La valutazione di manifesta infondatezza della richiesta di revisione non può dar luogo ad un’anticipazione del giudizio di merito

Una conclusione confermata dalla lettera dell’art. 634 c.p.p., che, prevedendo l’inammissibilità della richiesta manifestamente infondata”, comprova, senza possibilità di plausibili dubbi, che l’infondatezza deve risultare evidente, palese, chiaramente non controvertibile e percepibile immediatamente ictu oculi, senza la necessità di alcun particolare approfondimento, com’è appunto, una delibazione preliminare.

Lo ha stabilito la Quarta sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 31992, depositata il 23 luglio 2013. Il caso. Un uomo, unitamente alla moglie, chiede la revisione della sentenza di condanna divenuta definitiva emessa nei suoi confronti per un episodio di tentata violenza sessuale, ma la Corte di Appello di Reggio Calabria dichiara inammissibile la richiesta. L’imputato ricorre in cassazione affermando che con la sua richiesta di revisione 1 ha offerto due nuove testimonianze dalle quali emerge che la sera in cui si assumono essere accaduti i fatti nessuno è entrato nel box ove la vittima ha dichiarato di aver subito la tentata violenza sessuale 2 ha prodotto numerose denunce presentate dalla donna a presunte minacce sessuali e reati simili 3 ha depositato le dichiarazioni di due ex fidanzati della donna che hanno riferito di suoi presunti svenimenti e macchinazioni. Si contesta, in particolare, che l’ordinanza della Corte di Appello si pone in contrasto con il principio del favor revisionis sancito dalle Sezioni Unite, soprattutto laddove il supremo Collegio ha chiarito che, in sede di valutazione preliminare dell’istanza, è richiesta solo una sommaria delibazione degli elementi di prova addotti, al fine di verificare l’eventuale manifesta infondatezza della richiesta. In definitiva, mentre l’inammissibilità può essere dichiarata solo si sia in presenza di una situazione rilevabile ictu oculi, la Corte di Appello elabora, con riferimento alle dichiarazioni dei testi, un fitto intreccio di considerazioni, anche in relazione ad altre risultanze processuali, violando la regola del giudizio dell’evidenza, propria della fase rescindente della fase di revisione, anticipando il giudizio di merito del c.d. processo rescissorio. La delibazione preliminare sulla richiesta di revisione richiede solo un summatim cognoscere. I giudici di legittimità accolgono il ricorso ritenendo censurabile l’apprezzamento della Corte di Appello sulla valutazione dell’esistenza delle nuove prove tese a confutare l’impianto accusatorio sul quale si regge la sentenza di condanna. La sentenza in commento precisa subito che la questione da esaminare nella presente sede non riguarda la fondatezza o meno della valutazione compiuta dalla Corte di Appello, bensì solo la sua compatibilità con la sommaria delibazione preliminare prevista dalla legge in ordine alla ammissibilità della richiesta . Si richiama, in merito, la sentenza delle Sezioni Unite n. 624 del 26 settembre 2001, che, con ampia parte motiva, ha delineato le caratteristiche della preliminare delibazione, affermando che nell'attuale sistema normativo, diversamente dal regime delineato nel sistema del codice di rito abrogato, non è ravvisabile nel procedimento di revisione una distinzione tra fase rescindente e fase rescissoria, non soltanto perché il giudizio positivo circa l'ammissibilità della richiesta non comporta intervento di alcun tipo sulla decisione denunciata, ma anche perché - un argomento davvero complementare - la seriazione procedimentale descritta dall'art. 629 c.p.p. e seguenti segnala l'esistenza di una progressione che - sia pure attestata ai casi tassativamente previsti dall'art. 630 c.p.p. - implica, ove il giudizio di ammissibilità abbia esito positivo, una continuità tra i due momenti, tale da incentrare nel giudizio di revisione stricto sensu inteso, il segmento cruciale della procedura . L'accertamento dell'ammissibilità della richiesta si presenta, infatti, oltre che nella sua struttura, anche nella sua proiezione funzionale, non dissimile dalla necessaria verifica, demandata al giudice dell'impugnazione, in ordine all'esistenza delle condizioni prescritte dalla legge per l'instaurazione subordinata, appunto, all'ammissibilità del gravame dell'ordinario giudizio di impugnazione. Pure