L’articolo 907 c.c., che vieta di costruire a distanza di tre metri dalle vedute dirette aperte sulla costruzione del fondo finitimo, pone un divieto assoluto, la cui violazione si realizza in forza del mero fatto che la costruzione è a distanza inferiore a quella stabilita, a prescindere da ogni valutazione in concreto se essa sia o meno idonea ad impedire o ad ostacolare l’esercizio della veduta, in quanto la norma enuclea in favore del titolare della veduta un diritto perfetto al rispetto della distanza legale da parte della costruzione del vicino, senza introdurre ulteriori costruzioni.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza numero 7269 del 27 febbraio 2014. Tutela del diritto di veduta ed esercizio del diritto di proprietà. L’interessante pronuncia in rassegna riguarda il complesso tema di rapporti di vicinato e distanza tra costruzioni, definendo l’ambito di applicazione della norma, l’articolo 907 c.c., che impone specifici vincoli al diritto di proprietà a tutela del diritto di veduta. Il caso in esame riguarda una controversia tra condomini, dove il proprietario del piano inferiore aveva costruito sul proprio balcone una tettoria, con ciò limitando il diritto di veduta del proprietario del piano superiore che agiva in giudizio al fine di veder tutelato il suo diritto. Mentre in primo grado la domanda veniva rigettata, in appello le doglianze trovavano accoglimento, con conseguente pronuncia condanna alla rimozione della tettoia, la quale – costruita a meno di tre metri dalla soprastante finestra – limitava la servitù di veduta del proprietario del piano superiore. Veniva, quindi, proposto ricorso per Cassazione, con il quale il ricorrente deduceva che nel caso di specie non si sarebbe potuta applicare la disposizione di cui all’articolo 907 c.c. in quanto la costruzione era stata fatta sull’esatto perimetro del balcone di proprietà esclusiva, costituendo quindi esercizio del diritto di proprietà. La ratio dell’articolo 907 c.c. Prima di vedere la soluzione offerta dalla pronuncia in rassegna riguardo all’ambito di applicabilità dell’articolo 907 c.c., sembra opportuno ricordare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la ratio dell’articolo 907 c.c., che fa divieto di costruire a distanza minore di tre metri dalla veduta del vicino, è quella di assicurare al titolare del diritto di veduta sufficiente aria e luce consentendogli l’esercizio dell’inspectio e della prospectio Cass. 23 marzo 2004, numero 5764 . Sulla base di tale fondamento, non si può non ricordare che la giurisprudenza afferma tradizionalmente che, nel caso di lesione del diritto di veduta, non possono rilevare le esigenze di contemperamento di questo diritto con i diritti di proprietà ed alla riservatezza, in quanto già l’articolo 907 c.c. ha operato il bilanciamento tra l’interesse alla medesima riservatezza ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta, in quanto luce ed aria assicurano l’igiene degli edifici e soddisfano i bisogni elementari di chi li abita. Ambito di applicazione del divieto di costruire posto a tutela del diritto di veduta. Tenuto presente il fondamento dell’articolo 907 c.c., sembra condivisibile la soluzione offerta dalla Suprema Corte nella pronuncia in commento, laddove afferma che seppur è vero che il divieto di costruire contenuto nell’articolo 907 c.c. non trova applicazione nel caso in cui la nuova costruzione derivi dalla trasformazione di un balcone in veranda senza che tale trasformazione importi un ampliamento dell’area occupata inizialmente Cass. 7 agosto 2007, numero 17127 , identico principio non può affermarsi con riguardo al caso in cui il diritto di veduta del condomino del piano superiore sia esercitato per mezzo di una finestra e non di un balcone. In altri termini, la Corte distingue l’ipotesi in cui la proprietà superiore e quella inferiore siano separate da un balcone aggettante dal caso in cui tra le due proprietà non via sia tale costruzione, ed il proprietario del piano superiore eserciti il diritto di veduta per mezzo di una finestra. Sulla base di tale