società, in qualità di mero prestanome per altri soggetti dal potere economico più marcato. La censura si rivela generica e aggiunge elementi logico-interpretativi per nuove valutazioni il ricorso non può che essere rigettato.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 20 giugno – 8 ottobre 2012, numero 39535 Presidente Ferrua – Relatore Fumo Rilevato in fatto 1. La corte d'appello di L'Aquila, con la sentenza di cui in epigrafe, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha rideterminato in maniera più favorevole la pena applicata ad A.R. , confermando la sua affermazione di responsabilità per bancarotta fraudolenta documentale e, in concorso con C.A. , per bancarotta fraudolenta patrimoniale, in relazione al fallimento della ONIX TV srl, dichiarato con sentenza dell' omissis . 2. Ricorre per cassazione il difensore di A. e deduce erronea applicazione della legge penale e falsa applicazione dell'articolo 223 LF, atteso che la nozione di amministratore di fatto è oggi determinata normativamente, in base alla legge numero 61 del 2002, che la ha limitata ai soli reati societari, atteso che l'art.2639 cc si riferisce ai reati previsti dal presente titolo . Continuare, dunque, a ritenere sussistente questa figura con riferimento ai reati fallimentari costituisce un'indebita applicazione di analogia in malam partem, non consentita nel diritto penale. 2.1. Deduce ancora manifesta illogicità della motivazione e falsa applicazione dell'articolo 216 LF, atteso che la qualifica di amministratore di fatto attribuita ad A. fonda su evanescenti dati fattuali, quali la dichiarazione della signora M. , la quale ebbe ad affermare di aver intrattenuto rapporti con il ricorrente per l'acquisto della quota sociale. Al proposito va, però, considerato che ciò avvenne contestualmente alla dismissione della carica di amministratore unico non è dunque un elemento di tale valenza probatoria da costituire una solida base sulla quale ritenere l'esistenza di una situazione di fatto protrattasi nel tempo e consistente nella gestione effettiva della vita sociale al posto della ipotizzata testa di legno C.A. . Invero, i giudici del merito ritengono che quest'ultimo fosse un mero prestanome in considerazione della sua apparente incapacità economica lo stesso ragionamento viene esibito per quel che riguarda la M. . E tuttavia i giudici del merito avrebbero dovuto porsi il problema relativo al fatto che costei, pur asserendo di non aver mai versato danaro in relazione all'operazione di cessione e dunque di acquisto da parte sua delle quote sociali, avesse aderito all'operazione stessa. Considerato in diritto 1. La prima censura è infondata. Il fatto che l'articolo 2639 cc reciti per i reati previsti dai presente titolo ai soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge civile è equiparato sia chi è tenuto a svolgere la stessa funzione, diversamente qualificata, sia chi esercita in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione non sta evidentemente a significare che l'amministratore di fatto, così descritto dal legislatore, sia figura che possa sussistere unicamente in relazione alle disposizioni di cui al titolo undecimo del predetto codice sta viceversa a significare che, nell'ambito del cc, per amministratore di fatto, deve intendersi colui che risponda alla descrizione sopra riportata. Ciò non implica che, in tema di delitti di bancarotta, il soggetto attivo non possa più essere anche l'amministratore di fatto. Vale a dire nell'ambito dei reati societari, la figura dell'amministratore di fatto è normativamente delineata dall'articolo 2639 cc nell'ambito dei reati fallimentari, anche in ossequio all'istituto del concorso nel reato proprio, la figura dell'amministratore di fatto continua a essere quella individuata dalla giurisprudenza. Vale poi la pena di notare che la descrizione normativa di tale figura di autore nel cc costituisce la ricezione del prodotto dell'elaborazione giurisprudenziale. 1.1. D'altronde la giurisprudenza di legittimità posteriore alla ricordata modifica della legge civile non ha mai dubitato ASN 201139593-RV 250844 che, in tema di reati fallimentari, l'amministratore di fatto della società fallita è da ritenere gravato dell'intera gamma dei doveri cui è soggetto l'amministratore di diritto , per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili. 2. La seconda censura è articolata in fatto ed è generica. Il profilo di genericità si coglie nell’ultima parte della censura, lì dove il ricorrente invita la corte di legittimità a un non meglio identificato controllo della posizione della M. . La censura è poi articolata in fatto nella parte in cui pretende di utilizzare gli stessi elementi – logicamente interpretati dal giudice di merito – per sostenere una ricostruzione di quanto accaduto antitetica rispetto quella che si legge nella sentenza impugnata. Invero, la Corte d’appello ha sottolineato come l’A. , con la cessione delle quote non sue a titolo gratuito alla M. , e, pur dopo l’assunzione della carica di amministratore da parte del C. , continuò a interessarsi attivamente della gestione della srl. A tali dati di fatto il giudice di secondo grado aggiunge due considerazioni a è del tutto singolare che A. , essendo solo amministratore e non anche socio, abbia curato la cessione delle quote, b non è credibile che C. , che era soggetto nullatenente e che, in veste si LSU, svolgeva lavori per il Comune di Roma, avesse la “forza economica” per acquistare anche egli quote sociali. Da tali ulteriori considerazioni la Corte d’appello fa scaturire, certo con iter argomentativo non illogico, la conclusione che reale domius della ONYX sia rimasto l’A. , pur dopo la formale assunzione della carica di amministratore da parte del C. . 3. Conclusivamente, il ricorso merita rigetto e il ricorrente va condannato alle spese del grado. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.