L'ostetrica fa il cesareo, il dirigente è licenziato

È legittimo il licenziamento per giusta causa del dirigente medico della Asl che consente all'ostetrica di effettuare un intervento chirurgico di taglio cesareo.

La negazione grave degli elementi essenziali di un rapporto di lavoro, con riferimento ad ogni componente, soggettiva ed oggettiva dei fatti addebitati al lavoratore, e al grado di affidamento richiesto dai compiti dallo stesso disimpegnati in relazione alla realizzazione degli scopi perseguiti dal datore di lavoro, integra una giusta causa di licenziamento allorché il dipendente violi disposizioni legali e regolamentari che regolano l'esecuzione della prestazione e che sono volte a garantire la qualità e l'affidabilità del servizio erogato dal datore di lavoro e a proteggere il diritto alla salute degli utenti del servizio stesso.Due tagli cesarei e il chirurgo consente. Alla luce del principio di diritto dettato dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 8458 del 13 aprile, è legittimo pertanto il licenziamento del medico chirurgo che abbia autorizzato un'ostetrica, al di fuori delle ipotesi previste, ad effettuare un intervento chirurgico di taglio cesareo in un'occasione e ad assumere funzioni di secondo operatore durante altro parto cesareo.Non solo le regole della scienza medica, ma anche il regolamento ospedaliero relativo al reparto di ostetricia e ginecologia, non consentono la delega di funzioni proprie del personale medico ad altri ausiliari, a ciò non autorizzati, in assenza di particolari situazioni di urgenza.Proporzionalità fra fatto addebitato e recesso. Gli ermellini colgono l'occasione dal caso di specie per far chiarezza sul principio di necessaria proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, richiamando la giurisprudenza di legittimità consolidata che individua l'inadempimento idoneo a giustificare il licenziamento in ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali.Pertanto ciò che appare veramente decisivo, ai fini della valutazione della proporzionalità fra addebito e sanzione, è l'influenza che sul rapporto di lavoro è in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, sia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento, tenuto conto, fra l'altro, del grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni svolte dal lavoratore.Ne deriva che la proporzionalità della sanzione non può essere valutata solo in conformità alla funzione dissuasiva che la stessa sia destinata ad esercitare sul comportamento degli altri dipendenti, dal momento che il principio di proporzionalità implica un giudizio di adeguatezza eminentemente soggettivo, e cioè calibrato sulla gravità della colpa e sull'intensità della violazione della buona fede contrattuale che esprimano i fatti contestati, alla luce di ogni circostanza utile in termini soggettivi ed oggettivi ad apprezzarne l'effettivo disvalore ai fini della prosecuzione del rapporto contrattuale.Ciò che l'ostetrica può e non può fare. Queste le prescrizioni normative che delimitano la competenza dell'ostetrica che partecipa - alla preparazione psicoprofilattica al parto - alla preparazione e all'assistenza ad interventi ginecologici.La stessa deve essere in grado di individuare situazioni potenzialmente patologiche che richiedono l'intervento medico e di praticare, ove occorra, le relative misure di particolare emergenza.Ne deriva che non è ascrivibile alla competenza di tale profilo professionale l'esecuzione di interventi chirurgici e che, comunque, interventi medici possono essere praticati solo nei limiti delle misure di particolare emergenza richieste da situazioni in tal senso qualificabili.