Sposo immaturo, matrimonio nullo. Anche in Italia. Nonostante un rapporto ventennale

Confermata la trasposizione della pronuncia ecclesiastica, che supera anche il divorzio ufficializzato nell’ambito giudiziario italiano. Fondamentale il vizio riconosciuto all’uomo, che ha presentato domanda di annullamento. Negato peso significativo ai vent’anni di matrimonio ciò che conta davvero è l’effettiva convivenza.

Può bastare l’immaturità di uno dei coniugi per rendere nullo il matrimonio? Assolutamente sì, se tale carenza è ‘pesata’ come difetto così grave da «escludere un valido consenso» e da essere «suscettibile di percezione e di valutazione» all’esterno. E neanche la lunga durata del matrimonio può rendere la situazione meno ‘grave’ Cassazione, sentenza numero 9844, Prima sezione Civile, depositata oggi . Sposo bambino. Chiara la valutazione compiuta dai Tribunali ecclesiastici il matrimonio, durato oltre venti anni, è azzerato «per grave difetto di discrezione di giudizio» del marito. Così, la richiesta, avanzata dall’uomo, di annullamento viene accolta. E, subito dopo, tale decisione viene certificata, per lo Stato italiano, dalla Corte d’Appello per i giudici, difatti, era da riconoscere come acclarata la «condizione di sostanziale immaturità» attribuita all’uomo, e di tale rilievo da portare alla esclusione, ab origine, di «un valido consenso matrimoniale». A margine, peraltro, viene anche ritenuta non rilevante una precedente pronuncia del Tribunale – richiamata dalla donna – con cui era stata dichiarata «la cessazione degli effetti civili del matrimonio». Per i giudici, «il procedimento per la pronuncia di nullità e quello per la pronuncia della cessazione degli effetti civili» si differenziano per «petitum ed effetti», con la conseguenza che la trasposizione, in ambito nazionale, della nullità decisa dai Tribunali ecclesiastici è possibile «in quanto la sentenza di divorzio non spiega efficacia di giudicato sul punto della validità del vincolo», incidendo invece «solo sugli effetti civili prodotti dal matrimonio canonico». Matrimonio e convivenza. Doppia tesi, quella dei giudici d’Appello, non condivisa assolutamente dalla donna, che, rappresentata dal proprio legale, presenta ricorso in Cassazione, contestando, su tutta la linea, la pronuncia di secondo grado. Erroneo, secondo il legale, dare poco peso alla pronuncia di divorzio, che, invece, si ritiene contenga «una valutazione di validità del vincolo» che fa a pugni con la pronuncia ecclesiastica. Erroneo, peraltro, considerare decisiva l’immaturità dello sposo e dimenticare gli oltre venti anni di matrimonio della coppia. Decisione, quindi, da rimettere completamente in discussione? Non per i giudici della Cassazione, i quali rigettano il ricorso della donna. Questi ultimi, difatti, mostrano, in primo luogo, di condividere la posizione emersa in Appello sulla domanda di «cessazione degli effetti civili del matrimonio» in sostanza, se non vengono poste questioni «sulla esistenza e sulla validità del vincolo», allora la pronuncia di divorzio non può impedire la delibazione della sentenza ecclesiastica che «abbia dichiarato la nullità del matrimonio concordatario». E anche sul nodo della durata del matrimonio, poi, la posizione dei giudici di secondo grado viene confermata in primo luogo, è ritenuto di rilievo il «vizio psichico» – ossia la condizione di immaturità vista come «incapacità naturale» – riconosciuto in ambito ecclesiastico, perché «comportante inettitudine a intendere i diritti e i doveri del matrimonio al momento della manifestazione del consenso» in secondo luogo, ciò che conta davvero, evidenziano i giudici, non è la semplice, formale durata del matrimonio, ma la convivenza effettiva della coppia, convivenza destinata ad avere «una incidenza rilevante nell’ordine pubblico italiano, tale da impedire di annullare il matrimonio», ma, in questa vicenda, è stata richiamata unicamente «la durata ventennale».

