L'acquirente dell'unità immobiliare che reclama il risarcimento dei danni derivanti dall'esistenza di vizi e difetti dell'immobile, non solo deve rispettare i termini per non incorrere nella prescrizione e nella decadenza dell'azione, ma deve stare attento a non calcare troppo la mano. Richieste capotiche possono trasformarsi in un boomerang capace di determinare il rigetto della domanda risarcitoria. Il termine di decadenza dell'azione decorre dalla data di scoperta dei vizi. Se questi vengono accertati in corso di causa, mediante consulenza tecnica d'ufficio, il costruttore-venditore non può opporre la decadenza dell'azione.
Quando vizi e difetti affliggono l'immobile, il giudizio corre su binari prestabiliti. Un soggetto acquista un appartamento in corso di costruzione l'entusiasmo scompare quando lo sfortunato acquirente si rende conto che non solo l'appartamento è affetto da gravi vizi e difetti ma che i materiali impiegati sono difformi rispetto alle caratteristiche decantate dal venditore ed enunciate nel preliminare di vendita. A questo punto si innesca il giudizio che si svolge secondo la solita routine. Da un lato il malcapitato acquirente, che chiede venga accertata la responsabilità del costruttore e che quest'ultimo venga condannato alla eliminazione dei contestati difetti o, in subordine, al risarcimento dei danni derivanti dalla diminuzione del valore dell'appartamento. Di contro, il costruttore, seguendo una tattica ormai consolidata, replica contestando l'intempestività della denuncia e la prescrizione dell'azione. L'acquirente, in sostanza, non avrebbe rispettato i termini previsti dall'articolo 1669 c.c Il giudice di merito, sia in primo grado che in appello, condanna il costruttore al risarcimento del danno quantificato, in primo grado, in circa 8.600,00 euro oltre interessi da conteggiarsi dalla data della domanda giudiziaria. Il costruttore, a questo punto, non si scoraggia, affila le armi e ricorre per cassazione. Gli Ermellini ribaltano parzialmente l'esito del giudizio con la sentenza del 10 maggio 2012, numero 7179. Gli interessi non sono dovuti. Secondo il costruttore, il giudice di merito avrebbe errato nell'addebitargli gli interessi fin dalla data della domanda almeno per due ordini di motivi. Dagli atti di causa risultava che i convenuti si erano limitati a chiedere il risarcimento del danno ma non avevano effettuato alcun lavoro e, quindi, non avevano sostenuto i relativi costi. La quantificazione del danno, inoltre, era stata effettuata sulla base di una consulenza tecnica. I costi da sostenere per i ripristini erano stati stimati dal C.T.U. con riferimento alla data della consulenza e non in ragione della data della domanda. Di conseguenza, i costi erano già “attualizzati” per cui il riconoscimento degli interessi dal giorno della domanda era da considerarsi del tutto ingiusto se non illegittimo. La Corte di Cassazione ha convenuto, sul punto, la fondatezza delle ragioni del ricorrente. Poiché l'importo risarcitorio era stato determinato dal giudice di merito sulla base di costi stimati alla data dell'espletata consulenza tecnica, gli interessi non potevano decorrere dal dì della domanda giudiziaria e, quindi, da un'epoca naturalmente antecedente. A voler ragionare diversamente, l'azione avrebbe perso la propria funzione risarcitoria in quanto il risarcimento, invece di reintegrare il patrimonio dell'acquirente ingiustamente depauperato a seguito dei vizi e difetti lamentati, lo avrebbe ingiustamente arricchito attribuendo un corrispettivo superiore al danno economico subito. Censurata anche la quantificazione dei costi delle opere. A finire sotto la scure è anche la quantificazione dei costi delle opere necessarie ad effettuare i ripristini. Il giudice di primo grado aveva preso per buono il costo stimato dal Consulente Tecnico di Parte. La Corte d'Appello, dal suo canto, aveva omesso di prendere in considerazione le censure avanzate dal costruttore secondo il quale il Consulente di Parte aveva sovrastimato il costo necessario ad effettuare le opere di rifacimento del parquet . Secondo gli Ermellini l'operato della Corte territoriale è da censurare. È evidente che la parte tendi a sovrastimare il danno subito anche perché, almeno di norma, applica anche se solo inconsciamente il principio «chiedo cento per avere cinquanta». Se occorre rifare il pavimento, non è detto che il soffitto debba essere tinteggiato. Il costruttore, pratico della determinazione dei costi, basa la propria difesa sul merito della vicenda e, così facendo, scardina la tesi avversaria e, con essa, la decisione del giudice d'appello. Quest'ultimo aveva riconosciuto all'acquirente il risarcimento dei costi relativi alla tinteggiatura del soffitto. Secondo il costruttore, le opere di rifacimento della pavimentazione avrebbero