La distrazione o l’imprudenza del lavoratore non esonera da responsabilità il datore di lavoro che non abbia rispettato la normativa antinfortunistica.
La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 29266 del 4 luglio 2014, ribadisce un orientamento già consolidato nella giurisprudenza del Supremo Collegio, secondo il quale, la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti ad osservare le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità. L’accertamento del rapporto di causalità nei reati omissivi impropri va svolto in via ipotetica. In particolare, si deve ritenere sussistente il rapporto di causalità tra la violazione delle regole cautelari volte a prevenire infortuni sul lavoro ed il verificarsi dell'evento morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito, quando si accerti che l'osservanza delle regole cautelari prescritte dalla legge nell'esecuzione di determinata tipologia di lavori sarebbe valsa ad impedire l'evento lesivo. Sul concetto di evento tipico. I giudici dell’appello avevano riconosciuto la responsabilità del datore di lavoro per l’incidente verificatosi ai danni di un suo operaio precipitato dalla sommità di una scala a pioli durante i lavori di pitturazione del soffitto di una piccola cappella, ritenendo che, nel caso di specie, l’infortunio avrebbe potuto essere evitato se il datore di lavoro avesse osservato la disciplina antinfortunistica e, in luogo della scala a pioli, avesse messo a disposizione del lavoratore la struttura più sicura del trabatello. Il Supremo Collegio ha voluto puntualizzare il concetto di “evento tipico” come tale prevedibile e prevenibile. Nella specie, la caduta dalla scala a pioli durante l'esecuzione di lavori di tinteggiatura di un soffitto costituisce evento assolutamente coerente con l’attività prestata e, in quanto verificatosi nell'esercizio e a causa dello svolgimento dell'attività lavorativa, esso risulta essere del tutto prevedibile e prevenibile dal garante attraverso l'osservanza delle regole cautelari che la legge prescrive allo scopo di evitare o, quanto meno, allo scopo di ridurre il rischio di verificazione dell'evento lesivo. Ma la condotta “abnorme” del lavoratore esclude il nesso di causalità. La Suprema Corte coglie l'occasione per precisare che la sussistenza del rapporto di causalità che si fonda sul collegamento eziologico tra la violazione delle regole cautelari e l'evento morte o lesioni del lavoratore che ne consegue, possa essere escluso unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore sia stato “abnorme” e che, tale abnormità abbia causato l'evento. Si deve ritenere “abnorme” il comportamento che per la sua stranezza e imprevedibilità si ponga al di fuori delle possibilità di controllo dei garanti e costituisca, pertanto, un'attività avulsa dalle mansioni lavorative svolte. Esecuzione in deroga della normativa prevista per l'esecuzione dei lavori in quota. L'articolo 36 bis, d.lgs. numero 626/1994 oggi articolo 111, d.lgs. numero 81/2008 disciplina gli Obblighi del datore di lavoro nell'uso di attrezzature per lavori in quota e prevede che il datore di lavoro disponga «affinché sia utilizzata una scala a pioli quale posto di lavoro in quota solo nei casi in cui l'uso di altre attrezzature di lavoro considerate più sicure non è giustificato a causa del limitato livello di rischio e della breve durata dell'impegno oppure delle caratteristiche esistenti dei siti che non può modificare». Circostanze che, a detta del datore di lavoro, ricorrevano nel caso di specie dovendosi tinteggiare il soffitto di una piccola cappella funeraria circa mq 5,28 la cui esecuzione sarebbe stata di brevissima durata pari a circa 10-15 minuti al massimo mentre l'installazione del trabattello all'interno del locale, pur praticabile, avrebbe richiesto per il montaggio e relativo smontaggio, più tempo di quanto ne sarebbe servito per l'esecuzione del lavoro di tinteggiatura, con incremento considerevole del prezzo finale di realizzazione. Parametri per la valutazione del rischio e adozione della disciplina in deroga nell'esecuzione dell'opera. Tra i criteri previsti dall’articolo 36 bis, d.lgs. numero 626/94 per l'esecuzione in deroga della normativa antinfortunistica non rientrano valutazioni di tipo economico relative, ad esempio, al contenimento dei costi di esecuzione che, per implicita ammissione della difesa, sembrano, invece, aver condizionato le scelte del datore di lavoro, il quale ha colpevolmente sottovalutato i rischi che, per la qualità dei luoghi, l'esecuzione dell’opera avrebbe potuto comportare, trattandosi, sì, di un lavoro di poco impegno per la superficie limitata da tinteggiare, ma da svolgere a più di 4 m di altezza col conseguente rischio di incorrere in una caduta rovinosa.