Omosessuale in fuga dalla Nigeria: racconto pieno di stereotipi e poco credibile. Protezione negata

Unica soddisfazione per la donna, originaria della Nigeria, il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari. Confermato però il ‘no’ alla sua richiesta di protezione. Impossibile considerarla una rifugiata. Decisiva la genericità del suo racconto sui pericoli in patria per la sua condizione di omosessuale.

Costretta a fuggire dalla Nigeria a causa della propria omosessualità. Consequenziale la richiesta del riconoscimento come “rifugiata”, una volta approdata in Italia. Ma il racconto fatto dalla donna è ritenuto generico, pieno di stereotipi e poco credibile protezione negata Cassazione, ordinanza numero 16361/2016, Sezione Sesta Civile, depositata oggi . Racconto. Unica soddisfazione per la donna, originaria della Nigeria, è la concessione del «permesso di soggiorno per motivi umanitari». Sul fronte più importante, quello relativo alla richiesta dello «status di rifugiata», però, prima la Commissione territoriale, poi i giudici del Tribunale, infine quelli della Corte d’appello ritengono il «racconto» fatto dalla donna «stereotipato» e non sostenuto da «alcun riscontro». Sia chiaro, la situazione è davvero difficile per gli omosessuali in Nigeria. Esemplificativo il fatto che sia stata approvata una legge che criminalizza i rapporti tra persone dello stesso sesso. Ciò nonostante, va comunque dimostrata la condizione di «perseguitata per ragioni di orientamento sessuale». E invece la donna, pur avendo chiesto di essere accolta come «rifugiata», ha solo raccontato di avere avuto una relazione con una donna e di essere stata costretta a scappare quando «i genitori della compagna» hanno scoperto il loro legame. Manca, ad esempio, un riscontro concreto a una «denuncia per atti omosessuali» è stata davvero mai presentata alle «autorità di polizia», domandano i giudici? Troppi elementi dubbi, troppe incertezze, troppi coni d’ombra. Inattendibili le parole della donna. E di conseguenza le va negato lo «status di rifugiata».

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, sentenza 14 gennaio – 4 agosto 2016, numero 16361 Presidente Ragonesi – Relatore De Chiara Ritenuto in Fatto Che è stata depositata relazione ai sensi dell'articolo 380 bis c.p.c., nella quale si legge quanto segue «1. - La sig.ra L.J., cittadina nigeriana, ricorse al Tribunale di Napoli avverso il diniego di protezione internazionale pronunciato dalla competente commissione territoriale. Il Tribunale, dichiarata cessata la materia del contendere quanto alla richiesta gradata di permesso di soggiorno per motivi umanitari permesso rilasciato nelle more , respinse per il resto il ricorso, negando alla ricorrente il riconoscimento sia dello status di rifugiata sia della protezione sussidiaria, sul rilievo che la ricorrente stessa, venendo meno ai propri doveri di collaborazione, non aveva fornito alcun concreto elemento indiziario relativamente alla sua situazione personale. La Corte d'appello napoletana ha respinto, poi, il gravame della soccombente osservando, in particolare, che «il suo racconto attuale, comunque stereotipato, non è accompagnato da alcun riscontro, anche minimale, e non vi sono ragioni obiettive per ritenere anche solo soggettivamente credibile la medesima di fatto, il giudice adito, compresa la Corte, non sono nelle condizioni di svolgere attività istruttoria d'ufficio». La sig.ra J. ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, cui non ha resistito l'amministrazione intimata. 2. -- I due motivi di ricorso, con cui si deduce violazione di varie norme del dlgs. 19 novembre 2007, numero 251 e del d.lgs. 28 gennaio 2008, numero 25, da esaminare congiuntamente in quanto connessi e parzialmente ripetitivi, sono inammissibili. Le critiche della ricorrente si incentrano sulla negazione del riconoscimento dello status di rifugiata in quanto perseguitata per ragioni di orientamento sessuale, o comunque della protezione sussidiaria in quanto esposta al pericolo di subire trattamenti inumani o degradanti con riferimento alla medesima sua precedente condotta omosessuale. In proposito, il racconto della ricorrente, per come testualmente riferito in ricorso, è il seguente « Tornata in strada intratteneva una frequentazione con una ragazza, che la faceva oggetto di favori sessuali, ospitandola in casa sua. Dopo diverse insistenze, anche in toni minacciosi, l'esponente acconsentiva ad aver rapporti carnali con la ragazza. Tuttavia la relazione veniva scoperta dai genitori della compagna, che il 02/02/2008 picchiavano selvaggiamente la richiedente. Sapendo che la denuncia alla Polizia per atti immorali avrebbe comportato il rischio di condanna a morte ovvero a trattamenti inumani e degradanti, vista anche l'impossibilità di avere una qualche difesa per lo stato di indigenza, ella scappava nel villaggio di Okorsi, ove subiva una tentata violenza carnale da parte di alcuni ragazzi. Sapendo di essere ricercata dalla Polizia per la denuncia del crimine sessuale e non avendo altro posto dove riparare lasciava allora definitivamente il Paese, per evitare una ingiusta ed inumana incarcerazione ovvero una condanna a morte, rischio che tuttora persiste in caso di rimpatrio». Con il ricorso si lamenta che la Corte d'appello non abbia ottemperato al proprio dovere di cooperazione istruttoria articolo 8, comma 2, digs. numero 25 del 2008 e di valutazione del racconto della ricorrente alla stregua dei criteri di cui all'articolo 3 d.lgs. numero 251 del 2007, pur «a fronte delle precise e circostanziate deduzioni di parte appellante, suffragate da dovizia di particolari». Sennonché, di deduzioni siffatte non v'è traccia nel ricorso, in cui i riferimenti fattuali alla ragione di discriminazione o di minaccia di danno grave valorizzata con il ricorso stesso - ossia l'esperienza omosessuale della richiedente - sono limitati a quanto sopra testualmente riportato che non si sottrae certo alla valutazione di genericità e stereotipia posta dai giudici di merito a base della loro decisione, considerato che non viene neppure precisato, tra l'altro, se effettivamente una denuncia per gli atti omosessuali fu mai presentata alle autorità di polizia - che asseritamente ricercavano la ricorrente - e da chi dai genitori della sua compagna, che avrebbero così denunciato anche la propria figlia? . L'ulteriore censura, articolata nella seconda parte del secondo motivo, relativa alla omessa acquisizione di informazioni sul trattamento sanzionatorio riservato all'omosessualità e ai comportamenti omosessuali nel paese di origine della richiedente, è inammissibile vertendo su un profilo evidentemente assorbito dalla pregiudiziale valutazione di inattendibilità dei fatti narrati dalla ricorrente, operata dai giudici di merito.» che tale relazione è stata ritualmente comunicata agli avvocati delle parti costituite che la difesa di parte ricorrente ha presentato memoria Considerato Che il collegio condivide le considerazioni svolte nella relazione di cui sopra, non superate dalle osservazioni contenute nella memoria di parte ricorrente che pertanto il ricorso va respinto che in mancanza di attività difensiva della parte intimata non occorre provvedere sulle spese processuali che dagli atti il processo risulta esente dal contributo unificato, onde non si applica l'articolo 13, comma 1 quater, d.P.R numero 115 del 2002, inserito dall'articolo 1, comma 17, 1. numero 228 del 2012. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14 gennaio 2016