eventualmente potuto danneggiare le pareti dell'appartamento rendendo necessaria la loro tinteggiatura ma mai avrebbero potuto interessare il soffitto. I relativi costi, quindi, sarebbero stati addebitati in maniera del tutto errata. Anche queste considerazioni vengono accolte dalla Cassazione. I vizi devono essere denunciati entro un anno a pena di decadenza. In vicende di questo genere uno dei punti cruciali è rappresentato dall'eccezione di decadenza. La materia è disciplinata dall'articolo 1669 c.c. che prevede un duplice sbarramento per l'azione risarcitoria. Il danneggiato è obbligato a denunciare i vizi entro un anno dalla loro scoperta e, nello stesso termine annuale, l'azione si prescrive. Nel caso in esame i vizi scoperti dal Consulente Tecnico erano risultati differenti da quelli inizialmente denunciati dall'acquirente. A questo punto scatta, ovviamente, il dilemma la denuncia iniziale fatta nel termine annuale dall'acquirente è valida anche ai fini dei vizi scoperti dal C.T.U.? Il giudizio promosso contro il costruttore viene “salvato” oppure, viceversa, il termine annuale deve considerarsi ormai spirato? Ovviamente, secondo il costruttore e non poteva essere diversamente la circostanza che non vi fosse sostanziale coincidenza tra i vizi denunciati dall'acquirente in fase iniziale e quelli riscontrati in sede di consulenza tecnica avrebbe determinato la decadenza dell'azione in fase quanto l'acquirente non avrebbe rispettato i termini indicati dall'articolo 1169 c.c La Cassazione, sul punto, ha preferito la posizione dell'acquirente. L' iter logico seguito dagli Ermellini sembra essere ineccepibile l'acquirente ha preso conoscenza dei vizi a seguito dell'intervento del Consulente Tecnico e, coltivando l'azione, ha confermato la propria volontà di agire contro il costruttore per il risarcimento del danno. Quest'ultimo, d'altro canto, partecipando attivamente al giudizio, è stato posto nelle condizioni di difendere efficacemente le proprie eventuali ragioni.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 14 marzo – 10 maggio 2012, numero 7179 Presidente Oddo – Relatore Proto Svolgimento del processo Con citazione del 4/7/2000 M R. e M.M. esponevano di avere acquistato il 23/5/1996 da T.S. un appartamento che presentava gravi vizi e difetti costruttivi con riferimento ai sottofondi e ai parquet di listoncini i quali, inoltre, erano difformi rispetto alle caratteristiche enunciate nel preliminare di vendita siccome il T. aveva prestato anche la garanzia del costruttore, chiedevano, che il medesimo fosse condannato al rifacimento del massetto e dei pavimenti o, in subordine, al risarcimento in relazione al diminuito valore dell'appartamento e, in ogni caso al risarcimento dei danni. Il convenuto si costituiva, resisteva alla domanda ed eccepiva l'intempestività della denuncia e la prescrizione dell'azione. Espletata CTU, il Tribunale di Venezia con sentenza del 6/6/2003 condannava il convenuto al pagamento della somma di Euro 8.621,28 oltre interessi dalla data della domanda a titolo di risarcimento del danno, oltre spese di causa. Il T. proponeva appello resistevano gli appellati che proponevano appello incidentale. La Corte di Appello di Venezia con sentenza del 19/11/09 rigettava l'appello principale e accoglieva parzialmente l'appello incidentale condannando l'appellante al pagamento delle spese. T.S. propone ricorso per cassazione affidato a 6 motivi. Il R. e la M. sono rimasti intimati. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza per l'omessa pronuncia sul motivo di appello relativo all'attribuzione degli interessi sul quantum risarcitorio dal giorno della domanda, mentre con l'appello era stato dedotto che alcuni costi al momento della domanda non erano neppure stati sostenuti e che il CTU aveva stimato il costo di ripristino al momento della consulenza 13/7/2002 così attualizzando il risarcimento e pertanto gli interessi non potevano decorrere dal momento della proposizione della domanda 4/7/2000 . 2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza per l'omessa pronuncia sul motivo di appello relativo all'incremento dei costi stimati dal Tribunale per la sostituzione del parquet sulla base della C.T. di parte attrice si assume che era stata censurata, con specifico motivo di appello, la statuizione relativa all'incremento del risarcimento per un preteso maggior costo per Euro 193,93 del parquet, calcolato in lire 24.000 a mq. invece che in lire 15000 a mq., ma neppure su questa censura il giudice di appello aveva in alcun modo motivato. 