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 25 febbraio - 4 luglio 2014, numero 29266 Presidente Foti – Relatore Grasso Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Camerino, con sentenza del 9/2/2010, condannò P.G. alla pena stimata di giustizia, nonché a risarcire il danno, da determinarsi in sede civile, in favore della parte civile, a cui vantaggio poneva provvisionale, per avere causato, quale titolare della omonima impresa individuale, che aveva assunto l'incarico di tinteggiare il soffitto di un sepolcreto familiare, lesioni gravi ai danni di B.M. , operaio alle di lui dipendenze. In particolare, emerge dalle statuizioni giudiziarie che il P. aveva, per colpa, omesso di mettere a disposizione del lavoratore per la tinteggiatura in quota l'uso di cavalletti e trabatelli a norma e comunque non aver tenuto le precauzioni necessarie al fine d'impedire il rischio di caduta dall'alto. 1.1. La Corte d'appello di Ancona, con sentenza del 31/5/2012, riconosciute le attenuanti generiche, valutate equivalenti, con conseguente rideterminazione della pena, e ridotta l'entità della provvisionale da Euro. 145.320,00 ad Euro. 30.000,00, confermò nel resto la statuizione di primo grado. 2. Avverso la sentenza d'appello l'imputato proponeva ricorso per cassazione corredato da plurimi articolati motivi di censura. 2.1. Con il primo motivo viene prospettato vizio motivazionale per non essere stati presi in adeguata e logica considerazione le critiche avanzate con l'appello. Di seguito si riprendono in sintesi le specifiche doglianze enucleate sotto il primo motivo. 2.1.1. Sommariamente accorpando in un unico motivo le censure mosse ai punti da 1 a 7 dell'atto d'appello, la Corte di merito, appiattitasi genericamente sulla motivazione di primo grado, era venuta meno all'obbligo di approfondire i fatti decisivi di causa la p.o. aveva operato in posizione d'equilibrio precario e con modalità contrastanti con la normale prudenza i piedi posti sul penultimo gradino della scala e le mani impegnate, l'una dal pennello e l'altra dal secchiello pieno di colore e senza aver proceduto ad agganciare la cintura di trattenuta non si era considerato che lo stato dei luoghi, prima dell'arrivo della P.G., era stato mutato andava riconosciuta la colpa del lavoratore non si era considerato che il P. aveva fornito istruzioni precise e vincolanti, che se fossero state rispettate l'incidente non si sarebbe verificato non si era tenuto conto dell'articolo 36 bis del d.lgs. numero 626/1994, il quale dispone che “ il datore di lavoro dispone affinché sia utilizzata una scala a pioli quale posto di lavoro in quota solo nei casi l'uso di altre attrezzature di lavoro considerate più sicure non è giustificato a causa del limitato livello di rischio e della breve durata di impegno oppure delle caratteristiche esistenti dei siti che non può modificare ”. In definitiva, la Corte territoriale, illogicamente, aveva non condiviso la ricostruzione difensiva secondo la quale il fatto colposo del lavoratore doveva considerarsi causa esclusiva dell'evento né il datore di lavoro aveva in alcun modo violato gli articolo 2087, cod. civ. e 36 bis cit. Ciò importava anche l'esclusione della sussistenza dell'elemento psicologico della colpa, mancando la prevedibilità dell'evento. Inoltre, la dinamica dell'accaduto era rimasta oscura ed impossibile ogni puntuale ricostruzione della stessa,essendo stati modificati i luoghi, con la conseguenza che l'unica certezza che poteva trarsi derivava dall'imprudente condotta dell'infortunato, il