Può dirsi provato il nesso causale tra il sinistro ed il successivo decesso del pedone investito sulla scorta delle risultanze della disposta perizia medico legale che nel far espresso riferimento anche alle condizioni di salute preesistenti nella persona offesa ne abbia, anche implicitamente, escluso una incidenza causale di queste ultime tale da interrompere il nesso causale con il sinistro, invece espressamente affermato.
Il fatto. L’imputata veniva tratta a giudizio per rispondere del reato previsto e punito dagli articolo 589, co. 2 e 4 e 590, co. 2 e 4 c.p., per aver cagionato la morte di un pedone e lesioni personali gravissime ad altro pedone all’esito di sinistro stradale da essa provocato per colpa con violazione delle norme sulla disciplina dalla circolazione stradale. La Corte d’Appello adita confermava la sentenza impugnata in riferimento alla responsabilità dell’imputata riformandola esclusivamente quoad poenam. Avverso la sentenza resa dal Giudice del secondo grado, l’imputata propone ricorso per cassazione deducendo, in quattro distinti motivi, violazione di legge e vizio di motivazione in punto responsabilità penale e trattamento sanzionatorio. La Corte dichiara inammissibile il ricorso, poiché infondato, Il nesso di causalità e le modalità di suo accertamento. La pronuncia appare interessante sotto due distinti profili, il primo relativo alle modalità di accertamento del nesso di causalità e dei limiti che deve possedere la motivazione atta sostenere l’esistenza tra condotta contestata ed evento occorso, ed il secondo riferito ai criteri da adottarsi ex articolo 133 c.p. in tema di determinazione della sanzione penale da irrogarsi. Il nesso di causalità, in riferimento ai reati di evento, ha sempre costituito pericoloso scoglio con cui il Giudice deve attentamente misurarsi. Soprattutto in relazione ai concetti, ben noti ai penalisti, di concausa o di causa preesistente. La pronuncia in commento non si intrattiene per vero esplicitamente in tema ma, evidentemente, intorno al medesimo decide di pronunciarsi poiché sollecitata da un rilievo mosso dalla difesa. Ora la difesa lamenta come i periti incaricati dal Giudice del merito abbiano rilevato in capo alla persona offesa una patologia preesistente ma che detta patologia non sia stata in alcun modo considerata ai fini della determinazione del nesso di causalità tra l’evento lesivo, investimento, ed il suo esito, il decesso della persona offesa. Evidentemente il difensore intendeva lagnarsi in relazione ad una perizia che riteneva superficiale o, quantomeno, non esaustiva proprio in ordine alla sussistenza di altra causa, indipendente o concorrente, capace di spezzare od integrare il legame causa – evento. Ora la Corte in punto afferma alcuni concetti che paiono essere condivisibili. Primo la deduzione dei vizi denunciati a carico della perizia deve essere esplicita, assolutamente non generica e puntuale. Occorre, cioè, che la difesa indichi quali siano gli spazi, od i margini di dubbio , sorreggendoli con la “produzione” di dottrina medica dottrina in senso stretto, guide line, best pratice, studi etc. etc. in grado di corroborare le tesi atte a sostenere il vizio di cui si chiede emenda. In difetto di detta puntuale contestazione, la lagnanza diviene generica non accettazione delle risultanze di un’attività, la perizia, affidata al depositario di un sapere tecnico che il Giudice non è, per sua ammissione, in grado di possedere. È ovvio che in questa sede si manifestano tutti i dubbi e le perplessità o per così dire le criticità, che riguardano l’affidamento dell’incarico peritale e la competenza del perito, ovvero al rapporto esistente tra perito e giudice ed alla sempre presente difficoltà di veder tramutato il giudizio del perito in sentenza. Altrettanto ovvio è che i rimedi ad un simile rischio non possono che trovare sfogo nella fase antecedente la nomina del perito attraverso la scelta del perito più competente in punto o attraverso la nomina di consulenti tecnici di parte dotati di competenze e saperi scientifici congrui e nelle valutazioni che dell’elaborato peritale le parti possono e sono chiamate a fare anche attraverso l’esame del perito. È raro in tale sede nelle nostre aule di giustizia sentire difensori che chiedono al perito di illustrare le proprie specifiche competenze in relazione al materiale ed al quesito assegnatogli. Altrettanto, e forse ancor più raro, è assistere a confronti fra consulenti. Esperite queste attività e divenuto l’elaborato peritale patrimonio di conoscenza del giudice e nel corso della discussione e nella redazione dell’atto d’appello il contenuto di esso non potrà essere posto in discussione, attendendosi dei validi o almeno dei significativi risultati, solo ed esclusivamente attraverso generiche doglianze del tutto scollegate da qualsivoglia substrato o sostegno scientifico. La genericità delle stesse non sarà, ovviamente neppure in grado di aggredire la sentenza sotto il profilo del vizio di motivazione che, non essendo la difesa in grado di fornire spiegazioni alternative dell’evento, non si potrà appalesare. Corretta lettura degli elaborati peritali. Un secondo importante dato può ricavarsi dalla pronuncia in riferimento alla necessità di fornire corretta lettura degli elaborati peritali. La Corte di Cassazione esplicitamente richiama la parte alla lettura dell’elaborato evidenziando come i periti abbiano ravvisato una patologia preesistente nella persona offesa e come, in esito alla analisi della vicenda, essi abbiano ricondotto l’evento morte alla condotta posta in essere dall’imputata. Con il che, sotto un profilo strettamente logico, v’è da ritenere che i periti non abbiano considerato rilevante né quale causa autonoma né quale concausa la patologia preesistente correttamente individuata e rilevata. Mi pare ragionamento logico giuridico meritevole di apprezzamento ed accoglimento. Criteri di applicazione della pena. Un ultimo aspetto della sentenza vale la pena sottolineare, quello inerente i criteri di applicazione della pena. La Corte si richiama ad un insegnamento davvero pacifico ed incontroverso, a sensi del quale la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’articolo 133 c.p. Ed anzi, non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale. Una assenza di motivazione in punto giustificata, e giustificabile, proprio in base ed in virtù della scelta fatta dal Legislatore che ha ritenuto punire la condotta incriminata con quel minimo di pena al di sotto del quale il Giudice non può scendere e che deve essere ritenuto, anche in riferimento alle pene che attorno ad esso si attestano, ragionevole ed equo.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 29 gennaio – 20 febbraio 2014, numero 8095 Presidente Zecca – Relatore Iannello Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 27 marzo 2012 il Tribunale di Palermo riconosceva P.C. colpevole del reato p. e p. dagli articolo 589, commi 2 e 4, e 590, commi 2 e 4, cod. penumero ad essa ascritto per aver cagionato la morte di un pedone e lesioni personali gravissime ad altro pedone all'esito di sinistro stradale da essa provocato per colpa, con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale. Si accertava infatti, conformemente all'imputazione, che la predetta, in data 26 agosto 2006, alla guida della propria autovettura, giunta ad un'intersezione, pur essendo obbligata a fermarsi e a dare la precedenza all'autovettura proveniente da destra e, peraltro, in presenza di un segnale verticale di stop, proseguiva la sua marcia a velocità non consona allo stato dei luoghi, senza nemmeno accennare un rallentamento, così determinando l'urto con la predetta autovettura che, sotto la forza impressa dall'impatto, deviava la propria corsa sul latistante marciapiede ove si trovavano i pedoni, che ne venivano travolti riportando gravi lesioni dalle quali derivava, per uno di essi, dopo qualche tempo, la morte. La P. era pertanto condannata ad un anno e dieci mesi di reclusione, pena sospesa. Con la sentenza in epigrafe la Corte d'Appello riformava tale decisione solo in punto di determinazione della pena, che veniva ridotta ad un anno e quattro mesi di reclusione. 2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l'imputata, per mezzo del proprio difensore, articolando quattro motivi, con i quali deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di responsabilità penale e trattamento sanzionatorio. Rileva in particolare che la corte territoriale ha omesso di considerare che l'autovettura da essa condotta nell'occorso ebbe a investire i pedoni dopo l'impatto avuto con la Bmw proveniente dalla sua destra che i pedoni non erano visibili dalla posizione ove essa si trovava al momento del sinistro che sul punto, ossia sulla posizione dei pedoni, è erronea la valutazione operata dalla corte territoriale dei raccolti elementi di prova deposizione del teste C. e tracce ematiche rinvenute sul marciapiede che infine la Corte d'Appello non ha tenuto nel dovuto conto le dichiarazioni dell'altro pedone investito, quali contenute nella querela dallo stesso sporta. Sotto altro profilo censura come lacunosa e illogica la motivazione posta a fondamento della riconosciuta sussistenza di nesso causale tra l'incidente e la morte del pedone R.I., avendo i giudici di merito trascurato di considerare la malattia cerebrovascolare cronica di cui questi era affetto e che il decesso era intervenuto a distanza di due mesi dal sinistro, per arresto cardiorespiratorio. Deduce infine che, stante la sua incensuratezza, l'imputata meritava il minimo della pena. Considerato in diritto 3. Il ricorso è manifestamente