Una ferita ancora aperta, il pentito Spatuzza fa nuovamente luce su promotori ed esecutori materiali

La Cassazione censura le strategie difensive c.d. parcellizzate nei procedimenti cautelari, non basta confutare il singolo indizio di colpevolezza, occorre eccepire l’intera cornice indiziaria.

La cronaca giudiziaria. Si tratta dell’attentato in cui perse la vita il giudice Giovanni Falcone. Il pentito Gaspare Spatuzza aveva rivelato agli inquirenti dettagli che avevano consentito l’individuazione di responsabilità materiali a carico di soggetti prima ritenuti estranei. Spatuzza era stato ritenuto attendibile, per l’accuratezza delle rivelazioni e l’univocità del narrato processuale. Fu posto in custodia cautelare uno degli esecutori, già condannato ergastolano per la successiva strage di via D’Amelio, in cui perì il giudice Borsellino. Avverso il rigetto della richiesta di revoca della misura cautelare, il difensore ricorre ai giudici di legittimità. La Cassazione, Seconda Sezione Penale, numero 11957/2014, depositata il 13 marzo, rigetta il ricorso, argomentando in punto di solidità dei gravi indizi di colpevolezza giustificativi di una misura custodiale. I gravi indizi di colpevolezza ex articolo 273 c.p.p. non sono indizi di prova ex articolo 192, comma 2, c.p.p. . La Corte utilizza un dato sistematico l’articolo 273 c.p.p., nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, richiama i soli terzo e quarto comma dell’articolo 192 c.p.p., e non quella parte del disposto che impone la precisione, la gravità e la concordanza degli indizi a sostegno di un’ipotesi accusatoria - il secondo comma articolo cit. - I gravi indizi di colpevolezza, dunque, non sono indizi in senso pienamente processuale, oggetto di verifiche e di approfondimenti dibattimentali. La cornice indiziaria cautelare è più sottile, la soglia dell’attendibilità di una ipotesi accusatoria, ai fini della promozione e della permanenza di una misura cautelare, è più bassa e meno ostica da superare. La cornice indiziaria cautelare un unicum da confutare per l’intero, e non solo per ogni singolo indizio che la compone. Non basta opinare su ognuno degli elementi posti a carico dell’imputato/indagato, isolatamente l’un l’altro, ignorando il reticolato logico e fattuale che raccoglie quegli elementi in una cornice indiziaria completa e sostenibile. Va sì verificata la gravità del singolo indizio di colpevolezza, la cui vis dimostrativa è direttamente correlata al grado di vicinanza logica del dato istruttorio al fatto di reato che si presume realizzato. Tuttavia, la relazione logica fra indizi ed ipotesi supposta di reato va integrata – trasversalmente – dalla compresenza di ulteriori elementi indiziari in grado di supportare parte del dato indiziario originario o di disarticolarne le ambiguità, conducendo ad un unicum indiziario il cui valore probante è superiore rispetto alla sommatoria dei singoli elementi indiziari che lo compongono. Per la ragione, la Cassazione censura le strategie difensive parcellizzate, funzionali alla messa in critica di ogni elemento indiziario, che ignori le relazioni di sostegno e di conforto di questo con altri elementi indiziari, a loro volta – ed in tempo successivo – posti alla censura del ricorrente. La sostenibilità reciproca dei dati indiziari a disposizione richiede, ai fini della confutazione, la prospettazione di una relazione logica alternativa – unica e legante gli indizi a disposizione - in grado di interrompere il nesso di consequenzialità fra quei dati istruttori ed il fatto di reato che si intende provare. Nel caso Si trattava di più indizi a carico dell’esecutore materiale la partecipazione al viaggio – c.d. “missione romana” - avvenuto mesi prima per conoscere le abitudini di vita del giudice Falcone, la partecipazione già accertata all’attentato di via D’Amelio, realizzato con modalità similari, l’appurata attività di ricerca di materiale esplosivo bellico al fine della preparazione dell’ordigno. Il difensore aveva cercato di confutare ogni singolo indizio raccolto, ravvisandone le ambiguità e la bassa carica probante, non era tuttavia riuscito ad inficiare la forte tensione logica fra i singoli indizi, per altro collocati in un arco temporale assai ristretto.