Nessun dubbio sulla condotta tenuta da un odontotecnico, che, all’interno di un Centro specializzato, ha realizzato operazioni di competenza esclusiva degli odontoiatri consequenziale la condanna, anche per il titolare della struttura che ha dato il consenso a determinati interventi abusivi. Riconosciuto, però, anche il risarcimento del danno morale per il paziente, alla luce dell’ansia provocata dalle potenziali conseguenze negative per l’intervento subito da parte di un soggetto non abilitato.
Fatale la rilevazione dell’impronta dentaria. O meglio, fatale il fatto che a portare a termine l’operazione, nel contesto dello studio dentistico, sia stato non un odontoiatra – titolare della struttura – bensì un odontotecnico. Conseguenziale, e logica, la contestazione del reato di abusivo esercizio di una professione. Altrettanto logico il risarcimento del danno morale a favore della parte civile, ossia della donna che ha ‘subito’ l’operazione naturale presumere lo stato d’ansia del paziente, a causa della pratica medica esercitata da un soggetto non abilitato Cassazione, sentenza numero 31129, sez. VI Penale, depositata oggi . Danno morale. Vicenda ricostruita nei minimi dettagli, grazie alle «indagini condotte dai Nas» e alle parole della «parte civile», una donna. Emerge, in maniera chiara, che, all’interno del Centro odontoiatrico, alcuni lavori sui pazienti venivano eseguiti, in maniera illegittima, da un odontotecnico, col «consenso», però, dell’odontoiatra titolare della struttura. Ciò conduce, secondo i giudici di merito, a condannare odontotecnico e odontoiatra per abusivo esercizio di una professione, con riferimento specifico ad una «rilevazione dell’impronta dentaria» effettuata, come detto, sulla donna. E tale prospettiva viene, ora, condivisa anche dai giudici della Cassazione, i quali, difatti, confermano la condanna come decisa in Appello. Acclarato, difatti, che l’odontotecnico – col consenso e, talora, alla presenza dell’odontoiatra – «operava all’interno del Centro da lui fondato, con continuità e con mansioni non esclusivamente tecniche ma estese a pratiche che, seppur non particolarmente invasive, erano e sono riservate al medico odontoiatra, come il prelievo di impronte dentali, le prove in bocca di componenti di impianti e la collocazione in bocca di protesi o parti di esse». Altrettanto indiscutibile, per i giudici, il riconoscimento del «danno morale» subito dalla donna. Decisiva, a questo proposito, la considerazione che «il paziente, che si rivolge a un medico abilitato per ottenere una prestazione, fa affidamento sulla professionalità soggettiva», quindi «la pratica medica da parte di un soggetto non abilitato lede direttamente tale affidamento, determinando, nel paziente, uno stato d’animo di ansia» per il «timore di future evoluzioni negative per la propria salute».
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 10 aprile – 15 luglio 2014, numero 31129 Presidente Agrò – Relatore Di Salvo Ritenuto in fatto 1. D.E.M. e V.R. ricorrono per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Bologna, in data 15-5-13, nella parte in cui è stata confermata la sentenza di condanna emessa in primo grado, in ordine al delitto di cui all'art 348 cp, limitatamente alla prestazione effettuata dal D.E., che è un odontotecnico, con il consenso del V., odontoiatra, in data 2-12-2005, e consistente nella rilevazione dell'impronta dentaria. 2. D.E.M. deduce, con il primo motivo, violazione degli articolo 192 e 430 bis cod. proc. penumero nonché vizio di motivazione poiché la declaratoria di responsabilità si fonda esclusivamente sulle dichiarazioni della parte civile, F.F., in quanto le dichiarazioni di P.G. non riguardano il ricorrente e quelle di E.G. ineriscono ad un procedimento civile conclusosi con una transazione e relativo a fatti del 2001. Si trascura che, durante le indagini condotte dai N.A.S., i clienti del Centro odontoiatrico, in cui il ricorrente prestava la propria attività lavorativa, hanno tutti dichiarato che gli interventi venivano effettuati esclusivamente dai medici odontoiatri V. e S. 2.1. Il secondo motivo si appunta invece sul riconoscimento del danno morale alla parte civile poiché l'oggetto giuridico della norma è esclusivamente di natura amministrativa e non si sono verificate lesioni personali né vi sono stati danni di natura patrimoniale a carico di chicchessia. 2.2. Con il terzo motivo, si lamenta violazione degli articolo 516 e 518 ss. cod. proc. penumero poiché l'imputazione, mai modificata dal PM, fa riferimento ad un'epoca anteriore e prossima al 2005 mentre il fatto è del tutto estraneo all'accusa, così come formulata, essendo anche cronologicamente collocato in un periodo in essa non compreso. 3. V.R. deduce, con il primo motivo, illegittimità costituzionale, per contrasto con l'articolo 25 Cost., dell'art 348 cp, in relazione all'art 100 del TULSS, la cui formulazione è assolutamente indeterminata per quanto concerne la descrizione della condotta che, se posta in essere dal soggetto non abilitato, integra il reato di cui all'art 348 cp, non essendo dato cogliere il discrimen fra le attività che possono essere espletate dall'odontotecnico e quelle riservate all'odontoiatra. 3.1. Con il secondo motivo, vengono formulate critiche all'impianto argomentativo della sentenza impugnata in un orizzonte concettuale non dissimile da quello del precedente ricorso, specificandosi che il teste F. ha riferito di essere stato curato esclusivamente dal dr. V. e che dunque non esiste alcun elemento d'accusa a carico di quest'ultimo, se non la parola della parte civile. 3.2. Con il terzo motivo, vengono proposte critiche del tutto analoghe a quelle formulate con il ricorso dei coimputato, in tema di insussistenza del danno morale e di qualunque altro danno per la parte civile. 