quale teneva la scala aperta a libretto e vi si ergeva senza previamente agganciarsi con la cintura di trattenuta “utilizzando la scala in questione aperta alla lunghezza massima e con l'apice superiore appoggiato alla parete” e aveva fornito dichiarazioni contraddittorie. Secondo il ricorrente ciò aveva comportato travisamento dei fatti, reso evidente dalla mancata presa in esame delle critiche alla ctu rectius perizia , dall'ignorato comportamento colposo del lavoratore e dalla misconosciuta mancanza di colpa in capo all'imputato 3. Con il secondo motivo il P. denunzia violazione di legge per non essere stata esclusa la sussistenza del nesso di causalità a causa dell'abnorme e imprevedibile condotta dell'infortunato. 4. Con il successivo motivo viene ancora una volta denunziata violazione di legge, in relazione al citato articolo 36 bis oggi articolo 111 d.lgs. numero 81/2008 . Precisa sul punto il ricorrente che “viste le esigue dimensioni della superficie da tinteggiare pari a mq. 5,28 e la durata brevissima della lavorazione pari a 10-15 minuti al massimo l'installazione di un trabatello all'interno della stessa anche se in astratto le dimensioni della cappellina lo consentivano era eccessivo e poiché il montaggio e lo smontaggio del trabatello avrebbe richiesto più tempo di quanto ne sarebbe servito per l'esecuzione del lavoro di tinteggiatura facendo anche salire di non poco il prezzo della lavorazione, il datore di lavoro poteva eseguire il lavoro munendo il lavoratore di una scala a pioli senza violare alcuna normativa di legge”. 5. Con il quarto motivo vien dedotto vizio motivazionaie in relazione alla ricostruzione delle modalità di esecuzione dei lavori. Il fatto che i lavori fossero stati eseguiti in difformità dal documento di valutazione dei rischi DVR e della normativa specifica in materia era giustificato dai luoghi. Proprio per questo il datore di lavoro aveva a lungo spiegato al dipendente che “bisognava aliungare la scala a pioli aprendola a 180^ ad una lunghezza di m. 4,83 ed istallarla lungo la diagonale da tracciarsi tra lo spigolo di incrocio della parete ed il pavimento e lo spigolo tra la parete ed il soffitto perpendicolarmente alle pareti laterali, destra e sinistra rimanendo incastrata evitando così qualsiasi pericolo di scivolamento e/o spostamento della stessa”. 6. Con il quinto ed ultimo motivo il P. denunzia vizio motivazionale per il mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche. Andava tenuto in conto che sussisteva per lo meno la concausa costituita dalla condotta del lavoratore, mancava previsione dell'evento, l'imputato era privo di precedenti “significativi e specifici” e, pertanto, ben poteva essere applicata la pena nel minimo. A fronte di ciò non registravasi alcuna motivazione sul punto da parte della Corte di merito, né poteva essa rifugiarsi nella mera condivisione della decisione di primo grado, così finendo con l'eludere il motivo di censura. Considerato in diritto 6. Presi in unitaria considerazione, in considerazione delle questioni trattate, il primo, il secondo ed il quarto motivo non resta che constatarne l'infondatezza. Non può in alcun modo dubitarsi che l'infortunio, al quale come d'usuale può non essere estranea una fatale distrazione del lavoratore, trae certa origine dal mancato rispetto della normativa antinfortunistica e, in particolare dalla mancata messa a disposizione dell'infortunato degli strumenti idonei a scongiurare l'evento verificatosi. È privo di senso, pertanto affermare che il B. andò incontro alla caduta perché operò in condizioni precarie, essendo quelle le condizioni date nelle quali il datore di lavoro gli aveva imposto la prestazione. La ricostruzione della dinamica, niente affatto oscura, non potendosi neppure ipotizzare una diversa eziologia dei fatti, non mostra aver subito alcun nocumento dal congetturato mutamento dello stato dei luoghi dopo il fatto. Innegabile la colpa dell'imputato, trattandosi di evento tipico, a scongiurare il quale sarebbe bastato far luogo ai presidi previsti dalla legge e, comunque, dalla ragionevolezza, pertanto, ampiamente prevedibile e prevenibile. Anche se