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 12 febbraio – 13 marzo 2014, numero 11957 Presidente Esposito – Relatore Rago Fatto e diritto 1. Con ordinanza del 17/10/2013, il Tribunale del Riesame di Caltanissetta rigettò l'appello proposto da T.L. - indagato per il reato di strage aggravata c.d. strage di , fabbricazione e porto di esplosivi - avverso l'ordinanza con la quale il giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città, in data 05/06/2013, aveva rigettato l'istanza di revoca della misura di custodia cautelare in carcere applicata al T. in data 08/04/2013. 2. Il Tribunale, ritenne che il ricorrente fosse stato attinto da gravità indiziaria in relazione ai reati di strage e fabbricazione e porto di esplosivi, sulla base del seguente compendio probatorio. 2.1. le dichiarazioni di S. S.G. - all'epoca dei fatti facente parte di Cosa Nostra - iniziò la sua collaborazione con la giustizia nel 2008 e narrò una serie di fatti fino ad allora rimasti sconosciuti. Il tribunale, dopo avere, innanzitutto, spiegato le ragioni per le quali lo S. doveva ritenersi intrinsecamente attendibile, ha sintetizzato le dichiarazioni rese dal collaboratore in ordine alla strage di , nei termini di seguito indicati. Lo S. aveva riferito di avere partecipato alla prima fase della progettazione della strage, e cioè alla fase del reperimento e lavorazione dell'esplosivo. Una parte dell'esplosivo, dopo essere stato recuperato da due fusti cilindrici di metallo occultati in mare a omissis appena sotto la superficie dell'acqua e legati con una fune, fu trasportato in un magazzino della dove incominciò la lavorazione estrazione frantumazione setacciatura . Dopo poco tempo, sopraggiunsero sia C. che T.R. , i quali, resosi conto che l'esplosivo sino a quel momento lavorato era troppo poco, decisero di incrementare il numero di persone addette a tale attività infatti, a detta dello S. , era evidente che il C. ed il T. avevano urgenza di portare a compimento il lavoro che era stato loro commissionato. Sempre secondo lo S. , “il C. e il T. più volte si erano recati nel posto dove avveniva la lavorazione dell'esplosivo, limitandosi sempre ad un'attività di supervisione di quanto stava avvenendo anche perché, secondo S. , all'epoca impegnati in altre operazioni per conto del gruppo”. Terminata questa prima operazione, “si era posta la necessità di reperire altro materiale e si era proceduto, quindi, con un secondo carico questa volta, però, presso il porticciolo della omissis . Anche in questa occasione, come riferito sempre dallo S. , erano stati lui, B. , P. , C. e lo stesso T. a recarsi in tale luogo con una moto ape del L.N. che, poi, era stata usata per trasportare l'esplosivo recuperato sempre a casa della zia del collaboratore [ ]” una volta terminata la lavorazione durata venti giorni , “lo S. era stato incaricato dal C. di provvedere al trasporto dell'esplosivo, segmento della condotta alla quale il T. era rimasto estraneo”. 2.2. i riscontri oggettivi il Tribunale ha indicato come riscontri oggettivi alle dichiarazioni dello S. a il rinvenimento, da parte degli inquirenti, del magazzino presso il quale, all'inizio, fu trasportato l'esplosivo ed eseguita una parte della lavorazione b le perizie eseguite nel corso dei vari processi, avevano concluso, con certezza, che la carica esplosiva impiegata per l'attentato, era costituita da due distinti tipi di esplosivo euranfo 77, proveniente da cava così come aveva dichiarato l'altro collaboratore Br.Gi. , e tritolo tratto da residuati bellici come, appunto, aveva dichiarato lo S. il quale aveva anche riconosciuto in foto gli ordigni bellici come quelli del tipo da lui visti e prelevati, per la successiva lavorazione, presso omissis e, in un secondo momento, presso la . 