Prima stabile presenza in Italia, poi centrale ridiventa il Paese d’origine: revocato l’assegno sociale

Confermata la legittimità della decisione adottata dall’Istituto nazionale di previdenza sociale stop all’assegno sociale, originariamente riconosciuto a una donna straniera, originaria del Marocco e immigrata in Italia. Decisiva la constatazione che la donna è tornata a vivere il Paese d’origine, perdendo il requisito della stabile dimora in Italia.

‘Copertura’ per oltre 2 anni, poi il ritorno in patria – il Marocco, per la precisione – e una presenza, in Italia, assai saltuaria ciò basta per revocare l’assegno sociale, originariamente concesso a una donna marocchina. Decisivo, come detto, il requisito – assolutamente mancante, in questo caso – del soggiorno non episodico in Italia. Cass., ord. n. 3521/2014, Sesta Sezione Civile, depositata oggi Stop. ‘Rubinetto’ chiuso, su scelta dell’Istituto nazionale di previdenza sociale, per una cittadina straniera presente in Italia l’ assegno sociale , erogato a inizio 2007, viene revocato a febbraio 2009. Fondamentale, per l’Inps, la mancanza di dimora effettiva e stabile in Italia . Questa visione viene condivisa dai giudici di merito, alla luce di elementi assolutamente acclarati la donna, titolare di carta di soggiorno dall’inizio del 1998, poi si era recata in Marocco , suo Paese d’origine, per diversi mesi, e risultava residente in Marocco , come da certificato . Per giunta, evidenziano ancora i giudici, la donna risultava sconosciuta all’indirizzo indicato in Italia Presenza. Ebbene, la decisione tranchant adottata dall’Inps, e condivisa dai giudici di merito, viene ora ‘sigillata’ dai giudici del ‘Palazzaccio’ corretta, quindi, la revoca dell’ assegno sociale originariamente riconosciuto alla donna. Fondamentale, innanzitutto, per i giudici, una veloce lettura della evoluzione normativa in materia di assegno sociale ultimo, decisivo passaggio quello con cui si è stabilito che dal 1° gennaio 2009 l’assegno sociale è corrisposto a condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale . Quindi, da questa data è richiesto il requisito del soggiorno continuativo in Italia . Tale elemento è, aggiungono i giudici, ritenuto imprescindibile anche in relazione al diritto a prestazioni assistenziali connesse ad uno stato invalidante allora, è logico dedurre che, a maggior ragione, esso sia riferimento fondamentale per prestazioni che prescindono dalla invalidità, ma sono connesse solo ad uno stato di indigenza, come nel caso dell’assegno sociale . Peraltro, viene ancora chiarito, tale requisito non rappresenta elemento di discriminazione tra cittadini italiani, cittadini comunitari e cittadini extracomunitari, perché il livello di radicamento più intenso e continuo rispetto alla mera presenza legale nel territorio dello Stato è previsto come presupposto per tutti gli aventi diritto , cittadini italiani compresi. Di conseguenza, alla luce della mancanza della stabile dimora in Italia , è legittima la revoca dell’ assegno sociale alla donna straniera, tornata ad avere come centro di riferimento il proprio Paese di origine, il Marocco.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 14 novembre 2013 – 14 febbraio 2014, n. 3521 Presidente/Relatore La Terza Ordinanza Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Torino rigettava la domanda di M.A. nei confronti dell'Inps, per ottenere il ripristino dell'assegno di sociale di cui all'art. 3 comma 6 legge 335/95, che le era stato erogato dal 1.1.2007 e revocato il 17.2.2009 sul presupposto della mancanza di dimora effettiva e stabile in Italia. La Corte rilevava che la ricorrente, titolare di carta di soggiorno dal 13.1.1998, si era recata in Marocco dal 20.8.2007 al 12.1.2008 e che risultava residente in Marocco dal certificato rilasciato il 24.3.2009, inoltre in data 24.4.2009 risultava sconosciuta all'indirizzo indicato in Italia, in Novara via Olengo 54. La Corte territoriale affermava che per gli stranieri la prestazione richiesta ha come presupposto la effettiva e stabile dimora in Italia, non essendo stata incluso, dalla normativa europea, tra i benefici esportabili. Citavano poi i Giudici d'appello l'art. 20 comma 10 del DL 112/2008 convertito in legge 133/2008 il quale stabilisce che dal 1.1.2009 l'assegno sociale è corrisposto agli aventi diritto a condizione che gli stessi abbiano soggiornato nel territorio nazionale in via continuativa per almeno dieci anni. Avverso detta sentenza la soccombente ricorre insistendo nell'affermare la prova della stabile residenza in Italia. L'Inps resiste con controricorso. Letta la relazione resa ex art. 380 bis cod. proc. civ. di manifesta infondatezza del ricorso Ritenuto che i rilievi di cui alla relazione sono condivisibili 1. Si rileva in primo luogo che la legge 335/95 art. 3 comma 6 ha introdotto l'assegno sociale in luogo della preesistente pensione sociale riservandone il diritto ai soli ai cittadini italiani, residenti in Italia. Successivamente però l'art. 39 della legge 40/98 ha disposto al primo comma che Gli