In ordine alle modalità di accertamento dell’elemento psicologico del reato, non è indispensabile che la consapevolezza dell’agente si estenda alla completa conoscenza di tutte le circostanze di tempo, modo e luogo del reato presupposto.
Sul punto la Corte di Cassazione con sentenza numero 31262/18 depositata il 10 luglio, decidendo su una questione relativa all’accertata predisposizione delle false ricevute per l’acquisto dei libri ricettati all’interno di un’azienda considera tale circostanza idonea a dimostrare la partecipazione dell’imputato all’illecito traffico. Gli elementi del reato. Per l’accertamento dell’elemento psicologico del reato, ribadiscono gli Ermellini che non risulta indispensabile che la consapevolezza del soggetto partecipante al reato si estenda all’intera conoscenza di tutte le circostanze di tempo, modo e luogo del reato presupposto, poiché si trae la prova dell’elemento soggettivo del reato anche da fattori indiretti, qualora essi consentano la dimostrazione in equivoca della mala fede. In tal senso «la consapevolezza della provenienza illecita può desumersi anche dalla qualità delle cose o dalle modalità dell’azione, soprattutto quando il possesso si accompagni alla mancata spiegazione attendibile dell’origine dei beni medesimi». E nel caso di specie la partecipazione al confezionamento di documenti finalizzati a creare una falsa rappresentazione sull’originale dei beni è sufficiente a dimostrare la consapevolezza che i beni fossero di provenienza delittuosa. Per questo il ricorso è inammissibile.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 8 marzo – 10 luglio 2018, numero 31262 Presidente De Crescienzo – Relatore Tutinelli Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in questa sede impugnato, la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza 29 gennaio 2014 del Tribunale di Pesaro, ha confermato la dichiarazione di penale responsabilità dell’odierno ricorrente in ordine alla ricettazione di alcune centinaia di libri di provenienza furtiva e alla falsificazione di una ricevuta in atti. 2. Propone ricorso per cassazione l’imputato A.G. articolando i seguenti motivi. 2.1. Violazione dell’articolo 533 cod. proc. penumero e contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla dichiarazione di penale responsabilità dell’imputato. Afferma il ricorrente che l’unica titolare dell’impresa che aveva ricevuto i libri era la moglie, G.D. , nei cui confronti era stata in un primo momento sollevata l’imputazione in concorso e che successivamente era deceduta che i beni erano stati trovati in un locale di pertinenza dell’azienda che l’imputato si sarebbe limitato a preparare il testo delle ricevute sulle quali sarebbe stata apposta la firma falsa del N. che comunque vi sarebbe prova della estraneità del ricorrente al confezionamento del falso. I giudici di secondo grado non spiegherebbero il motivo per cui sarebbe stata disattesa la versione alternativa fornita dall’imputato e comunque non supererebbe il limite del ragionevole dubbio in relazione alla penale responsabilità dello stesso. 2.2. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla valutazione dell’elemento soggettivo del delitto contestato nonché erronea applicazione dell’articolo 533 cod. proc. penumero . Il ricorrente afferma l’impossibilità per l’imputato di rendesi conto dell’eventuale maggior valore dei libri acquistati e della legittima provenienza degli stessi. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato. 2. Va infatti rilevato come la Corte abbia logicamente valutato la accertata predisposizione delle false ricevute per l’acquisto dei libri come elemento, unitamente alla prossimità con il titolare dell’azienda, idoneo a dimostrare la partecipazione all’illecito traffico e quindi, in primo luogo, la presenza di un contributo causale da parte del ricorrente. Di fatto si afferma, sulla base di una massima di esperienza assolutamente lineare, che non vi sarebbe stato motivo per cui predisporre le ricevute attestanti un falso passaggio dei libri di delittuosa se non la volontà di nascondere la provenienza medesima dei beni. Si tratta sotto questo aspetto di motivazione specifica, congrua, logica, coerente con il contenuto del fascicolo processuale e quindi, proprio per questi caratteri, insindacabile in questa sede. 3. Le stesse considerazioni possono essere riproposte con riferimento al secondo motivo di ricorso, con cui si contesta la presenza del dolo della ricettazione. La giurisprudenza di questa Corte si è già pronunciata ha elaborato una serie di principi in ordine alle modalità di accertamento dell’elemento psicologico, evidenziando come non sia indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, potendo trarsi la prova dell’elemento soggettivo del reato anche da fattori indiretti, qualora la loro coordinazione logica sia tale da consentire l’inequivoca dimostrazione della malafede in tal senso, la consapevolezza della provenienza illecita può desumersi anche dalla qualità delle cose Sez. 4, Sentenza numero 4170 del 12/12/2006 - dep. 02/02/2007 - Rv. 235897 o dalle modalità dell’azione Sez. 2, Sentenza numero 25439 del 21/04/2017 Rv. 270179 , soprattutto quando il possesso si accompagni alla mancata spiegazione attendibile dell’origine dei beni medesimi cfr. Sez. 2, Sentenza numero 20193 del 19/04/2017 Rv. 270120 Sez. 2, Sentenza numero 53017 del 22/11/2016 Rv. 268713 Sez. 2, Sentenza numero 37775 del 01/06/2016 Rv. 268085 . Nel caso di specie, gli stessi elementi di fatto come sopra rappresentati partecipazione al confezionamento di documenti finalizzati a creare una falsa rappresentazione sull’origine dei beni sono stati ritenuti sintomatici della consapevolezza che i beni fossero di provenienza delittuosa il che ancora una volta esclude la sussistenza di qualsivoglia contraddittorietà e illogicità della motivazione ovvero di qualsivoglia ragionevole dubbio in ordine al contributo causale posto in essere che trovava specifico presupposto nella disponibilità dei beni oggetto di contestazione o comunque nella volontà di agevolare la disponibilità dei beni al di fuori di effettivo controllo. 4. Alle suesposte considerazioni consegue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e, per il disposto dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.