2.3. riscontri soggettivanti il tribunale, infine, ha indicato come riscontri a carico del ricorrente a la partecipazione del T. alla c.d. missione romana “a febbraio del 1992, R.S. , d'accordo con gli altri personaggi di spicco dell'organizzazione, decideva di inviare nella capitale, un gruppo di affiliati al fine di valutare la fattibilità del progetto [ndr l'attentato al giudice F. ] in quella sede [ndr cioè a , dove il giudice F. lavorava presso il Ministero della Giustizia] in effetti, come hanno riferito univocamente i collaboratori di giustizia Si.Vi. e G.F. , che vi avevano preso pari personalmente, a detta fase aveva partecipato, tra gli altri, proprio il T. , partecipazione che il giudice della misura cautelare ha correttamente utilizzato come riscontro al racconto dello S. , ritenendo provata la circostanza che l'appellante nel momento in cui partecipò alla fase della lavorazione dell'esplosivo, poi impiegato per commettere l'attentato ai danni del giudice F. , fosse perfettamente a conoscenza di quale fosse l'impiego di quanto era stato ricavato dagli ordigni bellici provenienti da omissis e dalla ” b la partecipazione del T. alla c.d. strage di via per la quale è già stato condannato all'ergastolo il Tribunale, ha osservato che “la partecipazione a detta ultima strage, avvenuta, come noto, soltanto 57 giorni dopo quella di , con le medesime modalità e al fine di realizzare lo stesso scopo, a cui il T. , prese parte attiva, da piena conferma, della condivisione da parte di quest'ultimo del disegno perseguito dall'organizzazione di eliminare i due magistrati [ ]” c il ruolo del T. in Cosa Nostra sul punto, il tribunale, dopo avere rilevato che il ricorrente, pacificamente - per come risultava dalle convergenti dichiarazioni rese da numerosissimi collaboratori di giustizia - era inserito, in forma organica, sin dagli anni '80, nella famiglia di omissis con un ruolo di spessore, avendo partecipato anche alla commissione di omicidi quindi, era credibile che in lui l'organizzazione ponesse pieno affidamento anche nella predisposizione della strage. 3. Avverso la suddetta ordinanza, l'indagato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo la manifesta illogicità della motivazione sotto i seguenti profili 3.1. le dichiarazioni accusatorie rese dallo S. , erano poco caratterizzanti ed evanescenti e comunque erano state travisate perché lo S. non aveva mai riferito che il ricorrente era stato presente anche alla macinatura della seconda partita di esplosivo e cioè quella prelevata presso il porticciolo della in ogni caso, le operazioni di manipolazioni dell'esplosivo erano avvenute un mese prima della strage e, quindi, fra i due suddetti fatti, non vi poteva essere alcuna correlazione 3.2. insussistente doveva ritenersi l'elemento psicologico in quanto dalle propalazioni dello S. nulla si poteva inferire neppure a livello logico 3.3. non vi poteva essere alcuna correlazione fra la trasferta compiuta dal ricorrente a alla fine del omissis e finalizzata a controllare il giudice F. , sia perché non vi era alcuna contiguità temporale con la strage avvenuta mesi dopo sia perché si trattava di un episodio neutrale e come tale inidoneo a costituire riscontro alle dichiarazioni dello S. 3.4. il Tribunale non aveva spiegato per quale ragione la circostanza che il ricorrente fosse stato condannato, con sentenza definitiva, all'ergastolo per la strage di via in cui perì il giudice Bo. , costituiva riscontro alla partecipazione anche alla strage di . 4. