Ai fini della pensione sociale il reddito valutabile è solo quello assoggettabile ad imposta.
Lo ha ribadito la sez. Lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza n. 13109/13, depositata lo scorso 27 maggio. Il caso. I giudici di primo e secondo grado, ritenendo che ai fini della concessione dell’assegno sociale dovesse tenersi conto anche del patrimonio immobiliare della richiedente, pur se non produttivo di reddito, ma di facile e pronta locazione, negava ad una donna il diritto alla corresponsione della pensione sociale art. 26 legge n. 153/1969 . L’interessata, quindi, presenta ricorso per cassazione. Il reddito valutabile ai fini della pensione sociale è solo quello assoggettabile ad imposta. Premesso che la pensione sociale ha natura assistenziale e che ha come presupposto le condizioni di bisogno del soggetto ultrasessantacinquenne privo di redditi sufficienti a garantirgli minimali mezzi di sussistenza, la Cassazione precisa che il reddito valutabile ai fini della pensione sociale è solo quello assoggettabile ad imposta . I giudici di merito, nella fattispecie, hanno omesso di considerare che, ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, il reddito degli immobili dati in comodato o non locati va determinato applicando apposite tariffe stabilite secondo le norme della legge catastale . Con i ma e con i se Insomma, la Corte di merito ha erroneamente considerato il valore della rendita annua che l’interessata avrebbe potuto conseguire dalla locazione di alcuni immobili che risultavano concessi in comodato o non locati.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 marzo 27 maggio 2013, n. 13109 Presidente Stile Relatore Filabozzi Svolgimento del processo A P. ha chiesto l'accertamento del proprio diritto alla corresponsione della pensione sociale di cui all'art. 26 legge n. 153/69, sostenendo che, a questi fini, doveva tenersi conto solo dei redditi assoggettabili all'imposta sul reddito delle persone fisiche, non rilevando la proprietà di beni immobili che non fossero produttivi di reddito. Il Tribunale di Bergamo ha rigettato la domanda con sentenza che è stata confermata dalla Corte d'appello di Brescia, che ha ritenuto che, ai fini della concessione dell'assegno sociale, dovesse tenersi conto anche del patrimonio immobiliare della ricorrente, pur se non produttivo di reddito, ma di facile e pronta locazione, non potendo la concreta produttività dei beni patrimoniali farsi dipendere da una scelta meramente potestativa del loro proprietario. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione P.A. affidandosi a due motivi di ricorso cui resiste con controricorso l'Inps. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 26 legge n. 153/69 e 12 preleggi, nonché vizio di motivazione, richiamando una sentenza della S.C. secondo cui ai fini del riconoscimento del diritto alla pensione sociale possono essere prese in considerazione solo le entrate economiche assoggettabili all'imposta sul reddito delle persone fisiche e chiedendo a questa Corte di stabilire se ai fini della costituzione della c.d. pensione sociale il reddito del richiedente preso in esame è solo quello effettivamente prodotto e rilevante ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche . 2.- Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 112 c.p.c., 1366 e 1147 c.c., nonché vizio di motivazione, censurando la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto che l'avere lasciato totalmente infruttiferi immobili potenzialmente produttivi di reddito integrasse un comportamento doloso finalizzato alla liquidazione della pensione sociale e chiedendo a questa Corte di stabilire se è viziata da ultrapetizione e quindi nulla la sentenza che ritiene sussistere dolo della parte richiedente i benefici dell'art. 26 l. 153/69 in assenza di specifica deduzione al riguardo dell'ente previdenziale convenuto, valendo oltretutto, sino a prova contraria, la presunzione di buona fede . 3.