se le condizioni per l'ammissibilità della richiesta e, dunque, per l'ammissibilità dell'atto di impugnazione , per incidere le doglianze su una decisione passata in cosa giudicata cfr. l'art. 629 c.p.p. con l'art. 649 c.p.p. , restano caratterizzate da un tasso di maggiore complessità, in gran parte riferibile alla conseguente specificità delle censure proponibili. In un quadro entro il quale la peculiare natura del mezzo di gravame non lo sottrae all'applicazione di talune regole generali concernenti l'ammissibilità dell'impugnazione. Peraltro – continua il Supremo Collegio – non essendo più immanente nel sistema la frammentazione del giudizio in due fasi distinte non di rado assegnate alla cognizione di giudici diversi la corte di cassazione per la fase rescindente, la corte di appello per l'eventuale fase rescissoria, in sede di rinvio secondo lo schema delineato nel regime del codice abrogato, si è dissolta la valenza della procedura rescindente, non realizzandosi, nel caso di giudizio positivo in ordine all'ammissibilità della richiesta di revisione, alcun effetto demolitorio sulla decisione denunciata un effetto che nel vigore del codice del 1930 si profilava come quello provvisto della massima carica innovativa sul piano del possibile giuridico. Tanto che all'esito del giudizio rescindente e, dunque, nello specifico, anche rescissorio poteva derivare, a norma dell'art. 561 c.p.p. 1930, l'annullamento senza rinvio della sentenza di cui era stata richiesta la revisione una conclusione pressoché obbligata nell'ipotesi di condanna fondata su sentenza civile o amministrativa poi revocata. Tutto ciò giustifica perché il nuovo legislatore non abbia ritenuto necessario prescrivere l'esternazione della pronuncia di ammissibilità della richiesta di revisione, postulando esclusivamente - e, per di più, sulla base, di un summatim cognoscere - la verifica delle condizioni stabilite dalla legge perché il presidente della corte emetta, a norma dell'art. 636 c.p.p., il decreto di citazione a giudizio ai sensi dell'art. 601 c.p.p Più di recente, la Suprema Corte ha specificato che, con riferimento alla valutazione preliminare circa l'ammissibilità della richiesta, prevista dall'art. 634 c.p.p., quando detta richiesta sia proposta sulla base dell'asserita esistenza di una prova nuova, la fase dell'accertamento implica una sommaria delibazione dei nuovi elementi di prova addotti così da stabilire se essi appaiono in astratto idonei ad incidere in senso favorevole alla tesi dell'istante sulla valutazione delle prove a suo tempo raccolte e, nello stesso tempo, giustifichino la ragionevole previsione che essi, da soli o congiuntamente a quelli già esaminati nel corso del processo conclusosi con la sentenza di condanna, possano condurre al proscioglimento dell'istante Cass. pen., sez. I, 27 giugno-12 settembre 2012, n. 34928, rv 253437 . L'eventuale giudizio di manifesta infondatezza può e deve trarsi, pertanto, da una valutazione che abbia ad oggetto non solo l'affidabilità della dedotta circostanza, ma anche la persuasività e la congruenza della stessa nel contesto già acquisito in sede di cognizione. Tale giudizio si differenzia da quello esaustivo della domanda di revisione di cui all'art. 637 c.p.p., nel fatto che i criteri di ragione in base ai quali svolgere valutazioni di affidabilità, persuasività e congruenza, sia della fonte che dei contenuto della prova, non penetrano in profondità nel giudizio di rivisitazione della vicenda processuale in esame, ma consentono di pervenire a conclusioni decisorie in via immediata e diretta. Siffatta valutazione postula, tuttavia, la comparazione delle nuove prove con quelle su cui si fonda la condanna irrevocabile, di cui occorre, quindi, identificare il tessuto logico-giuridico. La comparazione non richiede soltanto il confronto di ogni singola prova nuova, isolatamente presa, con quelle già esaminate, occorrendo, invece, che la pluralità delle prove riconosciute nuove sia valutata anche unitariamente, vagliandosi, in una prospettiva globale, l'attitudine dimostrativa di esse, da sole o congiunte a quelle del precedente giudizio, rispetto al risultato finale del proscioglimento. Nell'economia di tale prognosi la comparazione tra le prove acquisite e quelle acquisende non può essere confinata nei termini dell'astrazione concettuale, ma deve ancorarsi alla realtà