Troppi affidi, assistenti sociali sotto accusa. Ma le osservazioni negative, espresse dalla dirigente in un’intervista, sono solo diritto di critica

Le colonne di un quotidiano nazionale come cassa di risonanza, piccata reazione degli operatori. Ma la condanna per diffamazione viene completamente ribaltata le osservazioni su obiettività e preparazione dei dipendenti sono legittime. Anche perché ci si trova ad affrontare un tema di grande rilevanza.

Poca obiettività e relazioni «palesemente sbagliate», tanto da spingere addirittura ad adottare la decisione estrema sollevare alcune persone dagli incarichi affidati loro. A tinteggiare il quadro, per nulla edificante, del ‘settore Famiglia’ dei Servizi sociali del Comune di Milano è la dirigente, insediatasi da pochi mesi. Ma è la cassa di risonanza – ecco il punto – a scatenare la bagarre la dirigente, difatti, parla dalle colonne di un importante quotidiano nazionale. E gli operatori finiti sotto accusa, gli assistenti sociali, si sentono diffamati Ciò che conta, però, è l’ambito di riferimento, quello dell’affidamento dei figli, «di grande rilevanza sociale e di assoluto interesse per l’opinione pubblica» così, le osservazioni della dirigente sono da valutare come «esercizio legittimo del diritto di critica» Cassazione, sentenza numero 15973, Quinta sezione Penale, depositata oggi . Poco affidabili? Ai ‘raggi X’ la pratica dell’affido dei minori nel Comune di Milano i numeri sono preoccupanti, e la dirigente del ‘settore Famiglia’ dei Servizi sociali descrive una struttura poco rassicurante, ponendo sotto accusa il lavoro degli assistenti sociali. E per farlo utilizza, in un’intervista, le colonne di un quotidiano nazionale A prenderla male sono, ovviamente, gli operatori, che denunciano la dirigente per «diffamazione», affermando di essere stati tacciati di «impreparazione ed approssimazione». In dettaglio Ebbene, alla dirigente viene, in effetti, addebitato il reato contestato, sia in primo che in secondo grado. Anche se le prospettive sono diverse Di certo, ella aveva denunciato «disfunzioni», attribuendole «alla scarsa professionalità di alcuni assistenti sociali» cui rimproverava «superficialità e mancanza di obiettività» e affermando di essere stata costretta a «sollevare dall’incarico» alcuni operatori. Però, mentre per il primo giudice era proprio quest’ultima, singola affermazione a risultare «non corrispondente al vero», per il secondo giudice era «diffamatoria» l’intervista in toto . Critiche. Già questa diversa visione viene richiamata dal legale della dirigente nel ricorso in Cassazione, assieme alla sottolineatura che, nella intervista ‘incriminata’, era stato affermato anche che «tanti assistenti sociali hanno operato con scrupolo ed attenzione». E, comunque, secondo il legale, le dichiarazioni della dirigente alla stampa andavano collocate nell’ottica del diritto di critica. Tale ottica viene condivisa anche dai giudici della Cassazione, che ribaltano completamente la doppia condanna emessa in primo e in secondo grado. Per un motivo semplice le considerazioni espresse dalla dirigente vanno valutate come «opinioni critiche» su una questione «di grande rilevanza sociale e di assoluto interesse per l’opinione pubblica», peraltro manifestate «con assoluta continenza». Di conseguenza, non è assolutamente sostenibile, secondo i giudici, la punibilità della dirigente, che ha soltanto esercitato il «legittimo diritto di critica».