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate. 4.1. le dichiarazioni dello S. il ricorrente, non ha contestato l'attendibilità delle dichiarazioni rese dallo S. ha sostenuto, però, che quelle dichiarazioni fossero poco probanti ai fini di ritenere il suo coinvolgimento nella strage, tanto più che egli aveva partecipato solo alla lavorazione della prima partita di esplosivo essendo rimasto estraneo alla seconda. La censura del ricorrente, tendente a minimizzare le dichiarazioni dello S. , è infondata. Lo S. , infatti, ha riferito che a il T. avrebbe dovuto essere presente al primo recupero dell'esplosivo a omissis , ma, siccome non era arrivato all'appuntamento, l'esplosivo fu ugualmente prelevato b il T. , subito dopo che era iniziata la lavorazione dell'esplosivo, si presentò, insieme al C. , svolgendo un'attività di supervisione , tant'è che decise, una volta che si rese conto che veniva impiegato troppo tempo, di incrementare il numero di persone addette alla lavorazione dell'esplosivo c il T. , fu colui che, dopo avere appurato che la prima partita di esplosivo era insufficiente, si recò, insieme allo S. e ad altri soggetti, a prelevare altro esplosivo presso il porticciolo della il ricorrente, quindi, rimase estraneo solo al trasporto di quest'ultima partita di esplosivo. Sulla base delle suddette dichiarazioni dello S. , si può quindi affermare che a il T. partecipò alla fase del reperimento e lavorazione di tutto l'esplosivo e non solo di quello prelevato a omissis non è vero, quindi, che rimase estraneo al reperimento della seconda partita in quanto, relativamente a quest'ultima partita, non partecipò solo alla fase del trasporto b il T. , non ha spiegato perché c'era fretta nella lavorazione dell'esplosivo, perché aveva un ruolo di supervisore, perché, infine, decise che la prima partita di esplosivo era insufficiente e che ne occorreva dell'altro c la circostanza che le operazioni di manipolazioni dell'esplosivo erano avvenute un mese prima della strage, non depone a favore della tesi difensiva, per la semplice ed ovvia ragione che i preparativi per un attentato di quella fatta, non si potevano improvvisare in poco tempo. E, sul punto, è significativo che ricorrente mise fretta al gruppo di persone che stava lavorando l'esplosivo proprio perché, evidentemente, sapeva che l'esplosivo sarebbe servito da lì a poco. 4.2. la cd missione romana il fatto è pacifico e, come si è detto, quella missione era stata ordinata da R. “al fine di valutare la fattibilità del progetto” ossia l'attentato al giudice F. . Il ricorrente, ha minimizzato e banalizzato la suddetta circostanza sostenendo che si trattava di una “condotta non punibile in quanto non sussumibile all'interno della soglia minima del tentativo penalmente rilevante”. È evidente l'equivoco in cui cade il ricorrente. Nessuno ha mai ipotizzato che quella missione costituisse una fase dell'attentato molto più semplicemente quell'episodio costituisce un grave indizio in ordine alla conoscenza che il T. aveva avuto dell'intenzione di R. di attentare alla vita del giudice F. altra spiegazione alternativa lo stesso ricorrente non ha saputo dare se non quella di ritenere la missione romana un elemento a valenza neutra. Di poco momento, infine, è la reiterazione dell'obiezione secondo la quale la distanza temporale fra i due avvenimenti renderebbe il suddetto indizio irrilevante sul punto, va ribadito che una strage di natura epocale come quella di via non la si improvvisa in poco tempo. 4.3. la partecipazione alla strage di via è vero che si tratta di due episodi differenti, ma il tribunale, ribattendo alla censura del ricorrente, ha osservato che la strage di via è strettamente concatenata a quella di essendo avvenuta “con le medesime modalità e al fine di realizzare lo stesso scopo” cfr pag. 12 ordinanza sul punto, il ricorrente, in pratica, nulla ha saputo obiettare. 4.4. Il ruolo apicale ricoperto in Cosa Nostra il ricorrente si duole del fatto che il tribunale avrebbe desunto un grave inizio di colpevolezza dalla circostanza che egli aveva dei precedenti penali e che, quindi, tale conclusione contrasterebbe con i principi costituzionali. Anche tale enfatica censura è fuorviante. Il tribunale non ha affatto affermato che i precedenti penali costituiscono un indizio di colpevolezza per il diverso reato di strage il tribunale ha solo sostenuto che il ricorrente rivestiva un ruolo apicale nell'ambito della cosca mafiosa alla quale apparteneva e che, quindi, per Cosa Nostra, era un personaggio su cui fare affidamento per le operazioni importanti. Questa considerazione, unita alla circostanza degli stretti contatti che il ricorrente aveva proprio con il gruppo di mafiosi che, successivamente, fu riconosciuto colpevole della strage, costituiva un'ulteriore “conferma che si trattava di un personaggio nel quale l'organizzazione poneva pieno affidamento e che di conseguenza ben poteva essere impiegato per commettere la strage” di via l'affermazione, quindi, non ha nulla di illogico né viola alcuna norma in tema di valutazione degli indizi. 