Parroco critica la presidente dell’‘Azione Cattolica’: eccessiva la reazione del marito

Non più discutibile la condanna nei confronti dell’uomo, resosi protagonista di un episodio poco gradevole, cioè l’aver offeso ripetutamente il sacerdote, sia fuori che dentro la chiesa. Risibile la tesi difensiva dell’uomo, il quale sostiene di aver reagito alle contestazioni mosse dal prete alla moglie, presidente della locale ‘Azione Cattolica’.

Fulmini e saette in parrocchia. Nessun segno della collera divina, diciamolo subito Molto più prosaicamente, pomo della discordia – in ambito strettamente terreno – è la gestione della sede locale dell’‘Azione Cattolica’. A criticare, anche in maniera forte, è il sacerdote. A finire nel mirino è la donna eletta presidente della struttura, il cui marito, però, finisce coll’‘uscire dal seminato’, reagendo in maniera piccata al prete. Così la vicenda, nata nella ‘casa parrocchiale’, finisce in un’aula di giustizia, e si chiude con la condanna dell’uomo per il delitto di ingiuria. Cassazione, sentenza numero 18171, quinta sezione penale, depositata oggi Scontro. Nessun dubbio hanno manifestato Giudice di pace e giudici del Tribunale così, sia in primo che in secondo grado, l’uomo è stato ritenuto colpevole. Fatale l’aver difeso, in maniera eccessiva, la moglie dalle critiche mosse dal sacerdote. Egli, in sostanza, ha rivolto «espressioni offensive» nei confronti del «parroco del paese», «sia all’interno che all’esterno della chiesa» e «in presenza di più persone». Secondo l’uomo, però, è stato trascurato il collegamento tra la «discussione» avuta dalla «moglie» – «presidente della ‘Azione Cattolica’ locale» – col sacerdote, e la sua successiva reazione Egli sostiene che la sua condotta, seppure «al di fuori di un esatto rapporto di proporzionalità e contestualità temporale», andava valutata come «adeguata all’offesa ricevuta» dal prete. Offese. La tesi difensiva messa in campo, in Cassazione, dall’uomo, però, viene ritenuta risibile. Per i giudici, difatti, «tra il sacerdote e la donna» vi era stato «un semplice battibecco». Il parroco, in sostanza, si era limitato a contestare «le modalità di gestione dell’associazione», chiedendo alla donna di «lasciare l’incarico» di presidente. Mai è stato provato, quindi, che il prete «avesse offeso, in qualche modo, la sensibilità o il decoro della donna». Di conseguenza, è impensabile catalogare come mera «reazione» le pesantissime parole rivolte dall’uomo al parroco. Ciò conduce, ovviamente, alla conferma della condanna per il «delitto di ingiuria» nei confronti del marito della presidente della locale ‘Azione Cattolica’.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 9 marzo – 30 aprile 2015, numero 18171 Presidente Lombardi - Relatore Micheli Ritenuto in fatto M.C. ricorre personalmente avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa nei suoi confronti, in data 10/06/2011, dal Giudice di pace di Bosa. L'imputato risulta essere stato condannato a pena ritenuta di giustizia per il delitto di ingiuria, in ipotesi commesso in danno di G.P. secondo l'ipotesi accusatoria, il C. rivolse espressioni offensive alla persona offesa - parroco del paese di Suni - sia all'esterno che all'interno della chiesa, in presenza di più persone. Il ricorrente lamenta inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 599 cod. penumero , nonché carenza di motivazione della sentenza impugnata, osservando che nella fattispecie concreta avrebbe dovuto ritenersi ravvisabile l'esimente della provocazione il Tribunale si sarebbe infatti limitato a segnalare che i fatti precedenti una discussione tra il P. e la moglie del C., R.C., presidente della Associazione Cattolica locale non avevano le caratteristiche intrinseche per assurgere a fatto ingiusto , quando invece le risultanze processuali avevano fatto emergere «l'esistenza di un preciso rapporto di causalità psicologica tra l'offesa ricevuta e la reazione». Ad avviso dei C., la sua reazione, «seppure al di fuori di un esatto rapporto di proporzionalità e contestualità temporale fra l'una e l'altra», risultava pertanto «adeguata all'offesa ricevuta dal sacerdote». Considerato in diritto 1. II ricorso deve ritenersi inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivo di doglianza. Tra il sacerdote e la moglie dell'imputato, poco prima delle indiscutibili ingiurie che il C. rivolse al prelato, vi era infatti stato un semplice battibecco , come definito dal giudice di appello, senza neppure che nell'odierno ricorso venga rappresentato che il parroco avesse in qualche modo offeso la sensibilità o il decoro della donna, piuttosto che limitarsi a contestarne le modalità di gestione dell'associazione dalla lettura della sentenza di primo grado risulta che il P. aveva invitato la C. a lasciare l'incarico . 2. Non è pertanto possibile ritenere maturata la prescrizione del reato addebitato al ricorrente. La causa estintiva, in vero, risulta essersi perfezionata il 30/07/2014 dovendosi tenere conto di sessanta giorni di sospensione dei relativi termini, a seguito di un rinvio disposto nel giudizio di primo grado per impedimento dei difensore , ergo dopo la sentenza di appello tuttavia, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, un ricorso per cassazione inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi o per altra ragione, «non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'articolo 129 cod. proc. penumero » Cass., Sez. U, numero 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv 217266, relativa appunto ad una fattispecie in cui la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso v. anche, negli stessi termini, Cass., Sez. IV, numero 18641 del 20/01/2004, Tricomi . 3. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. penumero , segue la condanna del C. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla volontà del ricorrente v. Corte Cost., sent. numero 186 del 13/06/2000 - al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di € 1.000,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.