3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza per l'omessa pronuncia sul motivo di appello relativo all'erroneo riconoscimento agli attori, a titolo di risarcimento, anche del costo della rIdipintura dei locali, essendo stato dedotto che il costo della ridipintura non era liquidabile in quanto la necessità di rifacimento della pavimentazione non aveva attinenza con le pareti o i soffitti dell'immobile 4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza per l'omessa pronuncia sul motivo di appello relativo alla propria condanna al pagamento integrale delle spese di lite del primo grado nonostante che con la sentenza fossero state notevolmente ridimensionate le pretese economiche degli attori. 5. I quattro motivi devono essere esaminati congiuntamente in quanto concernono l'omessa pronuncia su quattro motivi di appello. 5. I quattro motivi devono essere esaminati congiuntamente in quanto concernono l'omessa pronuncia su quattro motivi di appello. Tenuto conto della natura processuale del vizio dedotto, questa Corte deve procedere all'esame diretto dell'atto di appello e dei relativi motivi nell'atto di appello sono esposti tre motivi, ma i primi due non corrispondono ai motivi di appello per i quali il ricorrente lamenta l'omessa pronuncia era stata invece indicata come motivo di appello la condanna alle spese processuali. Tuttavia nello stesso atto di appello, dopo l'esposizione delle censure indicate come motivi di appello , sono sviluppate ulteriori censure quelle richiamate ai precedenti punti 1, 2 e 3 in ordine alle quali con il ricorso per cassazione è stato dedotto il vizio di omessa pronuncia queste censure, pur non specificamente indicate come motivi di appello, attengono ad errores in iudicando e pertanto, in relazione all'effetto devolutivo del giudIzio di appello, non assume rilevanza il fatto che non siano state espressamente epigrafate come motivi di appello essendo chiara la volontà di sottoporre tali censure all'esame e al giudizio del giudice di appello che, quindi, aveva il dovere di decidere anche su di esse. Nella sentenza impugnata, invece, non si rinviene alcun elemento, neppure implicito, dal quale possa desumersi che le stesse siano state in qualche modo prese in considerazione. Ne discende che i quattro motivi di omessa pronuncia devono essere accolti, precisandosi che il ricorrente ha altresì indicato quelle specifiche circostanze di merito che avrebbero potuto portare, secondo la sua opinione, all'accoglimento del gravame, così che ha assolto anche l'onere di indicare lo specifico pregiudizio che deriva dal mancato esame dei motivi. 6. Con il quinto motivo così testualmente rubricato violazione dell'articolo 1669 c.c. per erroneo mancato riscontro della decadenza degli attori dall'onere di denuncia dei vizi nel termine annuale prescritto dalla suddetta norma in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c. . Il ricorrente deduce di avere eccepito, con il motivo di appello, la diversità dei vizi accertati rispetto a quelli rilevati dal CT e in relazione ai quali gli attori avevano agito egli sostiene che gli attori non avrebbero mai denunciato i vizi accertati dal CTU in quanto quelli denunciati sarebbero altri e diversi e pertanto sarebbero incorsi nella decadenza di cui all'articolo 1669 c.c 7. Il motivo è infondato e deve essere rigettato in quanto muove dal presupposto che i nuovi vizi risultanti in corso di causa dovessero essere autonomamente denunciati e che in mancanza di denuncia nel termine annuale, avrebbe dovuto essere pronunciata la decadenza stabilita dall'articolo 1669 c.c. tuttavia il suddetto presupposto è del tutto privo di fondamento perché, trattandosi di vizi accertati solo in corso di causa, non potevano essere denunciati anteriormente e non dovevano essere autonomamente denunciati, posto che, comunque, erano accertati in corso di causa nel contraddittorio delle parti il motivo, per altro verso, è pure inammissibile in quanto si risolve in una censura di merito in ordine alla tipologia dei vizi denunciati e alla loro corrispondenza con quelli accertati che esula dall'ambito della violazione di legge oggetto del motivo. 8. Con il sesto motivo il ricorrente deduce violazione dell'articolo 91 c.p.c. e dell'articolo 6 comma 1 D.M. numero 127/2004 per l'erronea individuazione dello scaglione di valore della causa perché la Corte di Appello avrebbe liquidato con riferimento ad uno scaglione eccedente quello tra i 5.200 Euro e i 26.000 Euro e, quindi,con riferimento al petitum piuttosto che al decisum perché se avesse applicato lo scaglione corretto non avrebbe potuto liquidare per onorari Euro 2.930,00, ma, al massimo Euro 2.610. 9. Il motivo è assorbito dall'accoglimento dei primi quattro motivi con la conseguente cassazione della sentenza e il rinvio della causa, anche per la liquidazione delle spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia. P.Q.M. La Corte accoglie i primi quattro motivi di ricorso, assorbito il sesto, rigetta il quinto motivo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia.