Difetto della procura alle liti: se il giudice non permette alla parte di sanarne i vizi il provvedimento è nullo

Il mancato rilascio di procura alle liti determina l'inesistenza soltanto di tale atto ma non anche dell'atto di citazione, non costituendone requisito essenziale, atteso che - come si evince anche dall'articolo 163, comma 2, numero 6, c.p.c., sulla necessità di indicare il nome ed il cognome del procuratore e la procura, se già rilasciata - il difetto non è ricompreso tra quelli elencati nel successivo articolo 164 c.p.c., che ne producono la nullità.

Molto interessante la sentenza numero 21533/15 depositata il 22 ottobre 2015 della Seconda Sezione Civile della Cassazione, che, nell’esaminare una controversia relativa al compenso maturato da un avvocato nei confronti del cliente, afferma un importante principio di carattere processuale incentrato sull’obbligo del giudice di attivare il meccanismo di cui all’articolo 182 c.p.c. al fine di sanare, con effetti ex tunc , eventuali difetti della procura alle liti. Il caso. Con ricorso ai sensi degli articolo 28 e 29 l. numero 794/1942 Onorari di avvocato e di procuratore per prestazioni giudiziali in materia civile , un avvocato conveniva avanti alla Corte d’appello una società, sua cliente, cessionaria di un ramo d’azienda, chiedendo la liquidazione dei compensi ad esso avvocato spettanti per il patrocinio svolto in favore della predetta società cessionaria in un giudizio pendente in appello. La cliente convenuta eccepiva il difetto di procura del difensore che aveva sottoscritto il ricorso introduttivo e, sotto altro profilo poi non esaminato dalla Cassazione perché “assorbito” , la propria carenza di legittimazione passiva quanto al rapporto professionale dedotto perché semmai riferibile alla società cedente il ramo d’azienda . La Corte d’appello accoglieva con ordinanza la domanda dell’avvocato, liquidando a suo favore poco più di 4.000 euro. Contro tale ordinanza veniva proposto ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 111 Cost L’ammissibilità del ricorso per cassazione contro la decisione della Corte d’appello. Una prima interessante questione di carattere processuale riguarda la possibilità di impugnare in Cassazione l’ordinanza resa dalla Corte d’appello. Secondo la resistente, infatti, tale ordinanza, pur emessa a conclusione di un procedimento iniziato ai sensi degli articolo 28 ss. l. numero 794/1942, non essendosi limitata a decidere sulla determinazione della misura degli onorari, ma avendo deciso anche sui presupposti del diritto al compenso relativi all'esistenza del rapporto obbligatorio , rivestirebbe natura sostanziale di sentenza, con la conseguenza che essa sarebbe soggetta al rimedio dell'appello e non potrebbe essere impugnata immediatamente con ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'articolo 111 Cost Un primo orientamento l’ordinanza ha natura sostanziale di sentenza. La Suprema Corte rigetta però la censura che, peraltro, fa riferimento ad un orientamento interpretativo ben preciso, secondo cui in tema di compensi per le prestazioni giudiziali degli avvocati in materia civile, il provvedimento con cui il giudice adito, a conclusione di un processo iniziato ai sensi degli articolo 28 ss. l. numero 794/1942, non si limiti a decidere sulla controversia tra l'avvocato ed il cliente circa la determinazione della misura degli onorari, ma pronunci anche sui presupposti del diritto al compenso, relativi all'esistenza e alla persistenza del rapporto obbligatorio, pur se qualificato come ordinanza, riveste natura sostanziale di sentenza con la conseguenza che esso può essere impugnato con il solo mezzo dell'appello e non invece con il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'articolo 111 Cost., trattandosi di questioni di merito, la cui cognizione non può essere sottratta al doppio grado di giurisdizione. Il ricorso è ammissibile perché prevale il principio dell’apparenza. Ma, appunto, secondo gli Ermellini tale orientamento che di per sé viene confermato non può