- I motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono fondati. L'art. 26, primo comma, della legge n. 153 del 1969, come modificato dall'art. 3 del d.l. n. 30 del 1974, convertito nella legge n. 114 del 1974, stabilisce che ai cittadini italiani che abbiano compiuto l'età di 65 anni, che posseggano redditi propri assoggettabili all'imposta sul reddito delle persone fisiche per un ammontare non superiore a L. 336.050 annue - importo via via elevato in relazione alla perequazione automatica - è corrisposta, a domanda, una pensione sociale non reversibile . Nel caso di soggetti coniugati non separati la stessa disposizione prevede il cumulo dei redditi di entrambi i coniugi, identificando un tetto di riferimento per l'erogazione del beneficio. Come già rilevato dalla Corte territoriale, la natura assistenziale della prestazione non è controversa. Essa ha come presupposto le condizioni di bisogno del soggetto ultrasessantacinquenne privo di redditi sufficienti a garantirgli minimali mezzi di sussistenza. Peraltro, come risulta espressamente dal tenore letterale della disposizione in esame, lo stato di bisogno è definito dalla legge sulla base di un criterio oggettivo rappresentato dal reddito assoggettabile all'imposta sul reddito delle persone fisiche. Circa la definizione di tale requisito economico, giova ricordare che il testo originario dell'art. 26 prevedeva che avessero diritto alla pensione sociale coloro che non fossero titolari di redditi a qualsiasi titolo di importo pari o superiore a lire . L'attuale formulazione dell'art. 26 è, dunque, ancora più specifica perché non prende indifferentemente in considerazione qualsiasi tipo di entrata economica, ma soltanto i redditi assoggettabili all'imposta sul reddito delle persona fisiche e, in coerenza con tale prescrizione, stabilisce, al comma 11, che il requisito del reddito minimo debba essere dimostrato esclusivamente per mezzo di uno specifico documento, consistente nella certificazione da rilasciarsi, senza spese, dagli uffici finanziari sulla dichiarazione resa dal richiedente su modulo conforme a quello approvato con decreto del Ministero delle finanze da cui risulti l'esistenza dei prescritti requisiti . 4.- Questa Corte ha già precisato, al riguardo cfr. Cass. n. 3958/2001 , che, sulla base delle suddette disposizioni, deve ritenersi che il reddito valutabile ai fini della pensione sociale è solo quello assoggettabile ad imposta, a nulla rilevando, se non sotto questo profilo puntuale, la capacità economica del soggetto rapportabile al patrimonio, genericamente inteso cfr., in termini Cass. 2 aprile '86, n. 2273 18 dicembre '85, n. 6472 29 maggio '91, n. 6085 16 gennaio '96, n. 317 1 giugno '99, n. 5326 , dovendosi, invece, valutare a tal fine il reddito prodotto da immobili dati in locazione a prezzo esiguo o in comodato, unitamente ad altri eventuali cespiti, e ciò secondo le vigenti disposizioni del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 e successive modificazioni disposizioni che s'intendono richiamate dal citato art. 26, comma primo, legge n. 153 del 1969 . 5.- Nella specie, la Corte territoriale, pur avendo correttamente premesso nella motivazione che il reddito valutabile ai fini della pensione sociale è soltanto quello assoggettabile ad imposta , ha poi preso in considerazione il valore della rendita annua - così come stabilito attraverso una consulenza tecnica d'ufficio - che l'interessata avrebbe potuto conseguire dalla locazione di alcuni immobili che risultavano concessi in comodato o non locati, aggiungendo che il lasciare totalmente infruttiferi immobili di pronta e immediata redditività, integra un comportamento doloso finalizzato alla liquidazione di una pensione non spettante così decidendo, la Corte di merito ha tuttavia introdotto - sulla base, peraltro, di una illazione che rimane priva di qualsiasi effettivo elemento di riscontro - elementi di valutazione non previsti dalla normativa applicabile alla fattispecie in esame art. 26 l. n. 153/69 , omettendo, peraltro, di considerare che, ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, il reddito degli immobili dati in comodato o non locati va determinato sulla base delle vigenti disposizioni di legge in materia già richiamate nella citata sentenza n. 3958/2001 di questa Corte , disposizioni che prevedono, allo scopo, l'applicazione di apposite tariffe stabilite secondo le norme della legge catastale, con l'applicazione delle riduzioni o degli aumenti previsti in relazione alla diverse ipotesi di utilizzazione dell'immobile. 6.- La sentenza impugnata, che non si è attenuta ai principi sopra indicati, deve essere pertanto cassata con rinvio ad altro giudice, che si designa nella Corte d'appello di Milano, perché provveda alla decisione della controversia nel rispetto dei suddetti principi. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d'appello di Milano.