""Terrone"" è un'ingiuria, anche se l'offeso non è meridionale

Dare del terrone a qualcuno è un'ingiuria. L'espressione è penalmente rilevante anche se la persona offesa non ha origini meridionali.

Durante una lite condominiale, un condomino dice «terrone» a un suo vicino di casa e viene condannato per il reato di ingiuria. La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 42933/2011 depositata il 21 novembre, sostiene che la frase abbia una connotazione odiosamente razzista. Il caso. Nello specifico, era successo che un condomino aveva chiesto al suo vicino di casa, con cui c'erano antiche ruggini, la chiave di un cancello che chiudeva uno spazio condominiale. A quel punto si scatenava un'accesa discussione che culminava con la frase «lei per me può solo andare a fa 'nculo, terrone di merda!». Dal condominio, quindi, si giunge in un'aula di tribunale, dove i giudici di primo e secondo grado emettono una condanna per ingiuria. Nel ricorso per cassazione presentato dal condannato, si lamenta l'insussistenza dell'elemento oggettivo del reato, attesa l'inidoneità della espressione a ledere il bene protetto e comunque la sussistenza della causa di non punibilità dello stato d'ira, determinato dal fatto ingiusto dell'insultato articolo 599 c.p. . Il fatto ingiusto sarebbe proprio la richiesta della chiave, al fine di scatenare la reazione, poi effettivamente verificatasi. Il ricorrente rileva che i rapporti tra i due vicini di casa erano tesi da tempo per ragioni di contrapposizione all'interno del condominio, inoltre - aggiunge - «bisogna tener conto del fatto che le espressioni adoperate sono ormai divenute di uso comune e hanno perso la loro portata offensiva, poi ancora che l'offeso ha costruito l'occasione ». Come poteva sentirsi offeso dalla parola «terrone», se egli non è originario dell'Italia meridionale? La giurisprudenza di legittimità, preso atto del mutamento del contesto socio-culturale e del diffondersi dell'uso di espressioni poco corrette, sottolinea che le stesse «vanno comunque contestualizzate e riportate al criterio di media convenzionale del linguaggio». Quattro i parametri da valutare per la configurazione del reato la personalità dell'offeso, quella dell'offensore, il contesto in cui l'espressione viene utilizzata, la coscienza sociale. In sostanza, il Collegio, pur premettendo che «la recente giurisprudenza di legittimità ha mostrato alcune “aperture” verso un linguaggio più diretto e “disinvolto”», ha affermato che «talune espressioni hanno un carattere obiettivamente insultante». L'espressione utilizzata nel caso in esame, «contiene anche una connotazione odiosamente razzista “terrone” » e il fatto che la persona offesa non abbia origini meridionali non è rilevante. Offesa doppia nei confronti del suo vicino e degli italiani del Sud. Egli è stato paragonato, oltre che a un rifiuto organico, anche a un individuo che, per la sua origine, è evidentemente ritenuto obiettivamente inferiore. Per cui, gli Ermellini dichiarano inammissibile il ricorso e condannano il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento di 1.000 euro in favore della Cassa delle ammende e alla rifusione delle spese della parte civile pari a 1.800 euro .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 29 settembre – 21 novembre 2011, numero 42933 Presidente Amato – Relatore Fumo Rilevato in fatto Il Tribunale di Novara, con la sentenza di cui in epigrafe, ha confermato la pronunzia di primo grado con la quale G.V. fu condannato alla pena di giustizia, oltre risarcimento del danno, perché ritenuto responsabile del delitto di ingiuria in danno di C.A. , cui rivolgeva le parole lei per me può solo andare a fa ‘nculo, terrone di merda!”. Ricorre per cassazione il difensore e deduce violazione di legge e difetto dell'apparato motivazionale, per insussistenza dell'elemento oggettivo del reato, attesa la inidoneità della espressione a ledere il bene protetto e comunque la sussistenza della causa di non punibilità ex articolo 599 cp. La giurisprudenza di legittimità ha preso atto del mutamento del contesto socio culturale e del diffondersi dell'uso di espressioni poco corrette, che vanno comunque contestualizzate e riportate al criterio di media convenzionale del linguaggio. Dunque, per valutare la natura effettivamente offensiva di un'espressione, si deve aver riguardo a quattro parametri la personalità dell'offeso, quella dell'offensore, il contesto in cui l'espressione fu utilizzata, la coscienza sociale. Ebbene, va innanzitutto ricordato che i rapporti tra G. e C. erano tesi da tempo per ragioni di contrapposizione all'interno del condominio, poi bisogna tener conto del fatto che le espressioni adoperate dal primo sono ormai divenute di uso comune e hanno perso la loro portata offensiva, poi ancora che l'offeso ha costruito l'occasione , rivolgendo, prima, alla moglie del G. e, poi, al predetto, una richiesta che egli sapeva avrebbe fortemente irritato i destinatari. Tanto ha fatto in presenza di una terza persona che, ad arte, aveva portato con sé. La esimente articolo 599 cp, dunque ricorre ad evidenza, in quanto la reazione dell'imputato era certamente prevedibile da parte del C. . È poi chiaro che, non avendo il C. alcuna stima del G. , lo stesso non poteva sentirsi offeso dalle parole del predetto. Meno che mai poteva sentirsi offeso dalla parola terrone , in quanto egli non è originario dell'Italia meridionale. Ha depositato memoria il difensore della PC, con la quale chiede il rigetto del ricorso, allegando nota spese. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile perché, in parte, articolato in fatto, in parte, manifestamente infondato. È articolato in fatto nella parte in cui sostiene - per altro senza fornire dimostrazione alcuna - che C. poteva prevedere la reazione del G. e che lo stesso avrebbe, in pratica, predisposto una sorta di agguato per scatenare nel G. la reazione verbale e poterlo, quindi, querelare. Partendo dal presupposto che tra i due esisteva un'antica ruggine, il ricorso pretende di dedurre che C. avrebbe fatto cadere in trappola in presenza di terza persona il G. , creando ad arte una situazione che, quasi certamente, avrebbe indotto il predetto a insultarlo. Ciò, a parere del ricorrente, integrerebbe la condizione di non punibilità ex articolo 599 cp. Orbene, a parte il fatto che tale assunto è meramente enunciato, è il caso di ricordare che, in base al dettato dell'articolo 599 cp, non è punibile chi abbia ingiuriato altra persona nello stato d'ira, determinato dal fatto ingiusto dell'insultato. Nel caso di specie, il fatto ingiusto sarebbe - come si legge in sentenza e come il ricorrente non contesta - la richiesta di ottenere la chiave di un cancello che chiudeva uno spazio condominiale. Questo è il dato obiettivo, mentre l'ipotesi che la richiesta sia stata avanzata per provocare una prevedibile reazione è, come si diceva, meramente enunziata. Ma, a ben vedere, se anche ciò fosse, manche potrebbe ritenersi integrato il requisito della ingiustizia del fatto antecedente alla reazione ingiuriosa, atteso che l'esercizio di un diritto, sia pure a titolo sperimentale sai per vedere come risponde l'obbligato alla prestazione , non costituisce, di per sé, fatto ingiusto. Quanto poi all'assunto che la espressione utilizzata e che il, G. non nega non avrebbe carattere offensivo, esso è del tutto destituito di fondamento. È pur vero che la recente giurisprudenza di questa Sezione ha mostrato alcune aperture verso un linguaggio più diretto e disinvolto , ma è altrettanto vero che talune espressioni hanno un carattere obiettivamente insultante. Ciò che conta è la valenza sociale delle parole, al di là e al di fuori della specifica intenzione di chi le adopera e, bene inteso, sempre che chi le adopera ne sia consapevole . Certamente obiettivamente ingiuriose sono quelle espressioni con le quali si disumanizza la vittima, assimilandola a cose, animali o concetti comunemente ritenuti ripugnanti, osceni, disgustosi. Di talché, paragonare un uomo a un escremento terrone di merda” è certamente locuzione che, per quanto possa essersi degradato il codice comunicativo, conserva intatta la sua valenza ingiuriosa. L'espressione utilizzata nel caso in esame, contiene anche una connotazione odiosamente razzista terrone e non vale osservare che il C. non aveva origini meridionali, atteso che, con la medesima tecnica della assimilazione denigratoria, egli è stato paragonato, non solo a un rifiuto organico, ma anche a un individuo che, per la sua origine, è evidentemente ritenuto obiettivamente inferiore si intende dal G. , che, in un sol colpo, ha offeso il C. e gli italiani del Sud . Né la personalità dell'offensore che dal ricorso si apprende essere persona di livello culturale superiore il Dott. G. può essere invocata per scriminare la sua condotta o attenuarne la valenza negativa, atteso che proprio detto livello ha ragionevolmente fatto presumere ai giudici del merito che l'imputato fosse pienamente consapevole della valenza fortemente negativa delle espressioni adoperate. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue condanna alle spese del grado. Consegue anche condanna al versamento di somma a favore della cassa ammende. Si stima equo determinare detta somma in Euro 1000. L'imputato è anche tenuto al ristoro delle spese sostenute dalla PC in questo grado di giudizio, che si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro in favore della Cassa delle ammende condanna altresì il ricorrente alla rifusione delle spese della parte civile, liquidate in complessivi Euro milleottocento 1.800 , oltre accessori, come per legge.