essere applicato nel caso specifico perché l’ordinanza di cui si discute non è stata emessa dal Tribunale ma dalla Corte d’appello aspetto che impedisce la proponibilità del gravame dinanzi alla stessa Corte. Di conseguenza, in questo caso, deve considerarsi prevalente il principio dell’apparenza, a tenore del quale l'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un dato provvedimento giurisdizionale va fatta in base al principio appunto dell'apparenza, vale a dire con riguardo esclusivo alla qualificazione dell'azione e del provvedimento compiuta dal giudice, indipendentemente dalla sua esattezza. In conclusione sul punto, poiché il provvedimento impugnato ha la forma di una ordinanza emessa ex articolo 28 ss. l. numero 794/1942 e poiché avverso il medesimo a prescindere dal suo contenuto non è proponibile il rimedio dell'appello in quanto emesso da una Corte d’appello, avverso tale provvedimento è proponibile il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell' articolo 111 Cost Il procedimento doveva essere dichiarato nullo per carenza di procura alle liti dell’avvocato. Secondo il cliente ricorrente, la Corte d’appello aveva errato nel non dichiarare nullo il procedimento, in ragione della dedotta inesistenza della procura alle liti in favore del difensore, solo firmatario del ricorso introduttivo. La Corte avrebbe errato nel ritenere che l’inesistenza fosse sanata per il fatto che il ricorrente, in quanto avvocato, poteva difendersi da sé, senza tuttavia considerare che lo stesso avvocato, parte processuale, non aveva sottoscritto il ricorso, né si era presentato all’udienza di trattazione, né aveva manifestato in qualche modo l’intenzione di volersi difendere da sé. Il giudice deve mettere la parte in condizione di sanare i vizi della procura alle liti. Il mancato rilascio di procura alle liti determina l'inesistenza soltanto di tale atto ma non anche dell'atto di citazione, non costituendone requisito essenziale, atteso che, come si evince anche dall'articolo 163, comma 2, numero 6, c.p.c., sulla necessita di indicare il nome ed il cognome del procuratore e la procura, se già rilasciata, il difetto non è ricompreso tra quelli elencati nel successivo articolo 164 c.p.c., che ne producono la nullità. L'atto di citazione privo della procura della parte è, quindi, idoneo ad introdurre il processo e ad attivare il potere dovere del giudice di decidere, con la conseguenza che la sentenza emessa a conclusione del processo introdotto con un atto di citazione viziato per difetto di procura alle liti è nulla, per carenza di un presupposto processuale necessario ai fini della valida costituzione del giudizio, ma non inesistente. Pertanto, detta sentenza, pur viziata «come sentenza contenuto», per effetto del principio di conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione, di cui all'articolo 161, comma 1, c.p.c., è suscettibile di passare in cosa giudicata in caso di mancata tempestiva impugnazione nell'ambito della stesso processo nel quale è stata pronunciata, non essendo esperibili i rimedi dell' actio o dell' exceptio nullitatis , consentiti solo nel caso di inesistenza della sentenza. In conclusione, secondo la Suprema Corte, l’ordinanza impugnata è da considerarsi nulla con conseguente rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello perché provveda ai sensi dell'articolo 182, comma 2, c.p.c., dovendosi ritenere doveroso per il giudice promuovere – mediante l'assegnazione di un termine perentorio alla parte - la sanatoria, con effetti ex tunc , del difetto di procura alle liti, senza il limite delle preclusioni processuali. Il difetto di rappresentanza e di autorizzazione. Per completezza si ricorda che il tenore dell’articolo 182, comma 2, c.p.c. Difetto di rappresentanza o di autorizzazione è infatti piuttosto chiaro laddove stabilisce che «quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione ovvero un vizio che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l'assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa. L'osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal momento della prima notificazione». Articolo così opportunamente modificato nel 2009. Infatti, prima di detta modifica, la disposizione prevedeva una facoltà per il giudice di assegnare un termine e venivano fatte salve le decadenze nel mentre eventualmente maturate.