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 9 dicembre 2011 – 15 giugno 2012, numero 9844 Presidente Luccioli – Relatore Schirò Svolgimento del processo C.G. ricorre per cassazione, con due motivi, nei confronti di A.B., avverso la sentenza numero 1226 in data 19 settembre 2009 della Corte di appello di Torino, che ha dichiarato efficace nella Repubblica Italiana, in accoglimento della domanda proposta dal Benigni, la Sentenza del Tribunale Ecclesiastico Regionale Ligure pronunciata il 22 giugno 2007 - confermata dal Tribunale Ecclesiastico Regionale di Appello di Torino con decreto in data 27 novembre 2007 e dichiarata esecutiva dal Supremo Tribunale della Signatura Apostolica con decreto del 24 gennaio 2008 - che ha dichiarato nullo, per grave difetto di discrezione di giudizio del marito, il matrimonio concordatario contratto dal B. con la G. il 4 luglio 1985 e trascritto nei registri degli atti di matrimonio del Comune di Campiglione Fenile al numero 6, parte II, Serie A, anno 1985, e successivamente alla quale era intervenuta sentenza del Tribunale di Chiavari del 28 gennaio 2008, passata in giudicato, che aveva dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio suddetto. A fondamento della decisione, la Corte di appello di Torino ha così motivato - il procedimento per la pronuncia di nullità del matrimonio e quello per la pronuncia della cessazione degli effetti civili dello stesso si differenziano per petitum e per gli effetti che ne derivano, con la conseguenza che la delibazione è possibile in quanto la sentenza di divorzio non spiega efficacia di giudicato sul punto della validità del vincolo, incidendo solo effetti civili prodotti dal matrimonio canonico - i principi di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole erano stati impropriamente invocati in relazione alla causale della dichiarata nullità, che nella specie non era riconnessa alla esclusione di uno o più bona matrimonii, ma era stata ravvisata nel grave difetto di discrezione di giudizio da parte del marito e cioè in una condizione di sostanziale immaturità della persona, tanto grave da escludere un valido consenso matrimoniale e da essere suscettibile di percezione e di valutazione nel suo esistere. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente - denunciando violazione dell’art 64, lett. e , della legge 1995/218 e falsa applicazione degli articolo 2909 c.c. e 324 c.p.c. - afferma che la sentenza impugnata ha errato nell’affermare che la delibazione è possibile, in quanto la pronuncia di divorzio non spiega efficacia di giudicato sul punto della validità del vincolo, incidendo solo sugli effetti civili del matrimonio canonico. La Gentile deduce che la pronuncia di divorzio contiene una valutazione di validità del vincolo nei limiti di un accertamento incidentale, che però assume autorità di giudicato ostativo alla delibazione ai sensi dell’articolo 64, lett. e , della legge 1995/218, secondo cui per la delibazione è necessario che la decisione del giudice straniero non sia contraria ad altra sentenza di un giudice italiano passata in giudicato. La censura è priva di fondamento. Osserva infatti il collegio che la domanda di cessazione degli effetti del matrimonio ha causa petendi o petitum diversi da quelli della domanda di nullità del matrimonio concordatario, investendo il matrimonio e non l’atto con il quale è stato costituito il vincolo tra i coniugi. Pertanto, ove nel giudizio di divorzio le parti non introducano esplicitamente questioni sulla esistenza e sulla validità del vincolo - le quali darebbero luogo a statuizioni incidenti sullo status delle persone, e, quindi, da decidere necessariamente, ai sensi dell’articolo 34 c.p.c., con efficacia di giudicato -, l’esistenza e la validità del matrimonio non formano oggetto di specifico accertamento suscettibile di determinare la formazione del giudicato. Né consegue che, in dette ipotesi, la sentenza di divorzio non impedisce la delibazione della sentenza del tribunale ecclesiastico che abbia dichiarato la nullità del matrimonio concordatario, in coerenza con gli impegni assunti dallo Stato italiano con l’Accordo di revisione del Concordato lateranense, stipulato il 18 febbraio 1984 e reso esecutivo con legge 25 marzo 1985, numero 121 - che ha abolito la riserva di giurisdizione in favore dei tribunali ecclesiastici sulle cause di nullità dei matrimoni concordatari, in precedenza stabilita dall’articolo 34, quarto comma, del Concordato del 1929 e nei limiti di essi Cass. 2005/4795 2008/3136 . La Corte di appello di Torino - affermando che il procedimento per la pronuncia di nullità del matrimonio e quello per la pronuncia della cessazione degli effetti civili dello stesso si differenziano per petitum e per gli effetti che ne derivano, con la conseguenza che la delibazione è possibile in quanto la sentenza di divorzio non spiega efficacia di giudicato sul punto della validità del vincolo, incidendo solo sugli effetti civili prodotti dal matrimonio canonico - si è uniformata al principio sopra enunciato e la sentenza impugnata resiste pertanto sul punto alla infondata critica della ricorrente. 