principio la Corte è, quindi, giunta a ribadire il proprio consolidato orientamento, secondo cui l’articolo 907 c.c., che vieta di costruire a distanza di tre metri dalle vedute dirette aperte sulla costruzione del fondo finitimo, pone un divieto assoluto, la cui violazione si realizza in forza del mero fatto che la costruzione è a distanza inferiore a quella stabilita, a prescindere da ogni valutazione in concreto se essa sia o meno idonea ad impedire o ad ostacolare l’esercizio della veduta, in quanto la norma enuclea in favore del titolare della veduta un diritto perfetto al rispetto della distanza legale da parte della costruzione del vicino, senza introdurre ulteriori costruzione.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 22 gennaio – 27 marzo 2014, numero 7269 Presidente Piccialli – Relatore Proto Fatto e diritto Ai sensi dell'articolo 380 bis c.p.c. il relatore nominato per l'esame del ricorso ha depositato la seguente relazione Osserva in fatto. Con citazione del 20/3/2001 M.D. e B.I. , proprietari di un appartamento al secondo piano di uno stabile in Monopoli, convenivano in giudizio D.G. , proprietario dell'appartamento sottostante per sentirlo condannare alla rimozione di una tettoia installata su un suo balcone a distanza inferiore a 3 metri da una loro finestra. Il Tribunale di Bari, sezione distaccata di Monopoli, rigettava la domanda ritenendo non applicabile l'articolo 907 c.c. in quanto la tettoia insisteva esattamente sull'area del balcone sottostante così che non poteva limitare la veduta. I coniugi M.D. e B.I. proponevano appello al quale resisteva il D. . La Corte di Appello di Bari con sentenza del 29/2/2012 accoglieva l'appello e condannava il D. alla rimozione della tettoia osservando che la tettoia, non precaria, non rispettava la distanza di 3 metri dalla soprastante finestra e quindi limitava la servitù di veduta attiva pacificamente esistente. Il D. ha proposto ricorso affidato a due motivi M.D. e B.I. sono rimasti intimati. Osserva in diritto. 1. Con il primo motivo del ricorso il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 907 c.c. sostenendo che la sua veranda, costruita sull'esatto perimetro del suo balcone non comprometteva il diritto del proprietario dell'appartamento soprastante di veduta in avanti e appiombo, mentre la facoltà di veduta verso l'interno della sottostante proprietà non rientrava nella previsione dell'articolo 907 c.c. la realizzazione della tettoia, inoltre, costituiva esercizio del diritto del condomino di servirsi della cosa comune. 2. Con il secondo motivo del ricorso il ricorrente deduce il vizio di motivazione sostenendo - che il diritto di veduta non era limitato essendo consentito l'affaccio dritto e in appiombo - che devono ritenersi consentite le opere che precludono ai proprietari dei piani superiori l’inspectio e la prospectio verso l'interno dell'appartamento sottostante. 3. I due motivi devono essere esaminati congiuntamente in quanto si risolvono nell'unitaria censura della sentenza impugnata con riferimento all'ambito di applicazione dell'articolo 907 c.c. nella situazione di fatto in cui, nell'ambito del condominio, l'ostacolo alla veduta è limitato all'area privata costituita dal balcone sottostante. La tesi del ricorrente richiama l'orientamento già espresso da questa Corte Cass. numero 9562 del 1997 Cass. numero 17317/2007 secondo il quale il condomino che abbia trasformato il proprio balcone in veranda, elevandola sino alla soglia del balcone sovrastante, non è soggetto, rispetto a questa, all'osservanza delle distanze prescritte dall'articolo 907 c.c., nel caso in cui la veranda insista esattamente nell'area del balcone, senza debordare dal suo perimetro, in modo da non limitare la veduta in avanti e appiombo del proprietario del balcone sovrastante è invece soggetto alla normativa sulle distanze quando la costruzione insista su altra area del terrazzo non ricadente in quella del sovrastante balcone. La ratio di tale orientamento deve ravvisarsi nel fatto che tra le normali facoltà attribuite al titolare della veduta