infondato. Con le doglianze illustrate nell'atto d'impugnazione proposto in questa sede, la ricorrente si limita in buona sostanza a negare in modo generico ed apodittico la propria responsabilità penale senza confrontarsi in modo puntuale con le argomentazioni e la valutazione degli elementi di prova posti a base della decisione impugnata e valorizzando peraltro aspetti della dinamica del sinistro smentiti dalla pacifica ricostruzione contenuta nel capo di imputazione e in sentenza dalla quale risulta che i pedoni furono travolti non direttamente dell'auto dell'imputata ma, in conseguenza dell'urto, dall'altra autovettura e comunque di marginale rilievo nella individuazione delle cause e responsabilità del sinistro tale in particolare la posizione dei pedoni, la cui contestazione da parte dell'odierna ricorrente appare peraltro affidata a mere generiche critiche delle valutazioni operate dalla corte territoriale, come tale inidonee a palesarne una manifesta illogicità . 4. Tanto deve dirsi anche con riferimento alla contestata sussistenza di un nesso causale tra il sinistro e il successivo decesso del pedone R.I Sul punto il convincimento della Corte d'Appello è motivato sulla base degli esiti della consulenza tecnica medico-legale, la quale - si riferisce in sentenza - «ha chiarito come le condizioni del R., pur immediatamente curato, si fossero a seguito della grave lesione alla gamba . aggravate sino ad arrivare all'amputazione dell'arto e al manifestarsi di una sepsi diffusa», ed ha quindi «univocamente ricondotto la causa del decesso . alle lesioni traumatiche patite». Una tale motivazione è perfettamente congrua e valida sul piano logico a supportare il convincimento detto. Per contro la censura sul punto svolta dal ricorrente secondo cui il giudice del merito non avrebbe tenuto conto della pregressa malattia cronica e del tempo trascorso dal sinistro al decesso si appalesa del tutto generica e non vale a evidenziare lacune o incoerenze logiche nel ragionamento probatorio della corte. Il rilievo oblitera infatti il dato istruttorio utilizzato dalla Corte d'Appello, rappresentato dai rilievi peritali che, evidentemente, nel supportare le conclusioni dette e nel far espresso riferimento anche alle condizioni preesistenti della persona offesa, hanno anche implicitamente escluso una incidenza causale di queste ultime tale da interrompere il nesso causale con il sinistro, invece espressamente affermato. In tale contesto, intanto avrebbe potuto ravvisarsi in astratto un vizio di motivazione, in quanto a nei motivi d'appello fosse stata dedotta specificamente l'esistenza di gravi errori, lacune o incongruenze negli accertamenti e nelle valutazioni peritali b tali motivi non fossero stati esaminati o vi fosse stata data risposta incoerente o illogica da parte del giudice del merito. Nulla di tutto questo deduce la ricorrente, la quale si limita piuttosto ad affermare genericamente l'insussistenza del nesso causale. In tal senso la censura si risolve evidentemente nella mera apodittica prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti, come tale del tutto inammissibile in sede di legittimità. 5. Quanto infine al trattamento sanzionatorio, è appena il caso di rammentare che in tema di dosimetria della pena, la giurisprudenza di questa Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita Sez. 6, numero 36382 del 04/07/2003, Dell'Anna, Rv. 227142 o con formule sintetiche tipo si ritiene congrua v. Sez. 6 , numero 9120 del 02/07/1998, Urrata, Rv. 211583 , ma afferma anche che le statuizioni relative sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico. Trovasi anzi condivisi bilmente precisato che «la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell'articolo 133 cod. penumero Anzi, non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale» Sez. 4, numero 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278 . In relazione alle esposte coordinate di riferimento è da escludersi che, nel caso in esame, la quantificazione della pena sia frutto di arbitrio o di illogico ragionamento o che comunque si espongano a censura di vizio di motivazione, avendo il giudice a quo sia pure adeguatamente motivato sul punto facendo in particolare riferimento all'elevato grado della colpa e alla gravità del danno. 6. Ai sensi dell'articolo 606, comma 3, cod. proc. penumero il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Discende dal detto esito, ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. penumero , la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché - apparendo evidente che essa ha proposto il ricorso determinando la causa di inammissibilità per colpa Corte cost., 13 giugno 2000 numero 186 e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa - della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.