5. In conclusione, la sequenza cronologica degli eventi ai quali il T. partecipò missione romana recupero e preparazione di un enorme quantitativo di esplosivo antecedenti di pochi mesi alla strage di la partecipazione alla strage di Via XX che venne effettuata dopo appena 57 giorni con le stesse modalità e con le stesse finalità di quella di la personalità ed il ruolo svolto nell'ambito di quella parte di Cosa Nostra coinvolta in entrambe le stragi, ha portato, quindi, il Tribunale a ritenere che “il T. fosse certamente consapevole dell'enorme capacità distruttiva dell'esplosivo che veniva lavorato dallo S. e dagli altri” al cui lavoro egli sovraintendeva. Quanto alla pretesa mancanza di indizi sull'elemento psicologico, va osservato che il Tribunale pag. 7 ha valorizzato a la missione romana alla quale il ricorrente partecipò, indice sicuro del fatto che il T. era ben conscio del fatto che Cosa Nostra aveva deciso di eliminare il giudice F. b la stretta vicinanza temporale fra la suddetta missione e la successiva fase della ricerca e lavorazione dell'ingente quantitativo di esplosivo, indice del fatto che a Cosa Nostra quell'esplosivo serviva in tempi ristretti per compiere un attentato o più attentati fuori dall'ordinario come, appunto, quello ai danni del giudice F. che, essendo sorvegliatissimo, richiedeva un eccezionale impiego di mezzi ed uomini. Sotto il profilo giuridico, infine, il tribunale ha anche illustrato, in modo ineccepibile alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità Cass. 42990/2008 riv 241824 le ragioni per le quali, a tutto concedere, non è necessario che il ricorrente fosse a conoscenza della vittima designata, “essendo la strage un delitto a soggetto passivo indifferenziato purché vi sia la volontà di uccidere almeno una persona , sebbene, alla luce delle considerazioni fatte, a giudizio di questo collegio deve ritenersi certo che egli fosse stato messo al corrente che il progetto era proprio quello di uccidere il giudice F.G. con le modalità efferate poi effettivamente impiegate” Si tratta, quindi, di una motivazione amplissima che, sia in fatto che in diritto, ha spiegato i motivi per cui il ricorrente deve ritenersi raggiunto da un compendio probatorio più che sufficiente al fini dell'emissione della misura cautelare inframuraria. 6. Il ricorso del ricorrente va, pertanto, disatteso sotto un duplice profilo. Innanzitutto, il ricorrente, ricorrendo alla notoria tecnica retorica del frazionamento della prova al fine di meglio confutarla, non ha fatto altro che isolare i singoli indizi indicati dalla Corte a sostegno della decisione, e li ha confutati uno per uno. Sul punto va osservato quanto segue. È ben noto che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, ai fini dell'adozione della misura cautelare personale è sufficiente un qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell'indagato in ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari gravi indizi di colpevolezza articolo 273/1 cod. proc. penumero non corrispondono agli indizi intesi quale elemento di prova idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono, pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall'articolo 192, comma secondo, cod. proc. penumero , non richiamato dall'articolo 273 comma primo bis, cod. proc. penumero il quale, invece, rinvia solo ai commi 3 e 4 dell'ari . 