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 dicembre 2011 – 26 aprile 2012, numero 15973 Presidente Relatore Scalera Osserva A. - M.C., dirigente del settore “Famiglia” dei Servizi Sociali del Comune di Milano, è stata ritenuta con doppia conforme responsabile del delitto di diffamazione in danno degli assistenti sociali da lei dipendenti, che in una intervista rilasciata al quotidiano “Il Giornale” aveva tacciato di impreparazione ed approssimazione nel lavoro. Propone ricorso avverso la sentenza della corte di appello di Milano del 15 ottobre 2010, che aveva confermato la condanna pronunciata in suo danno da quel giudice dell’udienza preliminare in esito a giudizio abbreviato. Secondo l’ipotesi di accusa la ricorrente aveva denunciato disfunzioni nel servizio, che viveva attribuito essenzialmente alla scarso professionalità di alcuni assistenti sociali, cui rimproverava superficialità e mancanza di obiettività, affermando di essere stata talvolta costretta in qualche caso - pochi, precisava - a sollevare dall’incarico l’assistente sociale in origine officiato. Nel corso dell’intervista aveva tuttavia avuto cura di precisare che tanti assistenti sociali di quell’ufficio avevano operato invece con scrupolo e competenza. Il primo giudice aveva analizzato una per una le frasi asseritamene diffamatorie contenute nell’articolo di stampa, ritenendo la valenza illecita, perché non corrispondente al vero, di una sola di esse, ed esattamente quella con cui l’imputata aveva sostenuto di aver dovuto talvolta sollevare dall’ incarico qualche assistente sociale rivelatosi inadeguato rispetto ai compito affidatogli. Deduce la ricorrente con quattro motivi di ricorso 1. - la contraddittorietà della sentenza, che aveva ritenuto che l’articolo avesse colpito indistintamente tutti gli assistenti sociali, di modo che la querela presentata solo da 41 di loro legittimava l’azione penale, trascurando di considerare quanto nello stesso articolo si assumeva in ordine alta capacità e preparazione di “tanti assistenti sociali che invece hanno operato per il verso giusto lavorando con scrupolo ed attenzione” 2. - difetto di motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza della scriminante di cui a l’articolo 51 c.p., essendo stato nella specie legittimamente esercitato il diritto di critica 3. - illogicità della motivazione, avendo la corte territoriale criticato la sentenza di primo grado, che a suo avviso aveva parcellizzato l’esame delle espressione contestate, ritenendone diffamatoria solo una laddove invece andava considerato l’articolo nel suo complesso. Denunzia in particolare la ricorrente l’incongruenza dell’assunto secondo il quale le singole espressioni non sono diffamatorie ma lo diventano se lette nel contesto dell’intera intervista 4. - Deduce infine la violazione del divieto di reformatio in pejus, che nel caso di specie s’era verificato atteso che mentre in primo grado una sola frase era stata ritenuta diffamatoria, nella sentenza di secondo grado era divenuto diffamatorio l’intero articolo. B. - Il ricorso è fondato. A prescindere infatti dalle non poche perplessità che la motivazione della sentenza impugnata suscita, anche a voler ritenere legittima la rivalutazione nel complesso dell’intera intervista, con l’attribuzione ex novo di portata denigratoria anche a quelle frasi ed espressioni che il primo giudice aveva valutato come non rilevanti penalmente, non v’è dubbio che la attuale ricorrente aveva espresso opinioni critiche su questione di grande rilevanza sociale e di assoluto interesse per l’opinione pubblica, esprimendosi con assoluta continenza, tra l’altro puntualizzando come le sue considerazioni negative si riferivano a pochi casi mentre “tanti” assistenti sociali di quello stesso ufficio svolgevano il loro compito con scrupolo ed attenzione. Deve allora osservarsi che il tono complessivamente censorio e diffamatorio dell’intervista, che la corte territoriale ha rilevato forse al di là dell’effettiva portata di quelle stesse dichiarazioni che il primo giudice aveva ritenuto per gran parte immuni da accenti denigratori, è pienamente scriminato dall’esercizio legittimo dei diritto di critica ai sensi dell’articolo 51 del codice penale. La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio perché il fatto non è punibile in quanto posto in essere nel legittimo esercizio del diritto di critica. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato ai sensi dell’articolo 51 cod. penumero