stranieri titolari della carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno, nonché i minori iscritti nella loro carta di soggiorno o nel loro permesso di soggiorno, sono equiparati ai cittadini italiani ai fini della fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale, incluse quelle previste per coloro che sono affetti da morbo di Hansen o da tubercolosi, per i sordomuti, per i ciechi civili, per gli invalidi civili e per gli indigenti. Si è quindi effettuata la equiparazione tra cittadini italiani residenti in Italia e gli stranieri titolari di carta o di permesso di soggiorno, ai fini del diritto alle prestazioni assistenziali, senza invero richiedere, in aggiunta, il requisito della stabile dimora in Italia. Indi è stato emanato il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133 il quale dispone all'art. 20 comma 10 che A decorrere dal 1° gennaio 2009, l'assegno sociale di cui all'articolo 3, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è corrisposto agli aventi diritto a condizione che abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno dieci anni nel territorio nazionale . Da questa data è quindi richiesto il requisito del continuativo soggiorno in Italia. Invero il requisito del soggiorno in Italia a carattere non episodico è stato ritenuto necessario dalla giurisprudenza costituzionale anche in relazione al diritto a prestazioni assistenziali connesse ad uno stato invalidante. 2. Infatti con la sentenza n. 306/2008 la Corte Costituzionale ha affermato che al legislatore è consentito subordinare, non irragionevolmente, l'erogazione di determinate prestazioni - non inerenti a rimediare a gravi situazioni di urgenza - alla circostanza che il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata . Ed ancora con la sentenza n. 0187 del 2010 in relazione al diritto dello straniero all'assegno mensile di invalidità, il Giudice delle leggi ha affermato che questo diritto va riconosciuto allorché il titolo di legittimazione dello straniero al soggiorno nel territorio dello Stato ne dimostri il carattere non episodico e di non breve durata. Nello stesso senso con la sentenza n. 40 del 2013 in relazione al diritto dello straniero alla indennità di accompagnamento e alla pensione di invalidità nei confronti di cittadini extracomunitari, questo diritto è stato riconosciuto a coloro che siano legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato da tempo apprezzabile ed in modo non episodico. Se dunque per le prestazioni legate alla esistenza di uno stato invalidante è stato riconosciuto il diritto a condizione che lo straniero soggiorni in Italia in modo non episodico, la medesima condizione deve ragionevolmente sussistere in relazione al diritto a prestazioni che prescindono dalla invalidità, ma sono connesse solo ad uno stato di indigenza, come è nel caso dell'assegno sociale per cui è causa. 3. La Corte Costituzionale peraltro con l'ordinanza n. 197 del 2013 in relazione al citato art. 20 comma 10 DL 112/2008 ha affermato che il nuovo e più ampio limite temporale richiesto ai fini della concessione del beneficio risulta riferito non solo ai cittadini extracomunitari ma anche a quelli dei Paesi UE e financo - stando allo stretto tenore letterale della norma - agli stessi cittadini italiani che, dunque, da un lato, non risulterebbe evocabile alcun elemento di discriminazione tra cittadini extracomunitari, a seconda che risultino o no titolari del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, e, dall'altro lato, neppure sussisterebbe una disparità di trattamento tra cittadini stranieri e italiani, posto che il requisito temporale del soggiorno riguarderebbe tutti i potenziali fruitori del beneficio che, d'altra parte, la previsione di un limite di stabile permanenza per dieci anni sul territorio nazionale come requisito per ottenere il riconoscimento del predetto beneficio appare adottata, piuttosto che sulla base di una scelta di tipo meramente restrittivo , sul presupposto, per tutti gli aventi diritto , di un livello di radicamento più intenso e continuo rispetto alla mera presenza legale nel territorio dello Stato 3. Quanto agli aspetti in fatto, non si ravvisano errori logici né giuridici nella conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata per cui, nel periodo successivo alla concessione dell'assegno, era venuto meno il requisito della stabile dimora in Italia, posto che vi era un certificato di residenza in Marocco il 24.3.2009, la ricorrente era stata sicuramente assente per il lungo periodo da agosto 2007 a gennaio 2008 e risultava sconosciuta all'indirizzo indicato in Novara. Il ricorso va quindi rigettato. Le spese seguono la soccombenza giacché nel ricorso di primo grado non è stata apposta la dichiarazione reddituale prevista dalla disposizione del 2003, mentre detta dichiarazione figura nel ricorso in appello, ma non risulta sottoscritta dalla parte come prescritto dalla legge. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 1.550 per compensi professionali e 100 per esborsi, oltre accessori di legge.