192 cod. proc. penumero ex plurimis Cass. 7793/2013 Rv. 255053 Cass. 18589/2013 Rv. 255928 Cass. 26764/2013 Rv. 256731. Nel caso di specie, tuttavia, ritiene questa Corte che gli indizi evidenziati dal Tribunale siano non solo gravi ma anche precisi e concordanti e che il tribunale si sia correttamente attenuto ai criteri di valutazione dei medesimi indicati da questa Corte di Legittimità. Il procedimento logico di valutazione degli indizi si articola, infatti, in due distinti momenti. Il primo, è diretto ad accertare il maggiore o minore livello di gravità e di precisione degli indizi, ciascuno considerato isolatamente, tenendo presente che tale livello è direttamente proporzionale alla forza di necessità logica con la quale gli elementi indizianti conducono al fatto da dimostrare ed è inversamente proporzionale alla molteplicità di accadimenti che se ne possono desumere secondo le regole di esperienza. Il secondo momento del giudizio indiziario è costituito dall'esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa ambiguità, posto che “nella valutazione complessiva ciascun indizio notoriamente si somma e, di più, si integra con gli altri, talché il limite della valenza di ognuno risulta superato sicché l'incidenza positiva probatoria viene esaltata nella composizione unitaria, e l'insieme può assumere il pregnante e univoco significato dimostrativo, per il quale può affermarsi conseguita la prova logica del fatto [ ] che - giova ricordare - non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta o storica quando sia conseguita con la rigorosità metolodogica che giustifica e sostanzia il principio del c.d. libero convincimento del giudice” Cass., Sez. Unumero 4 febbraio 1992, numero 6682, rv. 191231 . Le linee dei paradigmi valutativi della prova indiziaria sono state recentemente ribadite dalle Sezioni Unite che hanno evidenziato che il metodo di lettura unitaria e complessiva dell'intero compendio probatorio non si esaurisce in una mera sommatoria degli indizi e non può, perciò, prescindere dalla operazione propedeutica che consiste nel valutare ogni prova indiziaria singolarmente, ciascuna nella propria valenza qualitativa, tendente a porre in luce i collegamenti e la confluenza in un medesimo contesto dimostrativo Cass. Sez. Unumero 12 luglio 2005, numero 33748, rv. 231678 in terminis sulla valutazione della prova indiziaria Cass. 42482/2013 Rv. 256967. Ora, come si può notare da quanto illustrato, il Tribunale del Riesame ha evidenziato a carico del ricorrente un compendio costituito da una serie di indizi gravi perché il fatto noto ha una rilevante contiguità logica con i fatti ignoti , precisi perché il fatto noto è indiscutibile e certo e concordanti perché tutti gli indizi, si muovono nella stessa direzione , che, valutati unitariamente, acquistano una forza ancora maggiore contribuendo a formare un quadro probatorio che, secondo la incensurabile valutazione del Tribunale, è univoco. Alla stregua di quanto appena detto, il tentativo del ricorrente di frazionare il quadro indiziario evidenziato dal tribunale, va, quindi, disatteso. In secondo luogo, le censure riproposte con il presente ricorso, vanno ritenute null'altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimità, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali già ampiamente presi in esame dal Tribunale il quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva. In altri termini, la ricostruzione effettuata dal tribunale e la decisione alla quale è pervenuto deve ritenersi compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilita di apprezzamento” infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune Cass. numero 47891/2004 rv 230568 Cass. 1004/1999 rv 215745 Cass. 2436/1993 rv 196955. Sul punto va, infatti ribadito che l'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, dev'essere percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze ex plurimis SSUU 24/1999 il che, per quanto detto, non è nella fattispecie in esame. In conclusione, l'impugnazione deve rigettarsi con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. RIGETTA il ricorso e CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell'articolo 94 ter disp. att. cod. proc. Penumero .