diretta od obliqua esercitata da un balcone è compresa senz'altro quella di inspicere e prospicere in avanti ed appiombo, ma non quella di sogguardate verso l'interno della sottostante proprietà coperta dalla soglia del balcone, non potendo trovare tutela, salvo che non esista al riguardo una specifica disciplina negoziale, la sua pretesa di esercitare la veduta con modalità abnormi e puramente intrusive, ossia sporgendosi oltre misura dalla ringhiera o dal parapetto cfr. Cass. numero 13012/2000 . Tuttavia il principio, come sopra enunciato non è applicabile alla fattispecie perché il ricorrente ha costruito, sul proprio terrazzo, una tettoia pur in assenza, al piano soprastante, di un balcone aggettante. Nella sentenza impugnata, infatti, si da atto che era stata ostruita la visuale da una finestra e non da un balcone e ne discende che la veduta dalla finestra è stata sicuramente limitata rispetto alla situazione precedente alla costruzione in tal senso si è espressa anche questa Corte con la sentenza 15186/2011, richiamata in ricorso dal ricorrente e che, contrariamente a quanto dallo stesso sostenuto, aveva appunto confermato la sentenza della Corte di Appello nella parte in cui aveva ritenuta illegittima la costruzione in caso identico. In fatto, pertanto, la costruzione, come rilevato dalla Corte di Appello, ha impedito effettivamente il diritto di veduta appiombo. La sentenza della Corte di Appello è inoltre immune da critiche, con riferimento ai principi di diritto applicati, che sono conformi alla giurisprudenza di questa Corte cfr. Cass. 12033/2011 Cass. 955/2013 che ha affermato - che l'articolo 907 cod. civ., che vieta di costruire a distanza inferiore di tre metri dalle vedute dirette aperte sulla costruzione del fondo finitimo, pone un divieto assoluto, la cui violazione si realizza in forza del mero fatto che la costruzione è a distanza inferiore a quella stabilita, a prescindere da ogni valutazione in concreto se essa sia o meno idonea ad impedire o ad ostacolare l'esercizio della veduta v., in precedenza, Cass. numero 11199 del 2000 Cass. numero 12299 del 1997 la norma infatti enuclea in favore del titolare della veduta un diritto perfetto al rispetto della distanza legale da parte della costruzione del vicino, senza introdurre ulteriori condizioni - che non possono rilevare le esigenze di contemperamento con i diritti di proprietà ed alla riservatezza del vicino, avendo operato già l'articolo 907 cod. civ. il bilanciamento tra l'interesse alla medesima riservatezza ed il valore sociale espresso dal diritto di veduta, in quanto luce ed aria assicurano l'igiene degli edifici e soddisfano bisogni elementari di chi li abita - che non divergono da tale principio le pronunce di questa Corte che, in determinati casi, ai fini della tutela del diritto di veduta, richiedono una valutazione circa l'idoneità dell'opera del vicino ad ostacolarne l'esercizio, valorizzando, in tale prospettiva, la finalità della norma, che è indubbiamente quella di assicurare al titolare del diritto una quantità sufficiente di aria e di luce e di consentirgli la inspectio e la prospectio nel fondo altrui Cass. numero 5764 del 2004 Cass. numero 1598 del 1993 tale valutazione è ritenuta necessaria non in tutti i casi, ma soltanto laddove l'opera eseguita non integri un fabbricato in senso tecnico e proprio, ma un manufatto diverso quale ad esempio una rete plastificata o una recinzione in telo , non costituente costruzione in senso tecnico, pur nell'accezione molto ampia accolta dalla giurisprudenza con riferimento a tali manufatti si sostiene che essi, ai fini della tutela del diritto di veduta, appaiono assimilabili al fabbricato soltanto a condizione che effettivamente ne ostacolino l'esercizio - che questo stesso orientamento conferma che nel caso in cui l'opera abbia le caratteristiche di costruzione in senso proprio tale accertamento non è necessario - che la valutazione che l'opera ostacoli in concreto il diritto del vicino è richiesta non già in funzione limitativa del relativo diritto di veduta, ma al fine di estenderne la tutela anche a quei manufatti non aventi la caratteristica di fabbricato in senso proprio. Alla luce di tali principi, le censure sollevate dal ricorrente non possono essere accolte, tenuto conto che la Corte di Appello ha rilevato l'impedimento alla veduta in appiombo e non ha dubitato che l'opera integrasse un fabbricato, sottolineando che era stata realizzata in modo e con caratteristiche non precarie pag. 3 della sentenza . 