In tema di elemento psicologico del reato di ricettazione, il dolo specifico del fine di profitto, previsto per integrare la condotta di reato, non può consistere in una mera utilità negativa, la quale si verifica ogni volta che l’agente agisca allo scopo di commettere un’azione esclusivamente in danno di sé stesso.
Il seguente principio di diritto è stato formulato dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 28410, depositata l’1 luglio 2013. Difetto dell’elemento psicologico. Il ricorso è stato presentato da due indagati per il reato di ricettazione in relazione all’acquisto di sostanze dopanti per uso personale, a cui era stata applicata la misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla P.G. I ricorrenti hanno eccepito l’insussistenza del reato di cui all’articolo 648 c.p. per difetto dell’elemento soggettivo. La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso fondato, in quanto, nel caso di specie, la condotta ascritta ai due indagati, di aver acquistato sostanze dopanti per uso personale e non ai fini agonistici, non raggiunge la soglia del fatto penalmente rilevante, per difetto dell’elemento soggettivo del dolo specifico, ossia del fine di profitto in testa all’agente. Gli Ermellini hanno ricordato che in tema di elemento psicologico del reato di ricettazione, la nozione di profitto prevista dall’articolo 648 c.p. comprende non solo il lucro, ma qualsiasi utilità, anche non patrimoniale, che l’agente si proponga di conseguire. Non si può dubitare, pertanto, che anche una utilità esclusivamente morale possa integrare il fine del profitto. Elasticità del concetto di profitto, non di utilità. Piazza Cavour ha chiarito, però, che la nozione di utilità non può essere estesa all’infinito, altrimenti si perverrebbe a un’interpretazione sbagliata la condotta di acquisto o ricezione di cosa proveniente da delitto sarebbe punibile solo sulla base del dolo generico, vale a dire la semplice conoscenza dell’origine illecita della cosa. Di conseguenza, per i giudici di legittimità, deve escludersi che il fine di compiere un’azione in danno di sé stessi, sia pure perseguendo un’utilità meramente immaginaria o fantastica come nel caso di specie , possa integrare il fine di profitto, vale a dire il dolo specifico previsto dalla norma in esame.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 12 giugno - 1 luglio 2013, numero 28410 Presidente Prestipino – Relatore Gallo Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 1/10/2012, il Tribunale di Firenze, a seguito di istanza di riesame avanzata nell'interesse di M.M. e F.L. , indagati per il reato di ricettazione in relazione all'acquisto di sostanze dopanti per uso personale, confermava l'ordinanza del Gip di Firenze, emessa in data 13/8/2012, con la quale era stata applicata ai prevenuti la misura cautelare dell'obbligo di presentazione alla P.G 2. Avverso tale ordinanza propongono due identici ricorsi entrambi gli indagati, eccependo l'incompetenza territoriale del Gip e l'insussistenza del reato di cui all'articolo 648 cod. penumero per difetto dell'elemento soggettivo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. Nel caso di specie la condotta ascritta ai due indagati, di aver acquistato sostanze dopanti per uso personale e non a fini agonistici non raggiunge la soglia del fatto penalmente rilevante, ex articolo 648 cod. penumero , per difetto dell'elemento soggettivo del dolo specifico, vale a dire del fine di profitto, in testa all'agente. 3. Giudicando su un caso simile, questa Sezione, con la sentenza numero 843/2013, ha osservato quanto segue “In tema di elemento psicologico del reato di ricettazione, secondo un orientamento risalente, ma del tutto pacifico, di questa Corte, la nozione di profitto prevista dall'articolo 648 cod. penumero comprende non solo il lucro, ma qualsiasi utilità, anche non patrimoniale, che l'agente si proponga di conseguire. Cass. Sez. 2, Sentenza numero 9997 del 09/06/1981 Ud. dep. 07/11/1981 Rv. 150867 conf. mass. nnumero 142633 e 113288, Cass. 25 marzo 1954, Beggiato . Non può essere revocato in dubbio, pertanto, che anche una utilità esclusivamente morale possa integrare il fine di profitto. Tuttavia è altrettanto evidente che se la latitudine del concetto di profitto può essere estesa a qualsiasi utilità, la nozione di utilità, a sua volta non può essere estesa all'infinito. Diversamente ragionando si perverrebbe ad una interpretazione abrogante del dolo specifico richiesto dalla norma, con la conseguenza che la condotta di acquisto o ricezione di cosa proveniente da delitto sarebbe punibile solo sulla base del dolo generico, vale a dire la semplice conoscenza dell'origine illecita della cosa. Ritiene il Collegio che la nozione di utilità non possa essere forzata fino al punto da includervi anche la mera utilità negativa, vale a dire ogni circostanza che, senza ledere diritti od interessi altrui, si risolva in una mera lesione della sfera soggettiva dell'agente. Di conseguenza deve escludersi che il fine di compiere una azione in danno di sé stessi, sia pure perseguendo un' utilità meramente immaginaria o fantastica come nel caso di specie , possa integrare il fine di profitto, vale a dire il dolo specifico previsto dalla norma di cui all'articolo 648 per la punibilità delle condotte ivi descritte. Diversamente ragionando si arriverebbe al paradosso di considerare dettata dal fine di profitto l'azione di chi si procuri, attraverso un circuito illecito, dei barbiturici allo scopo di suicidarsi. Secondo le norme più elementari della logica, invece, non può essere revocato in dubbio che il suicidio, o altri atti lesivi della propria integrità psico-fisica non possano essere ricondotti alla nozione di utilità”. 4. Tanto premesso, questa Corte ha formulato il seguente principio di diritto “il dolo specifico del fine di profitto, previsto dall'articolo 648 cod. penumero per integrare la condotta di reato, non può consistere in una mera utilità negativa, che si verifica ogni volta che l'agente agisca allo scopo di commettere un'azione esclusivamente in danno di sé stesso, sia pure perseguendo un1 utilità meramente immaginaria o fantastica”. 5. Va considerato, inoltre, che le norme che interdicono la circolazione ed il commercio di anabolici e sostanze dopanti trovano la loro ragione giuridica nell'esigenza di tutela della salute dei potenziali consumatori. Di conseguenza il consumatore, per fini non agonistici, di tali sostanze è il soggetto debole tutelato dalla specifica normativa in materia. Alla luce di tali considerazioni deve essere annullata senza rinvio l'ordinanza impugnata del Tribunale per il riesame ed il provvedimento genetico del Gip va considerato che le norme che interdicono. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata ed il provvedimento 13/8/2012 del Gip di Firenze applicativo della misura cautelare perché il fatto non costituisce reato. Si provveda a norma dell'articolo 28 del Reg. Es. cod. proc. penumero .