Niente condanna per l’uomo, un cittadino extracomunitario, che ha presentato istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ma accompagnandolo con un dato reddituale nettamente inferiore a quello accertato.
Differenza netta tra reddito dichiarato e reddito accertato poco meno di 2mila euro. ‘Bluff’ evidente, quello compiuto da un cittadino extracomunitario, e reso ancor più grave dal fatto che il nodo economico è decisivo per valutare la richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Ma, nonostante tutto, l’uomo non è condannabile. Perché l’azione da lui compiuta è valutabile come semplice “errore” Cass., sent. numero 19287/2014, Quarta Sezione Penale, depositata oggi . Errore. Sicuramente a sorpresa la decisione assunta dal Giudice dell’udienza preliminare viene assolto, difatti, l’uomo – un cittadino extracomunitario – che ha dichiarato «ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, un reddito pari a 9750 euro, in luogo di quello accertato di 11502 euro». Secondo il Gup si può parlare, a ragion veduta, di «inoffensività della condotta» tenuta dall’uomo. Di avviso opposto, invece, il Procuratore Generale, che contesta la decisione del Gup, ricorrendo in Cassazione, e chiedendo una condanna per l’uomo, alla luce della oggettività del «reato» commesso. Ma le obiezioni mosse dal Procuratore Generale, pur accettabili, non spingono i giudici del ‘Palazzaccio’ a mettere in discussione l’«assoluzione» pronunciata dal Gup. Ciò perché il «reddito dichiarato» dall’uomo è risultato «corrispondente a quello indicato dalla ‘certificazione Isee’». E tale elemento, spiegano i giudici, valutato «congiuntamente alla condizione di cittadino extracomunitario», mina la «tesi accusatoria che prospetta l’esistenza del dolo», introducendo la «ragionevole possibilità» che l’uomo sia semplicemente «incorso in errore».
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 18 febbraio – 9 maggio 2014, numero 19287 Presidente Romis – Relatore Dovere Ritenuto di fatto 1. Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Messina propone ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale M.A. è stato mandato assolto dal reato di cui all'articolo 95 TU 115/2002 per la inoffensività della condotta, consistita nel dichiarare ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato un reddito pari ad euro 9750,00 in luogo di quello accertato di euro 11502,00. Per il ricorrente la sentenza impugnata presenta vizio motivazionale, in quanto pur a fronte di una giurisprudenza di legittimità che ritiene integrato il reato anche in caso di falsità che non pregiudicano l'effettiva sussistenza delle condizioni per l'ammissione al beneficio, il giudice ha omesso di esplicitare le ragioni per le quali respinge tale giurisprudenza. L'ammontare del reddito non dichiarato preclude la possibilità di ritenere l'assenza dei dolo. Deduce, altresì, violazione di legge, non potendo dirsi modesta una somma quale quella non dichiarata. Considerato in diritto 2. Il ricorso è infondato. 2.1. Non erra il ricorrente quando rimarca che l'orientamento affermatosi con la pronuncia Sez. U, numero 6591 del 27/11/2008 - dep. 16/02/2009, Infanti, Rv. 242152 è nel senso che integrano il delitto di cui all'articolo 95 d.P.R. numero 115 del 2002 le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l'ammissione al beneficio. Ne consegue che l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata, per la quale è inoffensiva l'omessa dichiarazione di poco meno di duemila euro di reddito, in presenza della indicazione di un reddito pari a 9.750 euro, risulta erronea. Il reato in parola, infatti, è di pericolo rispetto al bene giuridico della pubblica fede e pertanto la sua offensività/inoffensività si misura in rapporto non già alla misura della divergenza tra il dato reale e quello dichiarato bensì alla luce della idoneità della falsità o dell'omissione e pertanto dell'intera condotta ad indurre in errore il magistrato prima di decidere in merito all'istanza così SU numero 6591/2008, in motivazione . 2.2. Va tuttavia ritenuto che le censure del ricorrente, sia pur fondate quanto al giudizio espresso dal giudice in tema di elemento oggettivo del reato, non siano in grado di travolgere la decisione impugnata nel suo complesso. Ciò in quanto la motivazione impugnata risulta non manifestamente illogica e conforme ai principi di diritto quanto al giudizio in ordine all'attribuzione soggettiva del reato. Il giudice territoriale, infatti, ha esplicato che il reddito dichiarato dall'imputato risulta corrispondente a quello indicato dalla certificazione ISEE e che tale circostanza, valutata congiuntamente alla condizione di cittadino extracomunitario del M., mina la tesi accusatoria che prospetta l'esistenza del dolo, introducendo la ragionevole possibilità che l'imputato sia incorso in errore determinato da colpa. A simile argomentazione il ricorrente non muove decisiva censura, limitandosi ad evocare la verosimiglianza di un errore per l'ipotesi che la discrasia sia contenuta in poche decine di euro e l'impossibilità di invocare funditus la disciplina dell'errore scusabile, come delineata dalla giurisprudenza costituzionale. Ovvero utilizzando argomenti che non incidono sul nucleo della motivazione resa sul punto dal giudice. Ne consegue il rigetto del ricorso. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18/2/2014.