4. In conclusione il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli articolo 380 bis e 375 c.p.c. per essere dichiarato manifestamente infondato . Il ricorso è stato fissato per l'esame in camera di consiglio e sono state effettuate le comunicazioni al ricorrente, unica parte costituita. Il ricorrente ha depositato memoria ex articolo 380 bis c.p.c. nella quale riproponendo in buona parte gli argomenti già sviluppati in ricorso sostiene a che la veranda aperta costituirebbe costruzione precaria b che la veranda, costruita nei limiti del perimetro del proprio balcone, non sarebbe soggetta all'osservanza delle distanze previste dall'articolo 907 c.c. c che la precedente veduta dal fondo vicino non sarebbe ostruita essendo limitata solo la facoltà di violare la privacy del vicino. Le argomentazioni sviluppate nella memoria non inficiano le ragioni di rigetto del ricorso come illustrate nella relazione ex articolo 380 bis c.p.c Giova preliminarmente ricordare i principi in materia affermati da questa Corte in parte già richiamati nella relazione alla quale si rinvia anche per gli ulteriori precedenti di questa Corte , secondo i quali - le norme sulle distanze delle costruzioni dalle vedute si osservano anche nei rapporti tra condomini di un edificio in quanto l'articolo 1102 cod. civ. non deroga al disposto dell'articolo 907 c.c. Cass. numero 4190 del 2000 - nel caso in cui vi sia già una finestra preesistente, il proprietario può imporre al suo vicino di non costruire a meno di 3 metri tale distanza si calcola sia in linea diritta od obliqua, sia a piombo. - se due balconi sono uno sovrastante l'altro, il vicino del piano di sotto può chiudere il suo con una veranda solo se non si spinge oltre il perimetro non già del proprio balcone, ma del balcone sovrastante da quale si esercita la veduta - il proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta fino alla base dell'edificio e di opporsi, conseguentemente, ad ogni costruzione degli altri condomini che direttamente o indirettamente pregiudichi l'esercizio di tale suo diritto, senza che possa rilevare la lieve entità del pregiudizio arrecato Cass., 11/2/1997, numero 1261 . Tanto premesso, risulta evidente l'infondatezza e comunque l'irrilevanza degli argomenti ribaditi nella memoria - che la veranda aperta costituirebbe costruzione solo precaria costituisce affermazione priva dell'indicazione di specifici elementi idonei a contrastare quanto valutato dal giudice di appello che ha affermato che la tettoia era stata costruita con caratteristiche non precarie e, d'altra parte, neppure rileva tenuto conto che la Corte di Appello ha valutato che comunque la tettoia precludeva la veduta - la circostanza che veranda sia stata costruita nei limiti del perimetro del balcone del ricorrente non comporta che la stessa non sia soggetta all'osservanza delle distanze previste dall'articolo 907 c.c., posto che nel caso concreto non esisteva un sovrastante balcone dal quale il vicino, sporgendosi, intendesse sogguardare all'interno dell'altrui proprietà, ma, come risulta dalla sentenza di appello, una finestra dalla quale era impedita, per effetto del manufatto, la normale possibilità di veduta e ciò conferma anche l'infondatezza dell'ulteriore argomento per il quale la precedente veduta dal fondo vicino non sarebbe ostruita essendo limitata solo la facoltà di violare la privacy del vicino. In conclusione questo collegio condivide e fa proprie le argomentazioni e la proposta del relatore. Non v'è luogo ad una pronuncia sulle spese in quanto gli intimati non hanno svolto attività difensive. P.Q.M. La Corte di cassazione rigetta il ricorso.