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 10 settembre – 22 ottobre 2015, numero 21533 Presidente Bucciante – Relatore Lombardo Ritenuto in fatto 1. - Con ricorso del 30.4.2010, proposto ai sensi degli articolo 28-29 della legge 13 giugno 1942 numero 794, M.G. - avvocato esercente la professione legale - convenne in giudizio, innanzi alla Corte di Appello di Milano, la società Logikal s.r.l. , quale società cessionaria di un ramo di azienda della società Essevi s.c. a r.l. , chiedendo la liquidazione dei compensi a lei spettanti per il patrocinio svolto in favore della detta società Essevi , nel giudizio pendente tra quest'ultima e la società Errebi S.pA. , definito con sentenza della Corte di Appello di Milano del 19.2.2008. La convenuta società Logikal, in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, resistette alla domanda, eccependo il difetto di procura del difensore che aveva sottoscritto il ricorso introduttivo e, comunque, assumendo il proprio difetto di legittimazione passiva relativamente al rapporto professionale dedotto in giudizio. Con ordinanza del 13.7.2010, la Corte di Appello di Milano accolse la domanda e liquidò in favore della ricorrente la somma di Euro 4.214,53, oltre alle spese del giudizio. 2. - Per la cassazione di tale ordinanza ricorre la società Logikal sulla base di due motivi. Resiste con controricorso M.G. , eccependo l'inammissibilità del ricorso per cassazione. Considerato in diritto 1. - Preliminarmente, va esaminata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione proposto, ai sensi dell'articolo 111 Cost., avverso l'ordinanza della Corte di Appello di Milano. Secondo la resistente, tale ordinanza, pur emessa a conclusione di un procedimento iniziato ai sensi degli articolo 28 e segg. della legge numero 794 del 1942, non essendosi limitata a decidere sulla determinazione della misura degli onorari, ma avendo deciso anche sui presupposti del diritto al compenso relativi all'esistenza del rapporto obbligatorio , rivestirebbe natura sostanziale di sentenza, con la conseguenza che essa sarebbe soggetta al rimedio dell'appello e non potrebbe essere impugnata immediatamente con ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'articolo 111 Cost. L'eccezione non è fondata. La resistente invoca l'applicazione del principio giurisprudenziale secondo cui, in tema di compensi per le prestazioni giudiziali degli avvocati in materia civile, il provvedimento con cui il giudice adito, a conclusione di un processo iniziato ai sensi degli articolo 28 e seguenti della legge 13 giugno 1942, numero 794, non si limiti a decidere sulla controversia tra l'avvocato ed il cliente circa la determinazione della misura degli onorari, ma pronunci anche sui presupposti del diritto al compenso, relativi all'esistenza e alla persistenza del rapporto obbligatorio, pur se qualificato come ordinanza, riveste natura sostanziale di sentenza con la conseguenza che esso può essere impugnato con il solo mezzo dell'appello e non invece con il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'articolo 111 Cost., trattandosi di questioni di merito, la cui cognizione non può essere sottratta al doppio grado di giurisdizione. Sez. 2, Sentenza numero 1666 del 03/02/2012, Rv. 621690 nello stesso senso, Sez. 2, Sentenza numero 21554 del 13/10/2014, Rv. 632672 Sez. 3, Ordinanza numero 960 del 16/01/2009, Rv. 606335 . Ritiene tuttavia il Collegio che il richiamato principio di diritto non possa avere applicazione nel caso di specie, in cui l'ordinanza, ex articolo 28 e ss. legge numero 794 del 1942, è stata emessa non dal Tribunale, ma dalla Corte di Appello, ciò che impedisce la proponibilità del gravame dinanzi alla medesima Corte deve invece - nella specie - prevalere il principio della apparenza. E invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte suprema, condivisa dal Collegio, l'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un dato provvedimento giurisdizionale va fatta in base al principio dell'apparenza, con riguardo esclusivo alla qualificazione dell'azione e del provvedimento compiuta dal giudice, indipendentemente dalla sua esattezza Sez. U, Sentenza numero 3599 del 12/03/2003, Rv. 561083 Sez. 3, Sentenza numero 682 del 14/01/2005, Rv. 579880 Sez. 3, Sentenza numero 4120 del 01/03/2004, Rv. 570687 . In applicazione del detto principio, si è così statuito che, nel caso di sentenza emessa in sede di esecuzione forzata, la stessa è impugnabile con l'appello se l'azione è stata qualificata come opposizione all'esecuzione, mentre è esperibile il ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 111 della Costituzione qualora l'azione sia stata definita come opposizione agli atti esecutivi Sez. 3, Sentenza numero 3288 del 15/02/2006, Rv. 586842 Sez. 3, Sentenza numero 16379 del 04/08/2005, Rv. 585524 . Le Sezioni Unite di questa Corte, poi, in una fattispecie specularmente analoga alla presente, hanno statuito che, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo per onorari ed altre spettanze dovuti dal cliente al proprio difensore per prestazioni giudiziali civili, al fine di individuare il regime impugnatorio del provvedimento - sentenza oppure ordinanza ex articolo 30 della legge 13 giugno 1942, numero 794 - che ha deciso la controversia, assume rilevanza la forma adottata dal giudice, ove la stessa sia frutto di una consapevole scelta, che può essere anche implicita e desumibile dalle modalità con le quali si è in concreto svolto il relativo procedimento. Nella specie, le S.U. hanno cassato la sentenza della Corte territoriale che aveva dichiarato inammissibile il gravame avverso la sentenza emessa dal giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo, per somme relative a prestazioni giudiziali civili, reputando che si trattasse, nella sostanza, di ordinanza inappellabile ai sensi dell'articolo 30 della legge numero 794 del 1942, nonostante detta sentenza fosse stata emanata all'esito di un procedimento svoltosi - completamente nelle forme di un ordinario procedimento civile contenzioso Sez. U, Sentenza numero 390 del 11/01/2011, Rv. 615406 . Alla luce di quanto sopra, deve perciò ritenersi che, poiché il provvedimento impugnato ha la forma di una ordinanza emessa ex articolo 28 e ss. della legge numero 794 del 1942 e poiché avverso il medesimo a prescindere dal suo contenuto non è proponibile il rimedio dell'appello in quanto emesso da una Corte di Appello, avverso il detto provvedimento è proponibile il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'articolo 111 Cost. 2. - Passando all'esame dei motivi di ricorso, che possono essere trattati unitariamente, con essi si deduce la violazione e falsa applicazione degli articolo 83-86-125 cod. proc. civ. e 2558 cod. civ., nonché il vizio di motivazione della sentenza impugnata al riguardo. I due motivi si articolano in due censure a In primo luogo, si deduce l'errore in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nel non aver rilevato la nullità del procedimento per l'inesistenza della procura alle liti in favore dell'avvocato Rosa Garofano, firmataria del ricorso introduttivo si deduce sul punto l'errore in cui sarebbe incorsa la Corte di Milano nel ritenere che l'inesistenza della detta procura fosse sanata per il fatto che la ricorrente, in quanto avvocato, poteva difendersi da sé, non avendo la suddetta Corte considerato che la M. non aveva affatto sottoscritto il ricorso né si era presentata all'udienza di trattazione del medesimo o aveva in qualche modo manifestato l'intenzione di volersi difendere da sé b In secondo luogo, si lamenta l'erronea applicazione dell'articolo 2558 cod. civ. per il quale - se non è pattuito diversamente - l'acquirente dell'azienda subentra nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale sia perché, nella specie, l'articolo 12 del contratto di cessione di azienda - non considerato affatto dalla Corte territoriale - stabiliva, in deroga a quanto previsto dall'articolo 2558 cod. civ., che la parte acquirente non subentrava in tutti i rapporti contrattuali esistenti, ma solo nei contratti relativi all'attività di facchinaggio e di gestione di magazzini e depositi, nonché in un contratto di locazione finanziaria specificamente individuato sia perché, in ogni caso, il rapporto professionale instaurato dalla società Essevi con l'avv. M. sarebbe escluso dall'ambito di applicazione dell'articolo 2558 cod. civ., trattandosi, non di contratto afferente l'esercizio dell'attività di impresa, ma di contratto di natura personale, intuitu personae , per il quale espressamente l'articolo 2558 cod. civ. escludeva la successione dell'acquirente l'azienda. 2.1. La prima censura è fondata. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v'è ragione di discostarsi, il mancato rilascio di procura alle liti determina l'inesistenza soltanto di tale atto, ma non anche dell'atto di citazione, non costituendone requisito essenziale, atteso che, come si evince anche dall'articolo 163, secondo comma, numero 6, cod. proc. civ., sulla necessità di indicare il nome ed il cognome del procuratore e la procura, se già rilasciata, il difetto non è ricompreso tra quelli elencati nel successivo articolo 164 cod. proc. civ., che ne producono la nullità. L'atto di citazione privo della procura della parte è, quindi, idoneo ad introdurre il processo e ad attivare il potere dovere del giudice di decidere, con la conseguenza che la sentenza emessa a conclusione del processo introdotto con un atto di citazione viziato per difetto di procura alle liti è nulla, per carenza di un presupposto processuale necessario ai fini della valida costituzione del giudizio, ma non inesistente, sicché detta sentenza, pur viziata come sentenza contenuto , per effetto del principio di conversione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione, di cui all'articolo 161, primo comma, cod. proc. civ., è suscettibile di passare in cosa giudicata in caso di mancata tempestiva impugnazione nell'ambito dello stesso processo nel quale è stata pronunciata, non essendo esperibili i rimedi dell' actio o dell’ exceptio nullitatis , consentiti solo nel caso di inesistenza della sentenza Sez. U, Sentenza numero 20934 del 12/10/2011, Rv. 619010 Sez. 3, Sentenza numero 4020 del 23/02/2006, Rv. 587939 . Nella specie, è pacifico che il ricorso introduttivo è stato sottoscritto dall'avv. Rosa Garofano, alla quale tuttavia M.G. non ha rilasciato alcuna procura alle liti. È pacifico anche che la M. la quale - essendo esercente la professione legale - è esentata dall'obbligo di ministero del difensore v. anche articolo 29, comma 3, legge numero 794 del 1942 non ha apposto la propria sottoscrizione sul ricorso e neppure si è presentata all'udienza camerale all'uopo fissata. Non può dirsi, pertanto, che alcuna delle attività processuali siano state compiute personalmente dalla M. , quale esercente la professione legale. Deve pertanto ritenersi la nullità dell'ordinanza impugnata e va disposto il rinvio della causa ad altra sezione della Corte di Appello di Milano, perché provveda ai sensi dell'articolo 182 comma 2 cod. proc. civ., dovendosi ritenere doveroso per il giudice promuovere - mediante l'assegnazione di un termine perentorio alla parte - la sanatoria, con effetti ex tunc, del difetto di procura alle liti, senza il limite delle preclusioni processuali cfr. Sez. U, Sentenza numero 9217 del 19/04/2010, Rv. 612563 Sez. 3, Sentenza numero 19169 del 11/09/2014, Rv. 633003 . 2.2. - La seconda censura - di cui sub b - rimane assorbita. 3. - In definitiva, in accoglimento della censura sub a , va cassata l'ordinanza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano, perché provveda ai sensi dell'articolo 182, comma 2, cod. proc. civ Il giudice di rinvio provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.