può assumersi come possibile che all'evento possa aver concorso una distrazione, pur lieve, del predetto lavoratore deve escludersi, secondo la logica comune, la sussistenza di una condotta avulsa dalle mansioni lavorative svolte, abnorme e, pertanto, imprevedibile da parte del soggetto tenuto alla garanzia. Esattamente al contrario dell'assunto trattasi, invece, di un tragico evento occorso nell'esercizio e a causa dello svolgimento dell'attività lavorativa, come tale del tutto prevedibile e prevenibile dal garante. Può sul punto richiamarsi, fra le ultime, la sentenza di questa Sezione del 28/4/2011, numero 23292, in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità tra le tante, v. Sez. IV, 12/5/2011, numero 35204 Sez. IV, 10 novembre 2009, numero 7267 Sez. IV, 17 febbraio 2009, numero 15009 Sez. IV, 23 maggio 2007, numero 25532 Sez. IV, 19 aprile 2007, numero 25502 Sez. IV, 23 marzo 2007, numero 21587 Sez. IV, 29 settembre 2005, numero 47146 Sez. IV, 23 giugno 2005, numero 38850 Sez. IV, 3 giugno 2004 , la quale ha precisato che la colpa del lavoratore, eventualmente concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica addebitata ai soggetti tenuti a osservarne le disposizioni, non esime questi ultimi dalle proprie responsabilità, poiché l'esistenza del rapporto di causalità tra la violazione e l'evento morte o lesioni del lavoratore che ne sia conseguito può essere esclusa unicamente nei casi in cui sia provato che il comportamento del lavoratore sia stato abnorme, e che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento abnormità che, per la sua stranezza e imprevedibilità si ponga al di fuori delle possibilità di controllo dei garanti. Anche ad ammettere che il datore di lavoro avesse dato delle prescrizioni ma l'asserto è meramente apodittico , le stesse, oltre che paradossalmente inconcludenti non si vede come, infatti, il lavoratore avrebbe potuto imbiancare il centro del tetto, appoggiando, a turno ai quattro angoli del locale la scala aperta a 180^ gradi , si pongono in contrasto con la prescrizione di legge, la quale consente solo una prudente e garantita deroga, in caso di limitato livello di rischio condizione che qui non ricorreva per la consistente altezza da raggiungere - ben oltre i 4 metri - , senza contare che il luogo non era incompatibile con l'approntamento di un sicuro trabattello. 7. Come noto il bilanciamento delle circostanze rientra nelle determinazioni del giudice di merito non censurabili in questa sede, salvo il riscontro dei gravi vizi motivazionali previsti dalla legge. Nel caso in esame, la Corte territoriale, sia pure senza dedicare un espresso riferimento, ha dato ampiamente mostra di aver condiviso il giudizio di equivalenza espresso in primo grado, evidenziando i profili di grossolana manchevolezza rimproverati al P. . Un tale giudizio, non rivedibile da questa Corte in quanto logicamente ancorato ai fatti accertati, rende infondato il quinto motivo. 8. La contravvenzione di cui all'articolo 36bis citato, correttamente ritenuta integrata, non avendo trovato giustificazione apprezzabile la deroga al documento di valutazione dei rischi e, in definitiva, alle prescrizioni precauzionali normativamente previste, deve essere dichiarata prescritta per il decorso del tempo massimo di legge il fatto risale al 2/4/2008 , maturatosi dopo la sentenza d'appello. Pertanto, annullata la sentenza impugnata sul punto, la pena può essere rideterminata da questa Corte articolo 620, lett. l, cod. proc. penumero , eliminando la relativa ammenda di Euro. 2.000,00. 9. In base al principio di soccombenza deve porsi a carico del ricorrente l'obbligo di rimborsare alla parte civile le spese del presente giudizio, le quali, vista la notula, vengono liquidate nella misura di giustizia di cui in dispositivo. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all'articolo 36bis del d.lvo numero 626/94 capo B perché estinto per intervenuta prescrizione ed elimina la relativa pena di Euro 2.000,00 di ammenda. Rigetta nel resto il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore della parte civile, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.