processuale già esistente e svilupparsi in termini realistici, così da non potere ignorare evidenti segni di inconferenza e/o inaffidabilità della prova nuova, rilevabili ictu oculi sempre Cass. pen., sez. I, 27 giugno-12 settembre 2012, n. 34928 . La sentenza n. 31922/13 conferma che la Corte di merito non si è attenuta ai principi cristallizzati nella giurisprudenza della Suprema Corte, anche a Sezioni Unite in base alla quale la valutazione, anche se non sommaria, ma diffusamente argomentata, non può comportare un approfondimento valutativo tale da dar luogo ad un’anticipazione del giudizio di merito. Una conclusione confermata dalla lettera dell’art. 634 c.p.p., che, prevedendo l’inammissibilità della richiesta manifestamente infondata”, comprova, senza possibilità di plausibili dubbi, che l’infondatezza deve risultare evidente, palese, chiaramente non controvertibile e percepibile immediatamente ictu oculi, senza la necessità di alcun particolare approfondimento, com’è appunto, una delibazione preliminare . Nel merito, le nuove prove necessitano di un confronto nel contraddittorio delle parti. La sentenza in rassegna, nell’accogliere il ricorso e rinviare il giudizio di revisione ad altra sezione di Corte di Appello ai sensi dell’art. 634, comma 2, c.p.p. , mostra, sia pure indirettamente, di censurare la stessa fondatezza della valutazione compiuta dalla Corte di Appello. Secondo quest’ultima, in particolare, le nuove testimonianze volte a dimostrare che la sera in cui si assumono essere accaduti i fatti nessuno è entrato nel box ove la vittima ha dichiarato di aver subito la tentata violenza sessuale farebbero riferimento ad un episodio che sicuramente non si verificò il giorno della violenza sessuale. Infatti, mentre tra la data del contestato commissi delicti e l’arresto del ricorrente passarono due settimane, i testi parlano di accadimenti avvenuti un paio di giorni prima all’arresto. Quanto alle prove afferenti alla presunta mitomania della querelante numerose denunce presentate dalla donna a presunti reati sessuali e le dichiarazioni di due ex fidanzati della donna sui suoi presunti svenimenti e macchinazioni , secondo la Corte di Appello si tratta di fatti estranei alla sentenza di condanna e nessuna delle denunce ha condotto a condanne per calunnia. Per la Suprema Corte, invece, la Corte di Appello, nella sede preliminare ed in assenza di contraddittorio, è scesa ad esaminare in modo approfondito il merito della questione prospettata attribuendo decisivo rilievo soprattutto ad incongruenze cronologiche che, tuttavia, non appaiono tanto evidenti ed incompatibili con la tesi difensiva da poter essere liquidate unilateralmente, e senza dar adito ad un confronto tra le parti per le chiarificazioni e gli eventuali approfondimenti del caso .

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 27 giugno – 23 luglio 2013, n. 31992 Presidente Bianchi – Relatore Blaiotta Motivi della decisione 1. G.A. , unitamente al coniuge M.I O., ha chiesto la revisione della sentenza emessa nei suoi confronti dalla Corte d'appello di Messina, divenuta irrevocabile a seguito di sentenza della Corte di Cassazione del 15 giugno 2011 recante l'affermazione di responsabilità in ordine ad un episodio di violenza sessuale nei confronti di M.E La stessa Corte d'appello, con atto in data 10 luglio 2012, ha dichiarato inammissibile la richiesta. 2. Ricorre per cassazione il condannato. Si tratteggia diffusamente il giudizio di merito che ha condotto alla condanna, per mostrarne le incongruenze e le lacune. Si espone che la difesa, con la richiesta di revisione, ha offerto due testimonianze, di L. e R. , dalle quali emerge che la sera in cui si assume che accaddero i fatti in realtà nessuno è entrato nel box nel quale la vittima M. ha dichiarato di aver subito la tentata violenza ha pure prodotto numerose denunce presentate dalla donna riferite a presunte minacce sessuali e simili ha infine depositato le dichiarazioni di due ex fidanzati della donna che hanno riferito di finti svenimenti e macchinazioni della donna. La Corte d'appello ha ritenuto di non attribuire rilievo a tali nuove acquisizioni, in contrasto con il favor revisionis espresso dalle Sezioni unite della Suprema corte con la sentenza n. 742 del 2010. Tale pronunzia ha chiarito che in sede di preliminare valutazione dell'istanza è richiesta solo una sommaria delibazione degli elementi di prova addotti, al fine di verifica re l'eventuale manifesta infondatezza della richiesta, rilevabile cioè ictu oculi . Quanto alle prove testimoniali, la Corte non si è limitata ad una preliminare delibazione ma è scesa nel merito violando il principio del contraddicono anticipando questioni che avrebbero dovuto essere esaminate nella sede di merito. La tesi della Corte, secondo cui le deposizioni si riferirebbero ad un incontro successivo si pone in contrasto con la circostanza che la vittima ha sempre riferito di aver nutrito, dopo la violenza, sentimenti di paura verso il G Le dichiarazioni dei testi, invece, narrano dettagli che sono compatibili con la collocazione di quanto narrato alla sera della presunta violenza. Ancora, la Corte d'appello ha trascurato il vero senso dell'informativa dei Carabinieri, di Taormina, in cui si ipotizza che la donna ami mostrarsi e cercarsela . Infine, si è trascurato che le inesattezze cronologiche dei detti testi trovano giustificazione nel lungo tempo trascorso. La difesa ha successivamente presentato una memoria, rammentando che l'inammissibilità può essere dichiarata solo quando si sia in una situazione rilevabile ictu oculi. Al contrario la Corte d'appello, per giungere a ritenere che le dichiarazioni dei testi si riferiscono ad un episodio diverso e successivo rispetto a quello illecito, elabora un fitto intreccio di considerazioni, anche in relazione agli altri dati processuali, così violando la regola di giudizio dell'evidenza, propria della fase rescindente della procedura di revisione, ed ha invece anticipato l'apprezzamento di merito. 3. Il ricorso è fondato. L'ordinanza impugnata rammenta che l'imputazione riguarda un atto di violenza sessuale nei confronti della donna avvenuto la sera del omissis all'interno di un box ufficio di proprietà del condannato. Si aggiunge che le nuove prove sono costituite dalle deposizioni di due testi, tali R. e L. , i quali hanno riferito di un colloquio tra condannato e vittima trasformatosi in lite e conclusosi con il dichiarato proposito della donna di fargliela pagare . In ogni caso nessuno dei due protagonisti entro nel box. Si aggiunge che ulteriori prove riguardano la presunta mitomania della donna, desumibile dalle numerose denunzie presentate. La Corte d'appello enuncia che la valutazione demandatale riguarda l'esistenza di prove nuove idonee a ribaltare il costrutto accusatorio che ha condotto alla condanna. A tale riguardo si considera che le nuove prove testimoniali fanno riferimento ad un episodio che certamente non si verificò il giorno della violenza sessuale. Infatti il G., dopo i fatti del , venne arrestato il ed i testi parlano di accadimenti avvenuti un paio di giorni prima dell'arresto. Inoltre la narrazione del L. non riferisce alcun dettaglio che consenta di collocarla nel giorno della violenza. La circostanza temporale emerge anche da un colloquio del L. con la moglie del condannato, da costei registrato all'insaputa dell'interlocutore. La Corte analizza in dettaglio il testo della comunicazione per inferirne elementi in ordine all'indicato problema temporale. E giunge alla conclusione che le deposizioni non possono condurre in alcun modo all'assoluzione. Tale conclusione è corroborata anche da quanto narrato dallo stesso G. nell'interrogatorio di garanzia. Quanto alle prove afferenti alla presunta mitomania, si argomenta che si tratta di documenti che fanno riferimento a fatti estranei al giudizio di condanna. Inoltre, nessuna di tali denunce ha condotto a condanna per calunnia. Si tratta inoltre di narrazioni di parte, dalle quali non può inferirsi nulla di significativo. 3.1 Tale apprezzamento è censurabile. Va detto preliminarmente che la questione da esaminare nella presente sede non riguarda la fondatezza o meno della valutazione compiuta dalla Corte d'appello, bensì solo la sua compatibilità con la sommaria delibazione preliminare prevista dalla legge in ordine alla ammissibilità della richiesta. La questione è stata esaminata dalle Sezioni unite S.U. 26 settembre 2001, rv. 220441 , con un'ampia condivisa pronunzia che, recependo i tratti di precedenti pronunzie, ha delineato le caratteristiche della preliminare delibazione di cui si discute. Si è affermato che in tema di revisione, la norma di cui all'articolo 634 cod. proc. pen. secondo la quale la Corte di appello dichiara d'ufficio, con ordinanza, l'inammissibilità della relativa richiesta, qualora sia stata proposta fuori delle ipotesi previste dagli artt. 629 e 630 cod. proc. pen. o senza l'osservanza delle disposizioni contenute negli artt. 631, 632, 633 e 641 stesso codice, ovvero risulti manifestamente infondata, non preclude l'adozione della declaratoria, per i medesimi motivi, con la sentenza conclusiva del giudizio, una volta che questo sia stato disposto. Si è aggiunto che la fase di delibazione dell'ammissibilità della richiesta di revisione ha la funzione di accertare che la richiesta stessa sia stata proposta nei casi previsti, con l'osservanza delle norme di legge e che non risulti manifestamente infondata, di modo che a detta delibazione è assegnato l'esclusivo compito del controllo preliminare della sussistenza delle condizioni necessarie per l'avvio del giudizio di revisione nelle forme previste per il dibattimento, tanto che i precisi caratteri strutturali e funzionali dell'indagine preliminare, mancante di una pronuncia rescindente della sentenza irrevocabile, danno pienamente conto delle ragioni che inducono ad escludere l'instaurazione di qualsivoglia contraddittorio, profilandosi l'unico interesse protetto dalla legge processuale come corrispondente all'intento pratico di porre un ragionevole argine alla presentazione di impugnazioni pretestuose o palesemente infondate e di evitare un inutile dispendio di attività giurisdizionale un interesse, dunque, di natura esclusivamente pubblica. La verifica della manifesta infondatezza della domanda di revisione impone alla Corte di appello di compiere una delibazione preliminare di merito intesa a verificare che la nuova prova sia intrinsecamente idonea a determinare, da sola o congiuntamente alle prove già valutate, il proscioglimento dell'imputato, rimanendo preclusa, in questa sede, qualsiasi vantazione di elementi estranei alla stessa. Ciò sempre nei limiti una verifica sommaria dei nuovi elementi di prova addotti e della loro astratta idoneità, sia pure attraverso una necessaria disamina del loro grado di affidabilità e di conferenza, a comportare la rimozione del giudicato in relazione alla loro efficacia ad incidere in modo favorevole sulle prove già raccolte e sul connesso giudizio di colpevolezza essendo invece preclusa, in tale stadio, un'approfondita valutazione che comporti un'anticipazione del giudizio di merito, avulsa dal contraddittorio fra le parti, e fondata su prove non ancora compiutamente acquisite. Così da caratterizzarsi l’inammissibilità in modo tale da dar luogo alla sua immediata rilevabilità in base ad un semplice e sommario esame delibativo, senza necessità di un approfondito e completo esame di merito, che va svolto soltanto nel vero e proprio giudizio di revisione. Insomma, per le Sezioni unite, la valutazione, anche se non sommaria, ma diffusamente argomentata, non può comportare un approfondimento valutativo tale da dar luogo ad un'anticipazione del giudizio di merito. Una conclusione confermata dalla lettera dell'articolo 634 c.p.p., che, prevedendo l'inammissibilità della richiesta manifestamente infondata , comprova senza possibilità di plausibili dubbi, che l'infondatezza deve risultare evidente, palese, chiaramente non controvertibile e percepibile immediatamente, senza la necessità di alcun particolare approfondimento, come è proprio, appunto, di una delibazione preliminare. 3.1 La Corte di merito non si è attenuta a tali principi. Essa, nella sede preliminare ed in assenza del contraddittorio, è scesa ad esaminare in modo approfondito il merito della questione prospettata attribuendo decisivo rilievo soprattutto ad inconcruenze cronologiche che, tuttavia, non appaiono tanto evidenti ed incompatibili con la tesi difensiva da poter essere liquidate unilateralmente, e senza dar adito al confronto tra le parti per le chiarificazioni e gli eventuali approfondimenti del caso. Tale valutazione è in contrasto con l'indicato principio della rilevabilità ictu oculi delle ragioni dell'inammissibilità. Il provvedimento deve essere conseguentemente annullato e gli atti vanno trasmessi alla Corte d'appello di Catanzaro per l'ulteriore corso. P.Q.M. Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone trasmettersi gli atti alla Corte d'appello di Catanzaro per l'ulteriore corso.