2. Con il secondo motivo - denunciando violazione dell’articolo 64, lett. g , della legge 1995/218 e degli articolo 120 e 122 c.c. e vizio di motivazione - la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte di merito sostenuto che il grave difetto di discrezione di giudizio è assimilabile alle fattispecie disciplinate dagli articolo 120 e segg. c.c. e per aver comunque affermato che nel caso di specie la sostanziale immaturità del B., tanto grave da escludere un valido consenso matrimoniale, costituiva “una condizione suscettibile di percezione e di valutazione nel suo esistere”. Deduce al riguardo la ricorrente che la Corte di merito ha ignorato che il matrimonio è durato circa venti anni e che tale circostanza è ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, costituendo espressione di una volontà di accettazione del rapporto che ne è seguito. Anche tale doglianza non ha fondamento. Infatti, in tema di delibazione della sentenza di un tribunale ecclesiastico dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario, per difetto di consenso, la situazione di vizio psichico ob defectum discretionis iudicii da parte di uno dei coniugi, assunta in considerazione dal giudice ecclesiastico siccome comportante inettitudine del soggetto ad intendere i diritti ed i doveri del matrimonio al momento della manifestazione del consenso, non si discosta sostanzialmente dall’ipotesi di invalidità contemplata dall’articolo 120 c.c., cosicché è da escludere che il riconoscimento dell’efficacia di una tale sentenza trovi ostacolo nei principi fondamentali dell’ordinamento italiano Cass. 1988/4710 1997/3002 2009/19808. In senso conforme, cfr. Cass. 1937/5822 2000/4387 2006/10796 2011/1262 . Contrasto con tali principi non si rende ravvisabile neppure sotto il profilo del difetto di tutela dell’affidamento della controparte. Infatti, al riguardo, è sufficiente rilevare che, mentre la disciplina generale dell’incapacità naturale dà rilievo, in tema di contratti, alla buona o alla mala fede dell’altra parte articolo 428 c.c., comma 2 , tale aspetto si rende invece del tutto ignorato nella disciplina dell’incapacità naturale vista quale causa di invalidità del matrimonio, essendo preminente, in tal caso, l’esigenza di rimuovere il vincolo coniugale inficiato da vizio psichico Cass. 1997/3002 2009/19808 . Quanto alla rilevanza della durata ventennale del matrimonio, prospettata dalla ricorrente con riferimento all’orientamento di questa Corte secondo cui è ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario la convivenza prolungata dei coniugi successivamente alla celebrazione del matrimonio, in quanto essa è espressiva di una volontà di accettazione del rapporto che ne è seguito, con cui è incompatibile, quindi, l’esercizio della facoltà di rimetterlo in discussione, altrimenti riconosciuta dalla legge Cass. 2011/1343 , osserva il collegio che il principio giurisprudenziale richiamato attribuisce rilievo, quale situazione ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario, alla convivenza prolungata dei coniugi successivamente alla celebrazione del matrimonio e non alla semplice durata del matrimonio medesimo, a cui ha invece fatto riferimento la ricorrente. Ciò in quanto l’ordine pubblico interno matrimoniale evidenzia un palese favor per la validità del matrimonio quale fonte del rapporto familiare incidente sulla persona e oggetto di rilievo e tutela costituzionali Cass. S.U. 2008/19809 , con la conseguenza che, per i principi emergenti dalla Costituzione e dalla riforma del diritto di famiglia, è proprio il matrimonio-rapporto, fondato sulla convivenza dei coniugi, ad avere una incidenza rilevante nell’ordine pubblico italiano, tale da impedire di annullare il matrimonio dopo che è iniziata la convivenza e spesso se questa è durata per un certo tempo Cass. 2003/3339 Cass. 2011/1343 . Nel caso di specie, invece, la ricorrente si è limitata a porre in evidenza la mera durata ventennale del matrimonio e non la effettiva convivenza dei coniugi per lo stesso periodo, fermo restando che in ogni caso tale situazione di effettiva convivenza avrebbe dovuto essere dedotta e provata, nella fase di delibazione della sentenza ecclesiastica, da parte della convenuta, che, invece, né dalla sentenza impugnata né dallo stesso ricorso per cassazione risulta aver spiegato nel giudizio di delibazione attività difensiva in tale senso. Le considerazioni che precedono conducono al rigetto del ricorso, ma nulla deve disporsi in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo gli intimati svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’articolo 52 del d.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.