3.3. Con l'ultimo motivo, si deduce prescrizione del reato, essendovi massima incertezza sulla collocazione temporale dell'unico episodio ascritto al V., ingiustificatamente fissata dai giudici di merito alla data del 2-12-2005, in difformità da quanto contestato nell'imputazione e da quanto emerso dalle risultanze acquisite, che collocano i fatti in disamina fra il giugno e il settembre 2005, onde il reato è estinto per prescrizione. Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 4. Il primo motivo del ricorso presentato da D.E. è infondato. La Corte d'appello ha infatti evidenziato come le convergenti testimonianze di P.G., F.F. e G.E. dimostrino, in termini di appagante certezza, che D.E.M. operava all'interno del Centro da lui fondato, con continuità e con mansioni non esclusivamente tecniche ma estese a pratiche che, seppur non particolarmente invasive, erano e sono riservate al medico odontoiatra, come il prelievo di impronte dentali, le prove in bocca di componenti di impianti e la collocazione in bocca di protesi o parti di esse. Conferma indiretta di tali solidi e convergenti apporti testimoniali è fornita, sotto il profilo logico, dal dato, incontestato, che D.E., odontotecnico anziano ed esperto, era stato titolare del medesimo studio professionale odontoiatrico fino al momento in cui si era indotto a cedere la propria avviata attività ai due sanitari, odierni imputati. Ciò nonostante egli aveva continuato a frequentare il Centro stesso, risultando presente a quasi tutti i pazienti esaminati. Ciò esclude che egli si recasse in loco solo per dare continuità al pregresso avviamento aziendale, presentando i clienti ai nuovi gestori. Gli interventi abusivi di D.E.M. venivano effettuati su pazienti che si erano affidati alle cure del dr. V., talvolta in parziale presenza di quest'ultimo, con il suo previo intervento o consiglio o supervisione e pertanto con il suo pieno e consapevole contributo causale alla consumazione di tali abusive prestazioni, integranti le contestate condotte delittuose. 4.1. Dalle cadenze motivazionali della sentenza d'appello è dunque enucleabile una attenta analisi della regiudicanda, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive, respingendole attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede. Né la Corte suprema può esprimere alcun giudizio sull'attendibilità delle acquisizioni probatorie, giacchè questa prerogativa è attribuita al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da questo compiute, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze agli atti, si sottraggono al sindacato di legittimità Sez. unumero 25-11-95, Facchini, rv203767 . 5. Nemmeno il secondo motivo merita accoglimento . Al riguardo, il giudice a quo argomenta nel senso che, innegabilmente, il paziente che si rivolge a un medico abilitato per ottenere una prestazione fa affidamento sulla professionalità soggettiva e sui controlli che sia gli ordini professionali sia le autorità amministrative svolgono in merito alla competenza e adeguatezza dei sanitario. Ne deriva che la pratica medica da parte di un soggetto non abilitato lede direttamente tale affidamento, determinando, nel paziente, uno stato d'animo di ansia, per il timore di future evoluzioni negative per la propria salute, e quindi un danno morale. L'impianto argomentativo a sostegno del decisum si sostanzia dunque in un apparato esplicativo puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l'iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità. 6. Il terzo motivo del ricorso di D.E.M. è manifestamente infondato. L'imputazione di cui al capo A indica come tempus commissi delicti, l'anno 2005. La condanna è intervenuta esclusivamente per un fatto verificatosi il 2-12-05 e quindi rientrante appieno nell'arco temporale individuato dalla contestazione. 7. Non può essere accolto il primo motivo del ricorso presentato dal V Come si è appena visto, la declaratoria di responsabilità inerisce esclusivamente alla prestazione effettuata dal D.E., con il consenso del V., in data 2-12-2005, e consistente nella rilevazione dell'impronta dentaria. Orbene, neanche il ricorrente mette in dubbio che il prelievo dell'impronta dentaria esuli dalle competenze dell'odontotecnico e rientri in quelle dell'odontoiatra. E' dunque priva di rilevanza, ai fini della definizione della regiudicanda, la questione di legittimità costituzionale prospettata dal ricorrente e fondata sulla inafferrabilità del discrimen fra le attività che possono essere espletate dall'odontotecnico e quelle riservate all'odontoiatra, atteso che è dei tutto incontroverso che il D.E. non fosse abilitato alla prestazione espletata. 8. Per quanto attiene al secondo motivo del ricorso presentato dal V., sono da richiamarsi le argomentazioni in precedenza svolte cfr. par. 4 , a proposito delle analoghe censure formulate dal D.E. Occorre soltanto aggiungere che la Corte d'appello ha sottolineato come la testimonianza di F. Francesco,unitamente a quelle di P. G. e di F. F., dimostri che D.O.F. effettuava la pratica parasanitaria dell' ablazione del tartaro, riservata al medico odontoiatra o all'igienista dentale. 9. Per quanto attiene al terzo motivo del ricorso del V., vanno ribadite le considerazioni in precedenza svolte a proposito delle analoghe censure formulate dal coimputato D.E. v. par. 5 . 10. Il quarto motivo dei ricorso del V. è, sia pure per ragioni diverse da quelle prospettate dal ricorrente, fondato. Il reato, risalendo al 2 dicembre 2005, è infatti estinto per prescrizione. Peraltro, i rilievi sin qui formulati e le ragioni espresse nell'ampio e approfondito apparato argomentativo a supporto della decisione impugnata, oltre a precludere in radice l'applicabilità del disposto dell'articolo 129 cpv cod. penumero , dimostrano l'infondatezza delle doglianze formulate dagli imputati, determinando, conseguentemente, l' intangibilità delle statuizioni civili. 11. La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili.