Il sovraffollamento delle carceri viola l’articolo 3 Cedu solo se le celle, oltre che anguste, non sono adeguatamente areate, illuminate e se c’è una totale carenza di privacy, circostanze non ravvisate nella fattispecie. Lo Stato, però, ha violato i suoi doveri di tutela della salute e dell’integrità fisica del detenuto/ricorrente per non avergli fornito le dovute e tempestive cure.
E’ la risposta al j’accuse del ricorrente fornita dalla sentenza CEDU sez. II G.C. v. Italia depositata il 22 aprile 2014 è stato concesso l’anonimato, rispetto al ricorso, per le delicate condizioni di salute dettagliatamente descritte in entrambi gli atti. Malgrado le numerose condanne da parte del Consiglio d’Europa e, spesso della Corte stessa, per il sovraffollamento delle nostre prigioni, stavolta è stata contestata la violazione dell’articolo 3 per l’eccessivo ritardo nel curarlo. Il caso. G.C. dall’ottobre 2009 sta scontando una condanna a 10 anni di reclusione, cambiando spesso carcere. Nel 2007, mentre era detenuto a Larino, fu operato alle emorroidi con gravi postumi rilassamento dello sfintere ed incontinenza anale. Fu, poi, trasferito da Poggioreale a Berlizzi Irpino ove cambiò più volte cella e fu messo in isolamento, perché tentò due volte il suicidio per la vergogna di dover esporre agli altri «compagni» le sue condizioni di salute. Fu e lo era sino al 17/1/14 anche ricoverato in infermeria per poter fare, come richiesto, la quotidiana doccia con l’acqua calda. Ricorse alla CEDU per denunciare le condizioni di vita nel penitenziario bagni alla turca puzzolenti, acqua ghiaccia, grate da cui cadono ghiaccioli e ruggine, convivenza anche con fumatori etc. , l’eccessiva durata della permanenza in cella dalle 20 ore attuali alle 22 di quando era a Poggioreale , ma soprattutto di non aver ricevuto tempestivamente le cure. Infatti prima gli furono somministrati solo sedativi e la terapia biofeedback rettale prescritta il 5/4/11 in una perizia medica, attestante la compatibilità del suo stato di salute col carcere, fu eseguita con successo dall’agosto 2012 e si dichiarò guarito nel maggio 2013. Infine denunciò che doveva comprarsi da solo i medicinali e che l’attuale amministrazione chiese all’ospedale la fornitura gratuita di pannoloni, negata perché non era ancora stato dichiarato invalido gli furono regalati dai volontari della Caritas e dai medici del penitenziario. Lamenta che il carcere ove è recluso ha una capienza massima di 594 detenuti e che dal 3/7 all’11/8/10 passarono da 306 a 495 e che nel luglio 2013 erano 697. Tutto ciò, a suo avviso, violava l’articolo 3 Cedu. Comitato contro la tortura CTP . Sin dal 2000 nei suoi rapporti sulle condizioni di vita nelle nostre carceri aveva condannato la prassi di mettere in isolamento ed in «celle lisce», cioè arredate solo con un materasso e la coperta, chi avesse tentato il suicidio, perché aggravava il disagio psichico. Inoltre poteva essere ricoverato in infermeria solo chi necessitasse di cure, non somministrate nella fattispecie, tanto che la terapia consigliata è stata eseguita con quasi due anni di ritardo e non 2 anni e 10 mesi come erroneamente indicato nella sentenza . Inoltre sancisce che ogni detenuto deve avere a disposizione uno spazio di 4 mq. Orbene G.C. ha occupato celle singole di una grandezza minima di 10 mq ad una massima di 30 mq ,mentre le collettive erano di 20-24 mq e con bagni di circa 5 mq. Reclusione e violazione dell’articolo 3. Vieta di sottoporre chiunque a torture, trattamenti degradanti ed inumani, circostanze che «devono essere provate al di là di ogni ragionevole dubbio e che devono essere connotate da un minimo di gravità». Orbene in caso di detenzione in carcere sullo Stato gravano «obblighi positivi di garantire che ogni prigioniero sia detenuto in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che l'attuazione della misura non sottoponga la persona ad un disagio od a prova di un'intensità superiore all'inevitabile livello di sofferenza insita nella detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della prigionia, la salute e il benessere del prigioniero sono assicurati adeguatamente, specialmente con la somministrazione di cure mediche. Quindi, la mancanza di adeguate cure mediche e, più in generale, la detenzione di un malato in condizioni inadeguate, possono in linea di principio costituire un trattamento contrario all'articolo 3 della convenzione». Non si può desumere un onere di rimettere in libertà o, se non è possibile, di ricoverare presso un ospedale civile un detenuto malato, bensì quello di tutelare la sua salute e la sua integrità fisica deve ricevere le dovute cure tempestivamente Labita c. Italia del 2000, N.C. c. Italia del 2002 e Talissi c. Italia del 5/3/13 . Perciò gli anziani, i disabili, le persone che necessitano di assistenza adeguata e continua, come nella fattispecie, sono incompatibili con la reclusione. Una deroga all’articolo 3 Cedu si ravvisa anche quando non c’è intenzione di umiliare od avvilire il ricorrente nella fattispecie l’iniziale carenza/inadeguatezza delle cure ed il ritardo con cui è stata somministrata la terapia prescritta sin dal 2011 hanno causato uno stato di ansia continua, di prostrazione e di vergogna, tanto che ha tentato per ben due volte il suicidio. Lo Stato, poi, non ha fatto nulla per rimuovere questi ostacoli, così come il Tribunale, nel periodo in cui attendeva di essere curato ha chiesto invano d’incontrare il direttore ed il magistrato, nonché la concessione dei domiciliari e la sospensione della pena. Grave il rifiuto della PA di fornire i pannoloni in assenza di un riconoscimento d’invalidità. Sovraffollamento delle carceri. Rientra tra i disagi tollerati e tollerabili a seguito della condanna alla reclusione, così come la carenza di un bagno privato, aerato e celle anguste, mentre è una violazione dell’articolo 3 se oltre alla carenza di spazio non è concessa l’ora d’aria, non ci sono la ventilazione, l’illuminazione naturale delle celle e se c’è una totale mancanza di privacy Torregiani ed altri c. Italia dell’8/1/13 . G.C., però, aveva sempre occupato celle che rispettavano gli standard del CTP e non aveva fornito alcuna prova del malfunzionamento del bagno o della carenza di luce, per altro smentita vista la presenza di ampie finestre, né delle limitazioni all’ora d’aria etc. Era, invece, emerso che nel periodo trascorso a Poggioreale aveva usufruito dei domiciliari e che, al momento del deposito del ricorso, era già stato trasferito a Bellizzi da circa sei mesi, perciò erano irrilevanti le condizioni di vita in quel carcere. Risarcimento danni. La CEDU ha ordinato all’Italia di risarcire i danni morali € 20.000 e rimborsarlo per le spese di lite ed accessorie € 5.000 .
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